Finalmente escono dalle prigioni birmane Wa Lone e Kyaw Soe Oo dopo 500 giorni di carcere, i due giornalisti birmani della Reuters condannati a sette anni di carcere per violazione della legge sulla segretezza, la cui colpa vera fu di mostrare in Birmania che il genocidio dei Rohingya non era un’invenzione dell’occidente ma era reale.
La sentenza di condanna di settembre dei due giornalisti causò un grido di condanna globale da parte di diplomatici e dal mondo del giornalismo per un processo visto come farsa che rallentava il progresso democratico in Birmania.
Escono dalle prigioni birmane Wa Lone e Kyaw Soe Oo, che per il loro reportage sulla strage di dieci Rohingya nel villaggio di Inn Dein hanno vinto a maggio il premio Pulitzer, grazie ad un perdono presidenziale che ha coinvolto decine di migliaia di detenuti comuni e politici, dopo una pressione internazionale per il loro rilascio.
Nel loro rapporto sul massacro di dieci Rohingya perpetrato dalle forze di sicurezza e da civili buddisti, i due giornalisti presentarono interviste dei colpevoli, delle famiglie delle vittime e di testimoni, testimoniando dall’interno della Birmania il genocidio di cui furono vittima i Rohingya.
I due giornalisti si sono visti rigettare ad aprile dalla corte suprema le loro richieste di appello per una revisione del processo per la mancanza di prove del reato.
Ad aprile le mogli dei due giornalisti birmani scrissero al governo chiedendo il perdono per i loro mariti che non avevano fatto che il loro dovere.
I due giornalisti della Reuters sono stati rilasciati dalle prigioni birmane di Insein ad un chirurgo inglese Lord Ara Darzi, che era stato un membro del gruppo di consiglieri del governo birmano per la questione Rohingya guidato da Kofi Anan, ed ad un membro della Reuters.
Darzi in una dichiarazione ha detto che il rilascio dei due giornalisti birmani è giunto dopo mesi di dialogo con il governo birmano.
“Sono lietissimo che i due giornalisti della Reuters, Wa Lone e Kyaw Soe Oo, abbiano ricevuto il perdono, rilasciati dal carcere e sono di nuovo con i loro cari. So che è un immenso sollievo per le famiglie gli amici ed i colleghi” ha detto Dazri. “Questo risultato mostra che il dialogo serve a qualcosa anche nelle circostanze più difficili”.
Sul perdono dei due giornalisti hanno lavorato col governo birmano sia la Reuters che l’ONU che i rappresentanti di altri governi.
“La forza del dialogo deve essere rivolta verso l’assicurare una pace duratura nello stato Rakhine e il ritorno di centinaia di migliaia di rifugiati la cui condizione disperata continua. Questo è fondamentale se la Birmania deve crescere sul progresso di oggi così che tutti i cittadini vivano in dignità e nella speranza di un domani migliore” ha detto Darzi.
Si deve ricordare che al momento il Rakhine è preda di un’altra insorgenza contro il governo birmano portato avanti dalla Arakan Army ed è il luogo di altri efferati omicidi a danno delle popolazioni buddiste da parte della sicurezza birmana.
In molti hanno gioito per questo improvviso rilascio di Wa Lone e Kyaw Soe Oo, ma allo stesso tempo non lo si può definire un nuovo capitolo per la democrazia birmana perché esiste un armamentario di legge repressive.
Lo sostiene Nicholas Bequelin di Amnesty International che ha definito la vicenda dei giornalisti della Reuters una “imitazione di giustizia dall’inizio alla fine”.
“Finché non si cancellano queste leggi, giornalisti e militanti restano sotto la minaccia di detenzione ed arresto”.
Nell’indice di libertà di stampa stilato da Giornalisti Senza Frontiere, la Birmania è al 138° posto su 180 paesi ed attacca giornalisti e militanti con leggi che risalgono all’era coloniale britannica, come quella in base alla quale furono condannati Wa Lone e Kyaw Soe Oo.
Restano in carcere per motivi politici circa 130 detenuti in Birmania.