Col collasso del turismo cinese dopo lo scoppio dell’epidemia mortale del Coronavirus a Wuhan, il sudestasiatico vede perdite miliardarie nelle entrate.
Da Luang Prabang nel Laos a Pattaya in Thailandia, ad Hoi An vietnamita, alla città del gioco d’azzardo cambogiano come Sihanukville, tutti subiscono il collasso del turismo cinese che si ritrova con tantissime restrizioni sia interne che all’estero.
“Da quando hanno chiuso la strada che scende dallo Yunnan non vediamo cinesi da una decina di giorni almeno. Stiamo perdendo dal 20 al 30% e può solo andare peggio” dice ad AFP un venditore ambulante di frutta a Luang Prabang sulle rive del Mekong.
“Il mio amico ha perso almeno quattro o cinque grossi gruppi di turisti cinesi che gli avrebbero dato da sopravvivere per tutta la bassa stagione” dice lo stesso ambulante del suo amico che fa la guida turistica.
Il colpo lo si sente più forte in Thailandia dove gli arrivi erano in media di un milione di turisti di cinesi al mese, ed ora a febbraio si è avuto un calo di arrivi pari al 90%.
“La gente ha paura di venire” dice un gestore di un parco di elefanti a Pattaya che vede il rischio di dover abbandonare la sua azienda per il peso dei debiti accumulati. “Se continua così dovrò andare a chiedere in prestito denaro alla banca”
A colpire è comunque anche il minore arrivo di turisti occidentali nell’alta stagione sia per la vicenda coronavirus che per la moneta thailandese che si è apprezzata abbastanza finora.
La Thailandia perde finora almeno cinque milioni di turisti con un calo di 8 miliardi di dollari di entrate, secondo Don Nakornthab della Banca di Thailandia.
“Le nostre speranze che l’economia migliori rispetto allo scorso anno sono molto basse … potrebbe crescere al di sotto del 2%.”
Le conseguenze per chi lavora nel settore turistico sono cattive ed in molti in Thailandia potrebbero trovare più attraente tornare nelle province di origine.
In questa situazione c’è competizione tra i paesi dell’area del Mekong per chi deve attrarre i pochi visitatori cinesi che girano.
La Thailandia, che è il paese più colpito dalle infezioni dopo la Cina con 35 infezioni confermate di cui 2 di thailandesi, mantiene ancora il visto all’arrivo per i turisti cinesi facendo sorgere la paura che il paese preferisca l’economia alla crisi sanitaria, grazie anche alla manifesta incapacità di alcuni ministri del governo.
Di alcuni giorni fa è la notizia che la Thailandia rifiutò di acconsentire l’attracco della nave da crociera Westerdam di attraccare ad un suo porto e permettere il ritorno in patria di molti turisti, anche se al momento sulla crociera non vi era nessun caso di infezione.
Negli stessi giorni però continuava imperturbato l’arrivo di navi di crociera che avevano in Phuket una loro fermata.
In questa crisi di turisti, il premier Cambogiano Hun Sen decide di accogliere la Westerdam, di fare sbarcare i turisti che accoglie abbracciandoli anche nel porto con una politica di porte aperte, celebrata in nome dei diritti umani per respingere la recente posizione europea di introduzione di misure doganali per l’EBA.
La Cambogia al momento ha un solo caso di infezione ed un altro caso di infezione giunge proprio dalla Westerdam, dove una donna americana anziana aveva manifestato sintomi ma non risultava infetta. La donna che era stata abbracciata da Hun Sen è andata in Malesia dove è stata confermata positiva al Coronavirus.
Hun Sen ha sempre minimizzato il rischio di contagio sin dagli inizi, ma il colpo lo subisce anche la Cambogia, dove la vendita dei biglietti per vedere Angkor sono crollati del 35% di media e dove la spiaggia di Sihanoukville è stata abbandonata da turisti cinesi, non solo per il virus comunque.
La ricerca di una cura o di un vaccino è la speranza a cui molti si appellano per vedere il ritorno in massa dei turisti.
Un caso a parte forse è l’Indonesia che non ha casi di infezioni conclamate ma vede Singapore con 77 infezioni, Hong Kong con 58 ed il Giappone con 518.
Le scene di accaparramento di beni non deperibili, come mascherine, disinfettanti e detersivi, da parte di cittadini presi dal panico che hanno svuotato molti centri commerciali sono avvenute sia a Singapore che Hong Kong che anche a Giacarta.
Scrive su SCMP, Joe Cochrane
“Fino a venerdì né il governo indonesiano né OMS hanno confermato un solo caso di infezione di Covid-19 nel paese nonostante sia circondato da paesi con infezioni.
Restano in quarantena centinaia di cinesi ed indonesiani che sono stati in Cina di recente e, secondo il JakartaPost sono uno studente universitario è stato posto in quarantena nelle isole Maluku dopo il suo viaggio in Malesia.”
A Giacarta una ricerca a caso in farmacie commerciali vicino al centro Giacarta ha mostrato che mascherine, salviette disinfettanti e detersivi per la casa erano stati tutti venduti, e la cosa si è ripetuta in tanti altri centri dell’arcipelago.
Che ci sia scetticismo sui dati forniti dal governo indonesiano si capisce anche.
“Marc Lipsitch, professore di Harvard che ha prodotto una ricerca per individuare i paesi che potrebbero avere casi non trovati di virus ha difeso quanto da lui trovato nonostante il governo indonesiano provi a smentirlo.
Lo scopo del nostro studio è vedere se i casi individuati sono rappresentativi davvero del numero di casi. Per farlo abbiamo esaminato la relazione statistica tra il numero di viaggiatori in un paese ed il numero di casi individuati. C’è una media internazionale di 14 viaggiatori per giorno associati ad un caso individuato durante l’intero periodo. Secondo questo standard l’Indonesia si sarebbe dovuta attendere di avere cinque casi ma nello stesso periodo ha avuto zero casi”.
La paura forse nasce sia dalla cattiva storia sanitaria indonesiana in precedenti infezioni e dal vedere ciò che è accaduto in paesi con un servizio sanitario più efficiente e pronto, come Singapore.
Vi è anche secondo molti la paura che l’arrivo dell’infezione possa causare un’impennata dei prezzi.
“Alcuni provano a trarre vantaggi. L’economia è fatta di domanda e risposta e loro lo fanno per un proprio tornaconto perché la gente ha paura” dice una donna a SCMP che lavora in un ufficio di Giacarta e siede a fare colazione ad un ristorantino di strada. “Ma ho paura, come credo tutti. Non è così? Credo che l’immunità del mio corpo vada bene, ma a Singapore stanno ripulendo gli scaffali dei supermercati”
Lì vicino Saipul che ha tre ristorantini dice che la paura del virus ha fatto salire di molto i prezzi di merce come aglio, peperoncino, uova, verdure fino al doppio.
“La gente pensa al virus e vedi cosa accade. I prezzi sono già abbastanza alti. La gente ha paura”.
Si legge su SCMP
Queste paure sono state espresse anche online. Su un sito popolare e-commerce indonesiano il prezzo di una lattina di disinfettante internazionalmente noto Lysol si è quadruplicato da sei a 22 dollari. Il formato da 500 grammi a Palembang a Sumatra meridionale si vende per 50 US$.