Quanto più a lungo si protrae una guerra civile o un’insorgenza, tanto più chiara si fa l’idea che nessuno delle parti può vincere, e tanto più possibile diventa la ricerca, dalle parti in conflitto, di un accordo negoziato.
Nel meridione thailandese, ribolle un’insorgenza malay, separatista e musulmana, sin dal 2004. La violenza ed il conflitto non sono nuovi nella regione, ma la fase attuale è la più intensa e protratta sin dall’incorporazione formale del Regno di Patani nel Siam, nome con cui era conosciuta l’attuale Thailandia nel 1909. E’ sempre più chiaro che la situazione in questa regione, che si distingue sia sul piano etnico che religioso, ha raggiunto una fase di stallo militare.
Sin dalla metà del 2007, la presenza di forze di sicurezza, statali o aiutate dallo stato, più specializzate e migliorate ha destabilizzato le reti nascoste dell’insorgenza riducendo significativamente gli scontri violenti. Comunque, gli insorti continuano a mobilitare e motivare nuovi adepti e a portare avanti attacchi violenti contro le forze di sicurezza, i rappresentanti dello stato, civili buddisti thai e musulmani malay che sono considerati informatori delle autorità.
La violenza ad essa legata, come pure la criminale, quella personale e politica che talvolta si incrocia con l’insorgenza, hanno prodotto quasi 4700 morti negli scorsi 7 anni e mezzo.
Superficialmente, potrebbe sembrare che il governo thailandese miri a raggiungere un accordo di pace con i misteriosi insorti che mirano a terminare, o perlomeno ad allentare, l’autorità di uno stato che si è lasciato imbrigliare in un conflitto, a livello nazionale, tra sostenitori e detrattori del già primo ministro Thaksin. Shinawatra.
La rinascita della violenza nel meridione iniziò sotto la prima amministrazione eletta di Thaksin. Ma per quanto si sia attribuito agli errori di politica del suo governo il riemergere della ribellione, le successive amministrazioni, tra le quali la coalizione guidata da Abhisit Vejjajiva, non sono riuscite a risolvere il dilemma della sicurezza della regione.
Nei mesi scorsi sono fuoriuscite informazioni secondo cui una delegazione governativa guidata da National Security Council (NSC), col sostegno dei militari, sta facendo degli sforzi di dialogo con rappresentanti dell’insorgenza. Si sa che il ruolo di mediatore nel facilitare il dialogo è stato assunto da una organizzazione internazionale di risoluzione di conflitti.
Mentre un rappresentante del NSC, coinvolto nei colloqui, confermava questo percorso sostenuto dal governo, altri negavano che il governo supporti il dialogo. Un rappresentante di alto livello dell’Ufficio del Primo Ministro ha detto che, se NSC sta avendo un dialogo con membri delle organizzazioni separatiste, lo sta facendo senza l’approvazione del governo. Verso la fine di marzo il comandante delle forze armate, generale Prayuth Chan-ocha, ha detto a Pattani ad un gruppo di giornalisti che erano cinque o sei i gruppi di insorti coinvolti in separati dialoghi, ma nessuno aveva l’approvazione o il sostegno ufficiale del governo.
Questa discrepanza tra la retorica ufficiale e la pratica non è cosa nuova in Thailandia. Sin dagli anni 80 rappresentanti governativi sono intenti nel dialogo con membri dei gruppi separatisti, compreso il Barisan revolusi nasional (BRN) e Pattani United Liberation Organization (PULO), ma il processo è sempre stato segreto, non ufficiale se non addirittura negato a livello ufficiale.
Questa preoccupazione per la segretezza si è ingigantita da quando, nel 2008, il già capo dell’arma, il generale Chetta Thanajaro, registrò un video per annunciare di aver raggiunto un accordo di cessate il fuoco con i capi dell’insorgenza. Secondo una fonte militare, i militari “persero la faccia”, una volta che si scoprì che i presunti capi con cui Chetta aveva raggiunto l’accordo non avevano il controllo sui gruppi sul campo.
Chi comanda?
Secondo differenti fonti vicine al percorso di dialogo del NSC, per quasi cinque anni il facilitatore è stato coinvolto con i colloqui con varie figure esuli del movimento separatista, compreso Kasturi Mahkoya, vice presidente e portavoce all’estero del PULO. Agli inizi del 2010 Kasturi annunciò che il PULO e BRN-C si erano fusi per formare un gruppo, chiamato Pattani Malay Liberation Movement (PLML), sotto cui PULO agisce come braccio politico del BRN-C che è una fazione del BRN.
Si crede tra le autorità e gli analisti che sia BRN-C a condurre la maggior parte della violenza dell’insorgenza, benché si sappia che esistono varie organizzazioni separatiste ad operare nella zona. Di recente lo scrivente è venuto a sapere da autorità, da studiosi e figure politiche, che il comando del BRN-C è diviso e che non ci sia prova ad indicare che la rete degli insorti, operante nelle tre province, abbia un solo capo principale. Sostengono queste figure che vari capi o fazioni probabilmente hanno un’autorità su gruppi differenti di combattenti, i quali mantengono un alto grado di autonomia.
L’organizzazione BRN-C è una fonte di confusione e contesa. Comunque analisti ed autorità hanno creduto da tempo che il PULO e la vecchia generazione di esuli, compreso qualcuno del BRN, giochino un piccolissimo ruolo nell’attuale insorgenza e non possano proclamare, sul tavolo dei negoziati, di rappresentare una nuova generazione di insorti.
Per scacciare questi dubbi, le fonti dicevano che la mediazione internazionale abbia fatto capire a Kasturi di aiutare l’implementazione del cessate il fuoco di un mese, o quello che la delegazione governativa preferiva chiamare una “sospensione delle ostilità”, nei distretti di Rangae, Cho Airong e Xi Ngor, nella provincia di Narathiwat, nel periodo dal 10 giugno al 10 luglio dello scorso anno.
La sospensione delle ostilità era limitata ad attacchi organizzati contro le forze di sicurezza e non comprendeva ufficiali o civili del governo.
Secondo una fonte del NSC è stata la delegazione dei rappresentanti Thailandesi a scegliere questi distretti, ed è la stessa fonte ad affermare che l’allora comandante Anupong Paochinda informò la Task-force provinciale di Narathiwat, l’unità militare che presiede la sicurezza della provincia, della cessazione delle ostilità, senza comunicarla al comando dell’esercito meridionale. Questo fatto è stato confermato da un ufficiale di alto rango nella regione militare meridionale.
Vari analisti e altri che conoscono la situazione sono ottimisti nel dire che questa misura di costruzione della confidenza possa servire come primo passo per migliorare il processo di dialogo. Un solo attacco contro le forze di sicurezza ha avuto luogo durante quel mese, un segno significativo non solo del controllo di Kasturi, ma anche della volontà degli insorti di lavorare verso un dialogo costruttivo. Alcuni analisti hanno minimizzato il significato di un singolo attacco, poiché fu condotto da insorti provenienti dall’esterno del distretto, benché si debba notare che le autorità thailandesi hanno scoperto che gli insorti conducono la maggior parte degli attacchi fuori dei loro distretti originari.
Ma i dati a disposizione sugli scontri violenti in questi tre distretti sembrerebbero indicare che il cessate il fuoco di un mese per l’area sia un esercizio insignificante statisticamente. Il gruppo di Pattani, Deep South Watch che monitora la violenza nella regione, ha compilato i dati che paragonano eventi violenti nei tre distretti dal 2004 fino al 2010 per lo stesso mese. Per tutti e tre i distretti, c’era solo un attacco alle forze di sicurezza nel 2008 ed uno nel 2009, fatto che fa sorgere qualche domanda sul significato del cessate il fuoco nel 2010, o persino se è avvenuto.
Né la supposta sospensione delle ostilità ha portato ad una sosta nella violenza complessiva nei tre distretti. Sempre i dati di Deep South Watch rivelano che nel 2010 il numero totale di incidenti violenti è cresciuto leggermente, se paragonati a quello dello stesso periodo nel 2008 e 2009. Se paragonato ai cessate il fuoco in altre nazioni con guerre civili o insorgenza, la sospensione delle attività è stata breve per durata e limitata ad una area geografica piccola, appena 3 distretti su tredici di Narathiwat.
Le cifre e le condizioni portano a credere che Kasturi e gli altri del PULO e BRN non comandino e controllino gli insorti sul campo. Un esperto quotato di insorgenza, Marc Askew, di recente si riferiva alle vecchie generazioni di insorti del PULO e BRN, che aspirano a mediare nel conflitto, come “vociferi ma impotenti”.
Altri studiosi locali, politici e giornalisti riconoscono l’unione tra BRN-C e PULO ma quasi tutti credono che la fusione sia debole e che le figure capo del BRN-C tengano il potere reale. Alcuni sostengono che l’insorgenza è così divisa che nessun gruppo o individuo sia in una posizione così forte da parlare per conto della maggioranza degli insorti. In una conferenza stampa di marzo il Primo Ministro Abhisit ammise a Asia Times Online che non gli era chiaro se i rappresentanti stessero parlando alle persone giuste durante i recenti colloqui con gli insorti.
Kasturi ha contestato questi dubbi. In un’intervista di Marzo a Straits Times, afferma di poter dirigere la maggioranza degli insorti. Altre persone vicini al processo di pace stimano, invece, per Kasturi la capacità di dirigere appena il 30% degli insorti. Forse presto Kasturi avrà la possibilità di mostrare questa sua capacità di controllo: secondo fonti vicine,l’organizzazione mediatrice tenterà di facilitare la sospensione delle ostilità per un’intera provincia verso la fine dell’anno.
Alcuni esponenti militari di alto rango, a conoscenza dei colloqui, hanno messo in dubbio il fatto che i colloqui siano sulla giusta via, dal momento che secondo loro PULO e BRN-C non vanno tanto d’accordo da poter condividere una posizione coerente di negoziazione.
Certo alcuni militari forse preferiscono screditare il processo di dialogo per evitare un accordo negoziato che significherebbe una riduzione drastica ai grossi budget destinati ai militari per le operazioni e i rifornimenti. Forse ancor più degno di nota, un accordo significherebbe che entrambi gli schieramenti in guerra dovrebbero abbandonare il conto di ciò che si guadagna e si perde e in qualche modo si allenterebbe l’autorità dello stato nella regione della minoranza etnica.
Interessi indivisibili
Finora il governo thailandese non ha dato segnali di disponibilità ad abbandonare alcun suo potere o autorità, né ha fornito un insieme di politiche o promesse che possano spingere le persone dietro le violenze ad uscire dall’ombra e sedersi al tavolo dei negoziati.
Si sa che molte figure di stato importanti sono contrarie a garantire qualunque concessione politica agli insorti. Alcuni invece sono aperti a garantire limitate concessioni culturali per soddisfare le preoccupazioni di un riconoscimento etnico, linguistico e religioso più grande. Ma sono in molti a credere che la riforma delle strutture attuali di governo della Thailandia e una maggiore autonomia non sono, al momento, sul tavolo per alcune figure realiste importanti.
Secondo alcune fonti vicini ai negoziati, i capi del BRN-C ancora intrattengono grandiosi aspirazioni di indipendenza, o almeno di autonomia politica ed economica sostanziale. Tali mete ambiziose inibiscono ulteriormente la loro possibilità di partecipare a colloqui significativi. Un altro problema conteso è un’amnistia che darebbe protezione agli insorti dalle accuse per i loro attacchi e assassini. La stessa fonte diceva che un’amnistia totale è una delle principali richieste degli insorti e critica nel far avanzare qualunque processo di pace.
Il governo al momento spera di convincere gli insorti ad abbandonare le armi mediante una semi amnistia come delineata nell’articolo 21 dell’Internal Security Act (ISA). Il primo di marzo l’articolo è stato applicato in cinque distretti relativamente poco violenti, quattro nella provincia di Songkla e nel distretto Mae Lan nella provincia di Pattani. L’articolo dice che, al posto di andare incontro alle accuse criminali, i sospettati di insorgenza possono fare sei mesi in un campo di riabilitazione. Il 20 di maggio quattro uomini malay musulmani, accusati di aver posto le bombe nel distretto Thepa di Songkla agli inizi di aprile, sono diventati i primi insorti sospetti a consegnarsi alle autorità sotto la quasi amnistia.
Anche se gli insorti potranno evitare il processo e gli attacchi di vendetta delle forze di sicurezza, arrendersi sotto un programma messo su soltanto dalle autorità thailandesi sarebbe pressoché inaccettabile dall’opposizione dei ribelli. Un militare, coinvolto nel programma di quasi amnistia, ha detto che l’addestramento sarà simile a quelli che sostengono nei controversi “centri di riconciliazione” nel campo militare Inkhayut di Pattani chi si è arreso e i sospetti catturati.
Secondo chi lavora per i diritti umani, gli ufficiali del centro hanno usato la tortura per costringere i detenuti a fornire loro informazioni sull’insorgenza.
L’ufficiale dell’esercito ha aggiunto che il programma dell’articolo 21 implicherà insegnare ai partecipanti la nozione secondo cui loro sono stati sviati. Gli insegnanti religiosi islamici insegneranno loro che l’Islam non è una religione violenta, contrariamente a quanto da loro ricevuto con l’indottrinamento da chi li ha reclutati. Nel frattempo, le autorità tenteranno di cambiare la narrazione nazionalistica di Patani secondo cui i Thailandesi hanno colonizzato il sultanato di Patani reprimendo per più di un secolo i musulmani malay con cose esagerate e infondate.
La ricerca comparata sui programmi di demilitarizzazione e reintegrazione per gli ex insorti ci dice che la natura unilaterale di questo di programma non aiuterà a facilitare la riconciliazione. Vi è un generale consenso nella letteratura secondo cui un fattore per il successo del programma è la partecipazione e l’idea degli insorti stessi. Tali programmi, implementati dal governo thailandese, non danno ai sospetti insorti una qualunque parola nel loro disegno o applicazione. Mentre ai capi politici e religiosi locali si chiedono i suggerimenti, alla fine i malay musulmani giocano un ruolo limitato e subordinato alle autorità.
Un militare di alto grado indicava che c’è spazio per modificare l’attuale disegno del programma e che il governo rivedrà, a giugno, l’articolo 21 e l’ISA, e che potrebbe revocare anche la legge marziale con il fortemente controverso decreto di emergenza, con il quale si permette ai militari la detenzione per interrogatorio senza accusa formale. Il decreto potrebbe essere rimpiazzato con la meno severa ISA per le intere tre province della regione di Pattani, Yala e Narathiwat.
Rappresentanti civili, compreso lo stesso Abhisit nel diventare primo ministro alla fine del 2008, hanno indicato in modo simile che queste leggi sarebbero state presto eliminate, ma sono stati subito consigliati dagli ufficiali della sicurezza che erano necessarie per contenere ed eliminare l’insorgenza. Comunque due fonti, una delle quali militari, dicevano che gli esponenti militari di alto livello stanno prendendo in più seria considerazione una amnistia completa per gli insorti.
Anche se molti ufficiali di alto livello riconoscono le motivazioni politiche piuttosto che criminali della maggior parte degli insorti, ancora sostengono che gli insorti hanno fatto degli atti criminali violenti che dovrebbero passare dal sistema giudiziario. Ufficiali militari più anziani paragonano questa generazione di insorti con i militanti del Partito Comunista della Thailandia, che, però notano, non avevano come obiettivo i civili durante i loro giorni d’oro della fine degli anni 70.
Due militari sostenevano che neanche un’amnistia completa sarebbe sufficiente a portare i capi degli insorti al negoziato, in quanto pensano che la loro campagna di guerriglia, basata su attacchi mordi e fuggi, ha il sopravvento contro le forze di sicurezza thailandesi. Mantenendo tattiche violente, i capi del BRN-C credono, forse, che possono migliorare la loro posizione nei negoziati e persino motivare un intervento esterno da parte della Organizzazione della Conferenza Islamica (OIC) o dell’ONU.
Pressione limitata
Le prospettive per un tale intervento internazionale rimangono comunque remote. L’ONU per esempio non ha mai sostenuto la causa nazionalistica Patani, e le forze di pace ONU sono raramente inviate in nazioni in cui lavorano grosse armate funzionanti, come quella thailandese che è una delle più forti del Sudest Asiatico con una lunga storia di vittorie contro minacce di ribellione nazionale.
Le organizzazioni separatiste ricercano l’intervento dell’OIC sin dal 1970 ma con pochi risultati. L’organizzazione ha criticato i vari successivi governi per le politiche di discriminazione e gli abusi dei diritti umani, ma non ha mai offerto sforzi seri di sostegno verso organizzazioni musulmane separatiste, sottolineando la sottostante debolezza dei movimenti nazionalistici di Patani, debolezza che appare tale, quando la si paragona alle altre organizzazioni nel sudest asiatico che hanno costretto con la forza i rispettivi governi a cercare un accordo negoziato. Si pensi ad esempio al MNLF filippino di Mindanao e al Movimento di Aceh Libera (GAM) in Indonesia; entrambe le organizzazioni avevano comandi centralizzati con forze militari molto più forti di quella della guerriglia, apparente senza capi, con una forza che oscilla tra i 2000 ai 5000 uomini nel sud della Thailandia. Benché la grande maggioranza della popolazione musulmana malay mal sopporta la presenza e la tattica dei militari, resoconti orali suggeriscono che il sostegno agli insorti è comparativamente marginale.
Mentre il movimento insurrezionale thailandese dei malay musulmani può essere debole e incapace di generare un intervento complessivo internazionale, la loro campagna ha prodotto una pressione moderata sul governo da parte della comunità internazionale affinché si ponga fine alla violenza e si affrontino le secolari problematiche politiche e culturali mediante una soluzione politica. Negli ultimi anni, ci sono state varie organizzazioni internazionali che speravano di aiutare a facilitare un accordo di pace duraturo.
Dappertutto, i leader thailandesi hanno sostenuto pubblicamente che il conflitto è un problema interno che può essere risolto senza un intervento esterno. Allo stesso tempo i pubblici funzionari sono zelanti nel segnalare che il governo sostiene concetti come multiculturalismo, governo decentralizzato e giustizia universale.
Queste preoccupazioni di reputazione potrebbero spiegare perché alcuni ufficiali abbiano, di recente, rivelato alla comunità internazionale che il governo guidato da Abhisit stia tentando di raggiungere i rappresentanti dell’insorgenza. Ma se sia il governo di Abhisit o uno nuovo sotto una nuova guida, la volontà politica di negoziare con gli insorti resta poca tra la maggioranza dei burocrati, tra i comandi militari e la larga popolazione thailandese buddista.
Alcune riforme politiche per il lontano meridione potrebbero sembrare accettabili a qualcuno ma il solo modo legittimo per implementarle sarebbe un processo politico formale. Dopo varie crisi politiche d’alto profilo e assassini, un accordo di pace formale che garantisca le concessioni politiche agli insorti, responsabili della violenza brutale contro i civili buddisti, contro rappresentanti governativi e le forze di sicurezza, non andrebbe molto d’accordo con la maggioranza della nazione.
Con un basso sostegno tra la popolazione, con la limitata pressione internazionale e con un movimento di insorgenza apparentemente privo di testa e diviso, sembra altamente improbabile che Bangkok elaborerà presto un accordo di pace con gli insorti. Quella forse è una ragione per cui le autorità, che conoscono il processo del dialogo, si riferiscono agli incontri mediati come “colloqui” piuttosto che “negoziati”.
“Dio, la morte e la politica. Quando parlare non costa nulla” di Jason Johnson, apparso su AsiaTimesonLine