In una piantagione da mille ettari nel profondo meridione filippino, decine di lavoratori di mezza età cantano all’unisono una vecchia canzone “Hotel California” mentre sistemano le banane di Davao colte di fresco da esportare in Cina.
“Nel pomeriggio sembra una discoteca” dice Naiall Biol, che gestisce una coltivazione nella provincia di Davao del Norte. “La musica ad alto volume li mantiene in allerta, attenti ed agili”
I lavoratori hanno bisogno di una motivazione per gestire la crescente domanda cinese, dice Biol a NAR.
La Cina è diventata il più grande importatore di banane lo scorso anno superando il Giappone che ha avuto la quota di mercato maggiore per decenni. Alcune compagnie respingono ora il Giappone per contratti annuali con gli importatori cinesi.
Mentre le due maggiori economie asiatiche si combattono per la maggiore influenza nelle Filippine, lo spostamento simbolizza la crescente dipendenza di Manila dalla Cina rispetto al Giappone. Mentre Tokyo favorisce i progetti ferroviari per conquistare la preminenza nelle infrastrutture, Pechino raddoppia nell’agricoltura.
“I cinesi non lo fanno solo perché sognano le banane di Davao” dice Herman Kraft, docente di relazioni internazionali della UP di Manila. “C’è un aspetto politico in questo”
Il presidente Cinese Xi Jinping definì il palcoscenico della diplomazia delle banane quando il presidente filippino Duterte fece la visita ufficiale a Pechino nell’ottobre 2016, durante il quale annunciò la “separazione dal suo principale alleato USA. In risposta Xi promise di importare più frutta dalle Filippine e promise investimenti per 24 miliardi di dollari.
Lo scorso anno la Cina comprò banane per 496 milioni di dollari con un balzo del 71% rispetto al 2017, mentre l’ordinativo giapponese salì del 24% a 485 milioni di dollari secondo dati governativi.
“In un certo senso le banane sono diventate un simbolo della relazione tra i due paesi” dice Kraft.
Le relazioni diplomatiche ed economiche non sono sempre state dolci tra Pechino e Manila ed una disputa in mare una volta colpì duramente i coltivatori di banane. Dopo aprile 2012 con il confronto aspro tra le forze navali cinesi e filippine vicino Scarborough Shoal, Pechino chiaramente si vendicò vietando molte importazioni di banane filippine.
La Cina affermò che le banane erano piene di insetti, mentre Stephen Antig, direttore esecutivo dell’associazione dei coltivatori di banane, dice che fu una mossa “puramente politica”
“Persino prima quelli insetti erano già lì ma non hanno mai rigettato le banane” ricorda Antig. “Sono quando iniziammo a reclamare che Scarborough Shoal è nostra loro divennero improvvisamente più severi.”
I rappresentanti dell’industria ricordano quei momenti difficili che lasciavano le banane a marcire nei campi e i carichi fermi nei porti.
“Tantissime imprese allora dichiararono bancarotta. Fu un punto di inversione per molti” dice Han Da Bae, presidente della Mindanao Banana Farmers and Exporters Association, un piccolo gruppo di commercianti attenti al mercato cinese.
Nel 2013 Manila iniziò l’arbitrato internazionale per risolvere le questioni in mare, incrinando le relazioni con Pechino. Solo pochi mesi prima dell’elezione di Duterte nel maggio 2016, le autorità cinesi distrussero 35 tonnellate di banane filippine che valevano 33 mila dollari perché non erano adatte ai regolamenti sanitari.
Ma la politica di Duterte favorevole alla Cina ha allentato le tensioni ed i rappresentanti cinesi promettono di aumentare le importazioni di banane ed altra frutta ogni volta che si incontrano con le controparti filippine. Xi Jinping lo ha fatto durante un incontro ad aprile.
Nel frattempo il Giappone colpisce le importazioni di banane filippine. Lo scorso anno gli ispettori trovarono su alcune parti un eccessivo uso di pesticidi spingendo questo anno ad un controllo casuale di tutte le banane filippine con un maggior costo per gli esportatori.
Mentre i rappresentanti filippini combattono per persuadere il Giappone a lasciar correre, alcune imprese hanno scelto di lasciar perdere il mercato giapponese.
ARR Agribusiness manda quest’anno tutti i suoi prodotti in Cina, dice Raffy Caycong che supervisiona la piantagione da 84 ettari di Davao. La compagnia inviava il 30% del suo raccolto in Giappone che impone una tariffa che va dal 8 al 18%. Le esportazioni in Cina di contro non hanno barriere doganali. “Il Giappone è troppo severo ma la Cina non è così” dice Caycong.
Un decennio fa gli esportatori facevano di tutto per attrarre i compratori giapponesi che volevano le banane filippine classe A, che valgono il 40% di più della classe B che sono appena ammaccate. Ma la crescente classe media cinese ora vuole la frutta di qualità rendendo il paese più attraente del mercato giapponese la cui popolazione in diminuzione limita la crescita.
Le esportazioni di banane filippine totalizzarono 1.4 miliardi di dollari lo scorso anno facendo delle Filippine il secondo paese esportatore dopo Equador. Il settore impiega 400 mila persone, detenuti compresi, molti dei quali provengono dalla terra del presidente, Davao. Alcuni di questi esportatori hanno contribuito alla campagna presidenziale di Duterte del 2016.
Kraft dice che i legami tra le banane e Davao implicano che gli acquisti sono un modo che la Cina ha per avere una maggiore forza diplomatica.
“Questa è una cosa essenzialmente di Davao” dice Kraft. “Per Duterte la politica è una cosa ancora locale. E’ ancora cosa guadagnerà alla fine la gente di Davao”
La Cina ha accettato di finanziare progetti infrastrutturali a Mindanao per miliardi di dollari, mentre il Giappone ha preso di mira i progetti ferroviari a Manila.
“Ogni volta che Duterte esce dal paese, è come un commerciante che prova a vendere banane filippine in Giappone, Corea e Cina.” dice Antig.
Esse sono alla sommità della agenda dei colloqui commerciali con la Corea e gli esportatori si preparano ad accrescere gli invii in Russia. Persino mercati difficili come l’Australia sta iniziando a pensare di far entrare banane filippine.
Eppure coltivare nuovi mercati non è facile. Mentre la Cina dà una spinta al settore, Antig ancora preferisce il Giappone che descrive come un mercato stabile.
Gli esportatori più piccoli, che hanno tratto vantaggi dal cambio delle dinamiche, vedono anche il rischio negativo dell’eccessivo affidarsi alla Cina, alcuni dei quali hanno negoziato direttamente con i piccoli coltivatori liberandosi degli intermediari per un contratto migliore.
“Nel frattempo ci avvantaggeremo dei buoni legami con la Cina” dice Bae.
Ed aggiunge Antig: “Come ci si può sbagliare con un mercato da 1,3 miliardi di persone?”
Cliff Venzon, NAR