La capitale indonesiana sarà spostata nell’isola indonesiana del Borneo a cominciare dal 2024 ed il presidente indonesiano Jokowi annuncerà nei prossimi giorni la provincia prescelta del Borneo, non appena saranno completati gli studi di fattibilità.
“Se sarà il Kalimantan centrale, Orientale o Meridionale, lo si deciderà dopo una presentazione di dettagli degli studi di fattibilità. Questi dettagli sono legati ai rischi dei disastri, capacità ambientale, economia, demografia, condizioni socio-politiche, sicurezza. E’ necessario considerare tutti gli aspetti perché la decisione sarà corretta per la nostra visione” ha detto Jokowi in una riunione di governo.
Con l’annuncio fatto a maggio, appena dopo le elezioni indonesiane, Jokowi vuole ricollocare la capitale fuori da Giava, che è l’isola più popolosa ma anche la più sviluppata, ed assicurare un grado di sviluppo più equo e meno giava-centrico.
L’agenzia di pianificazione dello sviluppo nazionale studierà anche l’esperienza di altri paesi come anche mettere su un piano finanziario di vari anni ed il quadro legale da discutere nel parlamento.
Il progetto della nuova capitale indonesiana richiederà almeno 33 miliardi di dollari a cui si aggiungeranno i soldi del settore privato, e dovrà rispettare gli standard internazionali per diventare un modello per le città indonesiane.
Se il quadro legale e tutte le preparazioni saranno completati entro il prossimo anno, i lavori potranno iniziare per il 2021.
“Speriamo di eseguire la prima fase del processo di ricollocazione per il 2024” ha detto il ministro della pianificazione economica Bambang Brodjonegoro.
Nella prima fase, la nuova capitale indonesiana accomoderà un milione e mezzo di cittadini che includono 200 mila rappresentanti dello stato e 25 mila del personale di polizia e dei militari.
Dopo Giacarta: immaginando una nuova capitale indonesiana
Due settimane dopo le elezioni indonesiane il cui risultato doveva essere ancora annunciato, il presidente indonesiano Joko Jokowi Widodo dichiarò la propria intenzione di stabilire una nuova capitale indonesiana al di fuori da Giava, possibilmente nel Kalimantan.
In un suo post di Instagram con 21 milioni di amici, si domandava se Giacarta avrebbe potuto ancora continuare a sobbarcarsi il doppio peso di essere la capitale amministrativa ed il centro degli affari del paese.
Sono ben noti i problemi ambientali e sociali cronici della megalopoli, che sono il risultato della cattiva gestione dello sviluppo postcoloniale della città e la sua rapida espansione. I grandi piani regolatori della città sono stati violanti in modo consistente per permettere dei negoziati fluidi tra governo della città, grandi sviluppatori fondiari e gli oligarchi, mentre cresceva a dismisura la sua popolazione per le immigrazioni dalle province. Sarà quasi impossibile invertire nel breve periodo questo lungo processo distruttivo.
Le nuove visioni per Giacarta saranno sempre compromesse dalla informalità del suo governo urbano e superate dalla vasta economia informale da cui dipende la maggioranza dei suoi cittadini.
La città continuerà a sprofondare ed ad essere inondata, e si sarà sempre soffocati dall’inquinamento atmosferico. I poveri della città continueranno a mostrare la loro resilienza. La classe media nel frattempo continuerà a fuggire dalla città circondandosi con lussuosi e sterilizzati centri commerciali e centri residenziali sorvegliati.
E’ difficile immaginare una megalopoli con tali condizioni urbane in contrasto, fatta di ingredienti sociali che cambiano sempre in modo significativo il corso del suo sviluppo urbano disfunzionale e fortemente politicizzato.
Per questa ragione continua a ritornare l’idea di di una nuova capitale indonesiana.
Infatti l’idea di creare una nuova capitale al di fuori di Giacarta è una cosa vecchia per gli storici, pianificatori e la gente della città. Nel 1957 fu Sukarno che propose di spostare la capitale quando inaugurò Palangkaraya, una città posta nel mezzo geografico del paese, come capitale della nuova provincia del Kalimantan centrale.
Non sorprende che l’annuncio di Jokowi sia stato salutato da molto cinismo. Alcuni hanno visto l’annuncio come un tentativo di distrarre dal tentativo di Prabowo e Sandiaga di delegittimare il risultato delle elezioni presidenziali. Molti dubitavano della capacità di Jokowi di riuscire a realizzare il piano tanto discusso.
Tuttavia Jokowi ha una storia convincente di aver applicato progetti infrastrutturali di grande scala, quali il tanto atteso sistema di trasporto rapido di massa di Giacarta a cui lui diede inizio come governatore della città, ed la riparazione delle infrastrutture portuali e la costruzione di una grande via stradale a cui a presieduto da presidente.
Spostare la capitale Giacarta sarebbe consistente con l’impegno di Jokowi allo sviluppo infrastrutturale del paese al di là di Giava.
Al di là di questo scetticismo, la proposta ha ricevuto una copertura locale ed internazionale diffusa. Varie associazioni professionali, pianificatori urbani e studiosi hanno risposto con generosità dando all’annuncio di Jokowi un grado di credibilità che le proposte precedenti non hanno mai attratto.
Indipendentemente dalle sfide che questo spostamento si porta con sé, la discussione sulla decentralizzazione di Giacarta e Giava è degna di nota e salutare. Giava è sempre stata importante al senso della nazione di identità collettiva, particolarmente nell’era Suharto.
Immaginare una nuova capitale indonesiana è un’opportunità buona per discutere di quello che sarebbe potuta essere, di cosa è l’Indonesia al di là di Giava, e di come gli indonesiani delle province vedono il loro futuro come parte della nazione.
Il quinto principio della Pancasila, uguaglianza e giustizia sociale per tutti gli indonesiani, il più essenziale ma il più incompiuto, non lo si può iniziare a contemplare senza decentrare Giacarta e Giava.
Sebbene iniziata a causa delle condizioni gravi di Giacarta, l’immaginare una nuova capitale non deve essere su Giacarta su cui la ricollocazione della città capitale avrà un piccolo impatto.
E la nuova capitale non cambierà la centralità di Giacarta nell’immaginario pubblico della identità moderna della nazione. Ma non deve essere un obiettivo questo. La creazione di nuove città capitale in altri paesi, come Canberra in Australia, Putrajaya in Malesia e Vrasilia in Brasile, non hanno cambiato l’importanza delle città come Melbourne, Kuala Lumpur e Rio de Janeiro per l’immaginario collettivo di queste nazioni.
Ricollocare la capitale indonesiana potrebbe contribuire a decentrare Giava e Giacarta ed iniziare un dialogo ed impegno genuino con la periferia della nazione. Coinvolgerebbe un riconoscimento della marginalizzazione di regioni dall’Indipendenza fino al 1998 ed una discussione sul come le regioni ora iniziano a riforgiarsi nell’era della autonomia regionale.
Questo dialogo si deve arricchire dalla coscienza critica dello sbilancio in potere, influenza e infrastrutture civiche tra i luoghi urbani centrali e le regionali periferie.
L’idea del Kalimantan come sito della nuova capitale ha attratto molte critiche a causa della natura affrettata e chiaramente arbitraria di questa decisione dall’alto.
Chi è favorevole fa notare che il Kalimantan è una regione geografica molto più stabile di Sumatra o Giava prone ai disastri. Ma l’argomento che la capitale debba essere posta in un centro geografico non solo è semplicista, ma mostra poca considerazione per i processi complessi dietro la formazione delle città più vibranti di successo, inclusive e vivibili.
Le città sono il risultato di complessi processi sociali e storici che si combinano con le condizioni geografiche favorevoli, le risorse e l’accessibilità. Le città di successo non sono entità fisiche isolate, pianificate e costruite sulla nuda terra, quanto si formano ed eventualmente formano i loro contesti sociali e geografici più vasti.
La scelta del Kalimantan sembra semplicemente replicare il percorso già creato a Sukarno negli anni 50, una visione nata nell’era fragile della costruzione della nazione. Se si rilancia la stessa idea sessanta anni dopo, ha bisogno di parlare all’esperienza di nazione nel paese oggi. Deve anche generarsi da un genuino impegno con la formazione urbana e il panorama sociale nella regione prescelta.
Le città postcoloniali del ventesimo secolo, Giacarta compresa, sono formazioni urbane appesantite dal compito della rappresentazione. Narrano e visualizzano certe idee di nazionalismo ai propri cittadini come anche al resto del mondo.
Benedict Anderson ha descritto i monumenti nazionali a Giacarta come un modo di comunicazione politica, una forma di discorso simbolico per forgiare la coscienza collettiva dei cittadini. Questi monumenti giocarono un ruolo fondamentali nell’assicurare l’unità della nazione e nel giustificare l’autorità dello stato, un aspetto cruciale dei primi decenni della costruzione della nazione postcoloniale.
Le strategie postcoloniali di costruzione della nazione, usate da Sukarno e Suharto, hanno prodotto una capitale dominata da costruzioni monumentali e spazi urbani che esistono come articolazione della versione del regime dominante di nazionalità. Società civile e popolazione sono spesso trattati da spettatori passivi.
Le forme urbane di una capitale spesso proiettano idee di progresso e modernismo espressi attraverso le sensibilità estetiche dei pianificatori e disegnatori urbani ed architetti. Forme urbane simboliche ed i monumenti architettonici sovrastano e, in molti casi, marginalizzano e dislocano le forme urbane indigene preesistenti. Questa fu l’esperienza dei quartieri, gli storici kampung, di Giacarta nella costruzione del distretto Jalan Thamrin-Sudirman negli anni 50
Abidin Kusno ha persino affermato che le forme moderne architettoniche ed il discorso in Indonesia soffrono di una amnesia storica. I professionisti della pianificazione urbana, del design e della architettura mancano di una coscienza del loro ruolo nella spazialità, visualizzazione e rafforzamento di certe relazioni di potere, come pensate dai regimi ed elite postcoloniali.
Immaginare una nuova città capitale deve essere un lavoro critico dell’immaginario del passato della nazione in Indonesia. Deve essere costruita su una riflessione del passato dimenticato, una posizione critica verso i modi autoritari di governo ed un contatto genuino con la realtà sociale complessa e dell’esperienza di essere indonesiani oggi.
Forse l’elemento più preoccupante delle recenti discussioni è il vedere la nuova capitale indonesiana come una entità interamente nuova ed isolata, una nuova formazione urbana da essere immaginata, concepita e descritta su un panorama vuoto senza connessioni sostanziali a specifici contesti storici, urbani o culturali.
Le città disegnate come Brasilia, Canberra e Putrajaya, mentre sono dominate da architetture monumentali e spazi urbani, mancano spesso di carattere urbano e civico. Essendo fortemente simboliche non sono le più vibranti, celebrate, vivibili e amate dei loro paesi. Piuttosto sono spesso viste come simboli del potere dello stato, o nel linguaggio della nostra era visuale, un brand nazionale che rivela ben poco delle dinamiche vive sociali della nazione.
Ponendo il centro amministrativo nazionale in un esistente panorama storico, urbano e culturale sarebbe molto più significativo ed aprirebbe opportunità per la provincia indonesiana ad essere parte del processo di creare una nuova capitale. La nuova capitale indonesiana potrebbe facilitare l’emergere di una società civile più forte nell’Indonesia Regionale, con un ruolo più forte nell’immaginare il futuro della nazione e della sua democrazia.
Una nuova capitale per l’Indonesia del XXI secolo deve andare al di là delle narrazioni postcoloniali dello stato del passato. Si immagini se, invece di usare forma ed architettura urbana per riflettere solo quello che le elite considerano l’immagine preferita della nazione, o di affidarsi puramente alla pianificazione e agli ideali utopici dei professionisti del design, la nuova capitale indonesiana nascesse da una competizione aperta di design combinata con l’impegno rigoroso e genuino della gente e degli studiosi.
Cosa succederebbe se gli obiettivi della pianificazione e design della nuova capitale indonesiana fosse di creare spazi urbani che emancipano e di costruire infrastrutture che servano e facilitano interazioni tra lo spettro vasto socioeconomico della popolazione della città?
Cosa sarebbe se la nuova capitale fosse una celebrazione di una storia cosmopolita, delle dinamiche e diversità sociali del diventare Indonesia?
Invece di imporre una singola versione idealizzata di urbanità ed identità urbana, c’è bisogno di una diversità di spazi pubblici, modelli di case, infrastrutture civiche e amenità di sostegno per assicurare uguali opportunità e accessibilità più vasta.
Tutti i segmenti delle popolazioni urbane e della regione circostante devono avere l’opportunità di svolgere i loro ruoli socioeconomici nel funzionare della città ed essere ugualmente riconosciuti per il loro ruolo.
Invece di importare immagini astratte di un altro moderno e globale, la nuova capitale deve imparare dagli strati culturali, la vita di strada, la scala umana, l’adattabilità e le caratteristiche sociospaziali di molte città storiche indonesiane.
Non deve nascondere ma dare spazio alle informalità della vita urbana così ricca delle città indonesiane.
Dopo lo spettacolo di Giacarta, immaginare una nuova capitale deve svolgersi come un dialogo genuino e radicato sul sé dalle tante facce, sull’ambizione e sulle possibilità del paese. Ma prima ancora c’è bisogno di confrontare le realtà del passato dimenticato del paese e delle regioni marginalizzate.
Amanda Achmadi Indonesia at Melbourne