Il 25 luglio scorso, 50 operai della fattoria di scarpe a Huey Chuen, alla periferia della capitale cambogiana Phnom Penh, caduti a terra svenuti mentre lavoravano, furono ricoverati in ospedale.
Era il secondo incidente del genere in quella azienda, dopo che uno stesso fenomeno, in cui furono coinvolte duecento donne, accadde in aprile. Il gigante tedesco degli abiti sportivi, Puma, per cui lavora la fabbrica in questione, ordinava un’indagine alla associazione Fair Labor Association.
Essa giungeva alla conclusione in cui si affermava che molto probabilmente gli svenimenti ad aprile erano stati causati dalle eccessive ore di lavoro, oltre a mettere in luce una serie di problematiche legate alla sicurezza e all’ambiente di lavoro, come l’uso di solventi nocivi quali il toluene, una sostanza ad alto rischio di danneggiare il sistema nervoso centrale, bandito dalle produzioni della PUMA.
Dove si va con l’industria del settore dell’abbigliamento in Cambogia? E’ un settore che dà lavoro a 300 mila persone ed è molto importante per la giovane economia della nazione. Secondo le cifre ufficiali del ministero dell’economia, le esportazioni del settore costituiscono la stragrande maggioranza delle esportazioni contribuendo per il 16% del PIL.
Ma nonostante via una crescita salutare dopo la crisi del 2008/9 è oggetto di crescenti indagini. Gli scioperi nazionali di settembre 2010 che coinvolsero almeno centomila lavoratori per un aumento della paga minima, rappresentò l’ondata maggiore di sempre di azione industriale. Casi di svenimento sono diventati più comuni, o forse solo piú denunciati; e i sindacati lamentano della corruzione nell’industria e della mancanza di applicazione degli standard del lavoro.
Al centro di queste preoccupazioni, secondo un recente lavoro da parte de la Clinica dei diritti umani Allard Lowensterin della Yale Law School, è l’accresciuto uso dei contratti a durata fissa (FDC) da parte dell’industria dell’abbigliamento. Il rapporto afferma che l’adozione dei contratti a breve durata come gli FDC in opposizione a quelli indeterminati, ha accresciuto l’insicurezza per i lavoratori, ha attizzato contenziosi e minacciato di mettere in pericolo il vantaggio importante della Cambogia come produttore di abbigliamento, la sua reputazione.
«Lo spostamento verso contratti a tempo determinato ha comportato una tremenda insicurezza dei lavoratori, alimentato l’antagonismo tra i sindacati e le direzioni di fabbrica ed una minaccia alle relazioni industriale pacifiche» afferma il rapporto dove si legge anche che gli scioperi dello scorso anno potrebbero divenire una caratteristica ricorrente se non si dà più sicurezza ai lavoratori.
Moeun Tola, capo del progetto sul lavoro presso il Centro di Educazione alla Legalità della comunità, si è detta d’accordo che l’uso di contratti brevi, che a loro avviso sono illegali per la legge cambogiana, minacciano i diritti del lavoro. In particolare, diceva che permettevano alle fabbriche di risparmiare sui bonus di anzianità e di usare la minaccia della disoccupazione per costringere i lavoratori a fare più ore di lavoro.
«Non si sentono lavoratori permanenti» affermava Tola parlando di chi era assunto per brevi periodi. « se si lamentano, anche per delle trattenute o perché hanno sbagliato i conti… il contratto non sarà rinnovato.»
Il rapporto afferma che la migrazione verso i contratti a breve termine, iniziati tra il 2005 e 2006, potrebbero avere un impatto sui profitti delle industrie dell’abbigliamento in Cambogia.
«La competitività dell’industria cambogiana e la serietà con cui il governo affronta gli obblighi legali internazionali a tenere alti i diritti del lavoro cambogiano vanno visti come legati in modo inestricabile… l’uso dei contratti a breve minaccia di distruggere la reputazione della Cambogia, il suo vantaggio principale di competizione rispetto a produttori più economici.»
Ken Loo, segretario della Associazione degli industriali dell’Abbigliamento Cambogiana (GMAC) afferma che quanto trovato dal rapporto non è valido, e che questi contratti sono perfettamente legali. La ragione per il crescente uso di questi contratti va cercata nel margine stretto con cui operano le industrie e nei contratti che sono garantiti su base stagionale, spesso da tre a sei mesi.
«La ragione per cui le industrie fanno così è che non hanno sicurezza dai compratori. Se le industrie hanno sicurezza solo per tre o sei mesi, come possono offrire contratti a tempo indeterminato ai lavoratori? E’ il modo in cui l’industria lavora al momento.»
Nel frattempo i lavoratori, diceva Ken Loo, non erano stati costretti ad accettare i contratti ma li firmavano di loro volontà.
Comunque alcun indicano problemi sull’applicazione della legge del lavoro cambogiano per le condizioni di lavoro. Secondo un altro rapporto della ILO, Organizzazione internazionale del lavoro, l’adesione con gli standard dell’organizzazione è diminuita nei mesi passati. Il rapporto, analizzando i dati provenienti da 186 industrie tra novembre ed aprile, ha scoperto che, benché gli standard rimanessero alti in genere, «restano alcune aree di preoccupazione , specie riguardo la discriminazione, lo straordinario e la salute e salvaguardia occupazionale.»
Si scopriva che il 79% delle industrie esaminate dava la paga minima sindacale ai lavoratori occasionali, quando sei mesi prima era 89%, e scendeva al 97% le industrie che davano la paga sindacale completa.
Ma sempre più subappaltatori operavano, di cui non si conoscono cifre esatte, nell’oscurità. Nel 2009 si individuavano da 70 a 100 subappaltatori che non erano registrati né presso il progetto della ILO nè presso quello della GMAC.
«Le ditte internazionali vedono solo ai rapporti del BFC (ILO) poiché sono molto ufficiali… ma il rapporto non riflette la realtà al cento per cento.» diceva Tola. I critici affermano che il governo sta stringendo i freni sui sindacati. Dopo lo sciopero di settembre, la polizia secondo le notizie ha accusato i lavoratori sindacalizzati , mentre centinaia di lavoratori del sindacato erano sospesi dal lavoro in una chiara punizione per aver fermato la produzione. In una lettera aperta ai committenti internazionali dell’abbigliamento, la Federazione Internazionale dei diritti umani (FIDH) esprimeva la preoccupazione della risposta governativa a quello che erano degli scioperi legittimi.
«La decisione del governo cambogiano di prendere azioni repressive e di minaccia contro le persone coinvolte getta seri dubbi sul suo impegno a rispettare gli standard dei diritti dei lavoratori.» citava la lettera del FIDH che aggiungeva come le azioni, per il fatto di minacciare le condizioni di lavoro nelle industrie dell’abbigliamento cambogiane, «rendevano più difficile per le aziende internazionali mantenere gli impegni per assicurare il rispetto dei diritti dei lavoratori nella catena complessiva e perciò evitare rischi di reputazione.»
Tola aggiungeva anche che una nuova legge sui sindacati, attualmente in fase di stesura, potrebbe mettere in pericolo il futuro stesso del sindacato, conferendo al ministro del lavoro discrezione piena per sospendere o cancellare la certificazione di un sindacato, permettendo anche l’azione giudiziaria nei confronti dei sindacalisti che si operavano per scioperi «illegali». Tola diceva: «E’ totalmente pericoloso per la libertà sindacale se passa la legge. Ci sarebbero ancora i sindacati ma che devono tenere la bocca chiusa.»
L’industria dell’abbigliamento sembra trovasi ad un punto critico: l’aumento dei salari in paesi come Cina e Bangladesh in seguito ad azioni industriali potrebbero fornire opportunità per gli operatori cambogiani. Il presidente degli industriali manifatturieri si diceva ottimista sul chiaro futuro dell’industria, nonostante gli svenimenti che a suo dire era difficile imputare alle condizioni di lavoro. «Le fondamenta dell’industria sono sempre stati abbastanza forti. Non prevedo cambiamenti nel vicino futuro.»
Tola diceva che sarebbe stato vero se i produttori bilanciassero i propri profitti con i diritti e le condizioni del lavoro. «L’industria dell’abbigliamento è molto fragile. Se la Cambogia non pensa a questo genere di problemi .. temo che non si possa reggere»
tradotto da SoutheastAsiaGlobe, di Sebastian Strangio, Frying at the edges?