Le voci importanti liberali thailandesi che dibattono su legge di lesa maestà sembrano incapaci di comprendere il problema grande di questa campagna di odio.
Dopo le elezioni del 3 luglio, la Commissione Elettorale ha ratificato l’elezione dei nuovi deputati, permettendo così la convocazione del parlamento per la prima volta, l’elezione del presidente del Parlamento ed aprendo la via alla nomina di Yingluck Shinawatra a presidente del consiglio.
Sono altissime le aspettative sia sul piano sociale che sul piano più politico e di libertà. Dall’aumento salariale, al salario minimo, ai computer per classe, alla promessa di rivedere la legge di Lesa Maestà, alla liberazione dei detenuti per reati di pensiero, al problema della riconciliazione nazionale.
Nel commento che segue di Andrew spooner, su AsianCorrispondent.com, si discute del rapporto tra libertà di stampa e di espressione e la libertà individuale nel contesto altamente volatile della Thailandia, tra media di estrema destra che incitano alla violenza più atroce e la chiusura di spazi di discussione politica. Un dibattito che ricorda da vicino quanto accade anche da noi in Italia.
La mancanza di voce dei liberali thailandesi
Nel 2010, mentre in Thailandia si era tutti indaffarati a contare i morti dopo il massacro di Bangkok ordinato dall’allora primo ministro Abhisit, una ragazza di appena 17 anni lasciò un messaggio sulla sua pagina pubblica di Facebook di critica verso la Monarchia, di un tono così lieve e velato da non procurare l’incriminazione sotto la dura legislazione della legge di Lesa Maestà. Ma quello che attirò su di sé fu qualcosa di gran lunga più sinistro.
Nel giro di qualche giorno dopo quel commento, contro la ragazza cominciò a crearsi una brutta e lunga campagna di odio, con centinaia di minacce di violenza e di morte. Furono rilasciati il suo indirizzo e i suoi dettagli personali sui social media (e voi evangelici del social media non siete rimasti allora delusi?), mentre la stessa famiglia ha vissuto simili livelli di minaccia.
Nessuno metteva in discussione il contenuto di quello che la ragazza sosteneva ma si lasciavano andare ad un flusso infinito di incitamento alla violenza.
E’ stata una cosa disgustante e rivoltante di cui sono stato testimone che ha infranto del tutto la libertà di parola e il diritto a vivere una vita senza minaccia da parte di questa ragazza.
Seguirono le conseguenze nella vita reale con le università che non le permettevano di seguire i corsi di studio lasciandola nel terrore di finire fuori per strada. Cambiò persino il nome e rifece le domande di iscrizione, ma fu soggetta a nuovi attacchi quando fu scoperta la nuova identità.
Cosa fece il governo di Abhisit per proteggere i diritti di questa donna?
Nulla, assolutamente nulla. Restarono assolutamente in silenzio, non solo durante questa campagna particolare di odio, ma anche quando l’estrema destra thailandese iniziò a creare pagine su Facebook con le immagini degli attivisti delle Magliette Rosse uccise e dal titolo: “Godo nel vedere i cadaveri delle Magliette Rosse”.
Mentre si censuravano le trasmissioni di discussione politica e si chiudevano i media che li trasmettevano, i programmi di minaccia dell’estrema destra che fomentava spesso il razzismo non erano affatto toccati
Durante una discussione sulla legge di lesa maestà, nel 2011, negli uffici del Prachatai a Bangkok, parlai con un amico, fortemente rispettato per il suo impegno nella lotta per i diritti umani, sulla disobbedienza civile. Mi diceva:
“E’ estremamente difficile dire qualcosa sulla legge di lesa maestà, e non a causa della polizia e dei tribunali, quanto per la campagna di odio e di minacce in cui sono attivi i media dell’estrema destra thailandese. Minacciano le famiglie, gli amici, rendono pubblici il tuo indirizzo di casa e diffondono bugie nauseanti e maliziose. Di questo ho più paura.”
Mentre ora la Thailandia si prepara a cambiare governo, ci sono nuove richieste di proteggere la libertà di espressione, perché siano rigettate le norme più draconiane della legge di lesa maestà e perché siano liberati i prigionieri accusati in base a tale legge.
Eppure le voci importanti liberali thailandesi che dibattono su questa legge sembrano incapaci di comprendere il problema grande di questa campagna di odio.
Alcuni credono che il fatto di proteggere il diritto di espressione di persone che iniziano queste campagne di odio e di minaccia distrugga i diritti delle vittime di tali campagne è decisamente mal considerato. Nessuna democrazia al mondo tollera che certe minacce siano fatte ripetutamente, e non si dimentichi che nel mondo in via di sviluppo lasciare sviluppare certe campagne può avere potenziali orribili conseguenze
Ci sono pochi dubbi ora che il Genocidio del Ruanda nel 1994 fu in parte ispirato dalle trasmissioni dei media fanatici degli Hutu che per mesi furono al lavoro in una lunga campagna di denigrazione razziale e di odio che chiaramente chiamava alla violenza e all’intimidazione.
I Tutsi, di cui 800 mila morirono nel genocidio, furono presi ad esempio e paragonati ad animali da macellare. Le donne Tutsi erano ripetutamente denigrate e denunciate come oggetti sessuali da stuprare e deturpare. Quando alcune voci dissero che queste radio dovevano essere chiuse, i “liberali” difesero il loro diritto di espressione e al rispetto del loro diritto ad incitare alla violenza, all’omicidio, allo stupro in un paese già sull’orlo delle ostilità.
Chi ha studiato la storia thailandese saprà di un simile noto caso che coinvolse il ministro Samak Sundaravej.
Nel 1976 durante le proteste degli studenti nell’Università di Thammasat a Bangkok, Samak, allora un presentatore di una stazione radio dell’estrema destra delle forze armate thailandesi, incitò ed esortò la gente ad attaccare gli studenti. Il massacro che ne risultò, con centinaia di studenti uccisi nei modi più brutali, risultò uno dei momenti più infami del dopoguerra thailandese.
Questo fa sorgere una domanda che i liberali thailandesi non possono ignorare: chi ha bisogno di essere protetto di più? Chi usa i media per minacciare ed incitare alla violenza o chi è minacciato?
E naturalmente, in una nazione in cui i media sono concentrati nelle mani di militari e di fanatici ricchissimi di estrema destra, tale gente potente dovrebbe avere la possibilità di intimidire e minacciare la gente comune quando e come vogliono? Se i liberai thailandesi condannano i governi che iniziano in tal campagna di odio, perché non si dovrebbe prendere posizione contro interessi potenti del settore privato quando fanno la stessa cosa? Ed infine, dovrebbero i “liberali” e i progressisti e chiunque sia interessato alla democrazia in Thailandia fare delle campagne per difendere il diritto di quelli che sono impegnati in simili campagne di odio?
Sembra che alcuni confondano la tolleranza, protetta dalla legge e che permette l’emergere di un pluralismo genuino di voci, con la libertà di infrangere i diritti dell’altro usando i media come un veicolo per instillare paura e incitare alla violenza.
Rendere illegali e penalmente perseguibili le campagne minaccianti di odio che incitano alla violenza e chiudere i media che si impegnano in simili campagne non vuol dire fare della censura o essere intolleranti, ma porta alla protezione di uno spazio dive può avere luogo un pieno dibattito libero dalla minaccia e dall’intimidazione.
E certo, i limiti di quello che si può categorizzare come intimidazione sono facili da decidere per legge e ce ne sono di innumerevoli esempi. Il Broadcasting Code e il codice della Press Compliants Commission britannici sono due esempi di come regolamentare contro il genere di intimidazione e di minaccia spesso razzista ed omofobica e politicamente segnata che è prevalente in Thailandia senza perdere i diritti democratici sia alle libertà di espressione e di parola.
Le sanzioni includono multe per i giornali e il ritiro della licenza di pubblicazione. L’incitamento alla violenza contro gli individui è considerato un puro reato da trattare nei tribunali, mentre la diffamazione e il libello sono trattati al livello civilista.
Un ultimo pensiero. I liberali thailandesi sono ben informati per poter richiamarsi ad un ambiente dei media regolamentato guidato da valori bilanciati quando non ci sono quelle specie d campagne di odio. Essere liberali, tolleranti non significa permettere al potente di intimidire il debole, bensì proprio il contrario.