Un gruppo di esperti dei diritti umani dell’ONU da Ginevra hanno invitato il governo indonesiano a proteggere i diritti di chi, come Veronica Koman, chiede più libertà di espressione nelle province di Papua e Papua Occidentale, ed a permettere il completo accesso all’informazione dalla provincia in subbuglio mentre continuano le manifestazioni per l’indipendenza.
Le restrizioni alla libertà di espressione a Papua Occidentale “non solo minano la discussione sulle politiche del governo ma mettono in pericolo la salvezza di chi difende i diritti umani denunciandone le presunte violazioni”
L’Indonesia deve proteggere i diritti di Veronica Koman e degli altri che riportano notizie sulle proteste a Papua e Papua Occidentale – Inviati Speciali ONU
L’Indonesia deve proteggere i diritti di tutta la gente alla protesta pacifica, assicurare l’accesso ad Internet e proteggere i diritti della militante dei diritti umani Veronica Koman e tutti gli altri che riportano le proteste a Papua e Papua Occidentale, sostengono gli Inviati speciali dell’ONU.
“Chiediamo misure immediate per la protezione della libertà di espressione e per affrontare atti di violenza, di intimidazione, interferenza, restrizione inoportuna e minacce contro coloro che riportano notizie sulle proteste”
Veronia Koman, avvocato che ha subito pressioni e abusi online per il suo lavoro continuo sulle violazioni presunte dei diritti umani a Papua, è stata nominata come sospettata dalle autorità che l’accusano di diffondere false informazioni e provocare disordini dopo che pubblicò notizie delle proteste e dell’attacco razzista contro gli studenti papuani a Giava Orientale che avevano acceso le manifestazioni.
“Accettiamo le azioni del governo contro l’incidente razzista ma lo invitiamo a fare passi immediati per proteggere Veronica Koman da ogni forma di vendetta ed intimidazione facendo cadere le accuse contro di lei perché possa continuare a dare notizie in modo indipendente sulla situazione dei diritti umani nel paese”
Gli inviati hanno espresso serie preoccupazioni sulle denunce che indicano come le autorità pensino ad un ritiro del passaporto, al blocco del suo conto corrente e di chiedere al Interpol di emettere il Codice Rosso per localizzarla, dal momento che la donna è fuori del paese.
Gli inviati ONU dicono che le restrizioni alla libertà di espressione non solo minano la discussione sulle politiche del governo ma mettono in pericolo la salvezza di chi difende i diritti umani denunciandone le presunte violazioni.
Le proteste hanno sempre più preso piede a Papua e Papua Occidentale da metà agosto per presunto razzismo e discriminazione e richieste di indipendenza.
“Queste proteste non saranno fermate da un uso eccessivo della forza o dalla repressione della libertà di espressione e dall’accesso all’informazione. Invitiamo il governo indonesiano a riconoscere i diritti di tutti i manifestanti ed assicurare la continuazione dei servizi internet. Salutiamo la restaurazione dal 4 settembre di internet in quasi tutte le province di Papua e Papua Occidentale.”
Internet era stata disconnessa il 21 agosto in varie parti delle due province sulla base della restaurazione di ordine e sicurezza con lo scopo di prevenire la diffusione di “dicerie” o “bufale” nelle proteste.
“Le restrizioni di internet o dell’accesso all’informazione in generale hanno un impatto negativo sulla capacità degli individui ad esprimersi e condividere e ricevere informazioni. D’altro canto l’accesso ad internet contribuisce alla prevenzione della disinformazione ed assicurare la trasparenza e la responsabilità” dicono gli Inviati Speciali.
Gli inviati speciali hanno precedentemente espresso le loro preoccupazioni al Governo dell’Indonesia e continuano ad invitarlo ad un dialogo genuino con i manifestanti. Essi hanno salutato l’impegno delle autorità sulle questioni e si attendono un dialogo prolungato.
OHCHR
Mentre la polizia prova ad individuare ed arrestare i vari militanti con l’accusa di accendere lo scontento nella regione papuana, Veronica Koman, che è anche avvocato del gruppo per l’Indipendenza, NCWP o Comitato Nazionale per Papua Occidentale, non si è presentata e si crede risieda in Australia, secondo la polizia che ne ha chiesto la revoca del passaporto e l’intervento del Interpol per trovarla.
Veronica Koman è accusata di violazioni della legge del 2008 della legge della cybersicurezza indonesiana e rischia fino a sei anni di carcere. Con i suoi tweet giornalieri ed intensi da molte differenti città avrebbe istigato alla violenza.
Sono dodici le persone uccise negli ultimi incidenti di agosto dopo che gli studenti papuani a Giava Orientale erano stati aggrediti con epiteti razzisti e poi fermati dalle autorità indonesiane per aver scandalizzato una bandiera indonesiana vicino ai loro dormitori.
Dopo il blocco di Internet i tweet di Veronica Koman erano la sola informazione aggiornata sulle proteste.
Secondo il sacerdote Paulus Christian Siswantoko della Commissione dei vescovi indonesiani per la Laicità la polizia deve agire in modo proporzionale nell’affrontare i problemi a Papua, compreso il caso di Veronica Koman.
“Non fare nulla che possa causare nuovi problemi” ha detto il padre ad UCANEWS il quale ha aggiunto che la polizia deve agire in modo equo senza esacerbare la situazione.
Tigor Hutapea di Solidarity of Human Rights Defenders, coalizione di vari gruppi, dice che il caso di Veronica Koman crea un cattivo precedente per chi difende i diritti umani. I tweets di Koman si giustificano perché è un’avvocatessa dei diritti degli studenti papuani, un ruolo che ha assunto nel 2010 per il quale non può essere perseguita.
Koman, secondo UCANEWS, nel 2004 era tra chi chiese alla polizia di rilasciare il risultato delle analisi dell’omicidio di Munir Saib Thalib, militante dei diritti umani avvelenato con l’arsenico.
Nel 2015 ha lavorato per Jakarta Legal Aid difendendo due studenti universitari accusati di aver attaccato dei poliziotti in una manifestazione per l’autodeterminazione papuana.
Nel 2017 fu tra chi rappresentava alcuni papuani che chiedevano alla Corte Costituzionale di rimuovere alcuni articoli dal codice penale.
Fino al 13 settembre non ha assolutamente risposto a queste accuse continuando il lavoro di documentazione sulle manifestazioni a Papua.
Il 15 settembre appare una dichiarazione ufficiale di Veronica Koman in cui dice di non voler contribuire al tentativo della polizia indonesiana di distogliere l’attenzione da ciò che avviene a Papua che è la vera questione.
“… il caso penale che si fabbrica contro di me è solo uno dei tanti perseguiti in un programma complessivo di criminalizzazione e intimidazione. Quasi tutti gli obiettivi di intimidazione sono a Papua Occidentale lontano dall’attenzione dei media. Sebra che l’obiettivo è che sia portato fuori dalla vista la chiara aspirazione ad un referendum per l’indipendenza chiesto da centinaia di migliaia di Papuani scesi in strada le scorse settimane.
Siccome il governo indonesiano sembra incapace di risolver il conflitto prolungato, si cercano vittime sacrificali per spiegare cosa succede a Papua. Tali tattiche negatorie approfondiranno le ferite a Papua Occidentale esacerbando il conflitto lì.
Rigetto i tentativi di diffamazione contro di me nel mio ruolo di avvocato ufficiale dell’Alleanza degli Studenti Papuani. La polizia è andata oltre la sua autorità superandosi per criminalizzarmi.
La polizia ha abusato dei propri poteri affermando di bloccare i miei conti bancari esagerandone il loro contenuto e creando la falsa notizia di soldi verso “le aree del conflitto” per incoraggiare speculazioni dei media ed infangare la mia persona. Non ci sono le base legali e le leggi che usano per criminalizzarmi non hanno connessione con la mia situazione finanziaria.
C’è una incredibile campagna governativa per farmi stare zitta, con la polizia che mette paura ai miei familiari a Giacarta mentre il capo del dipartimento dell’immigrazione ed il ministro della giustizia e diritti umani dicono di unirsi alla richiesta della polizia di revoca del passaporto. Il ministro della comunicazione e della tecnologa informatica definì bufale alcuni aggiornamenti prima di chiedere scusa di essersi sbagliato. Il ministro Wiranto tenne una conferenza stampa il 5 settembre per descrivermi come una provocatrice e citare il mio ruolo di avvocato degli studenti papuani mentre affermava in modo falso come si seppe dopo che l’Interpol “mi dava la caccia”.
Lo scorso anno il personale dell’ambasciata indonesiana fece pressioni quando parlai in eventi pubblici di Amnesty International Australia e dei gruppi evangelici australiani. Fecero foto e registravano gli oratori mentre parlavamo degli abusi dei diritti a Papua. L’ambasciata mi denunciò all’istituzione della mia borsa di studio perché stavo sostenendo il separatismo. Distrussero la mia relazione con l’istituzione e mio corso di master.
Per anni il governo indonesiano ha speso più tempo ed energia in una guerra di propaganda piuttosto che indagare e porre fine agli abusi dei diritti umani a Papua. Ora vediamo un chiaro esempio di “Spara al messaggero” nello sforzo dello stato di perseguire chi, come me, attira l’attenzione sugli abusi che non vuole o non può affrontare.
Da decenni Papua occidentale è tra le regioni al mondo più vietate. La mia criminalizzazione non è altro che il prosieguo di una strategia storica di prevenire che l’informazione trapeli nel resto del mondo. Veronica Koman Australia, 15 September 2019
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