Gli eventi estremi climatici pongono davanti a tutti nel Sud Est Asiatico le tematiche di uno sviluppo sostenibile
Le alluvioni in Thailandia, Cambogia, Vietnam pongono sempre di più il problema del rapporto tra le attività umane, il modo capitalista di produzione e le problematiche ambientali agli occhi di tutti.
Il modello di sviluppo basato sulle esportazioni, sullo spreco delle risorse, sul turismo che offre tute le comodità “occidentali” nei posti più sperduti della terra non è sostenibile, rappresenta un grosso speso di risorse, una grossa distruzione di ambiente. In questo articolo di Karim Raslan, Asia had better go green, scrittore e giornalista malese, si discute di questi temi.
Asia fa meglio a seguire un modello di sviluppo sostenibile
L’acqua e le piogge dei monsoni sono stati tradizionalmente degli elementi vitali negli alti e bassi della vita nel Sud Est Asiatico. E sono degli aspetti vitali della cultura stessa della regione e ne sono testimoni i molteplici riferimenti all’importanza delle piogge nella letteratura malese o nel folklore indonesiano. Tutti in fin dei conti sottolineavano il bisogno dell’uomo di vivere in armonia con la natura.L’agricoltura e il commercio sarebbero impossibili senza le piogge ed il vento, e fiumi quali Mekong, l’Irrawaddy ed il Musi sono stati culle di importanti Regni.
Ultimamente comunque questo equilibrio si è rotto. Grazie al cambiamento climatico la natura è diventata più mutevole ed estrema. Non abbiamo più la certezza dei nostri antenati quando contavano le stagioni.
Molto di questo è stato un nostro affare. Abbiamo perso il rispetto per la natura nella corsa verso il ridisegnare il paesaggi per costruire case, strade e industrie, senza curarsi delle conseguenze. Il recente diluvio in Thailandia è quindi una sveglia. Alluvioni simili o altri disastri naturali hanno colpito Cambogia, Vietnam, Filippine e persino Singapore nei pochi anni precedenti, incidenti che sottolineano la vulnerabilità dei nostri bassi litorali ed aree costiere densamente popolate.
L’Indonesia non è stata immune: la gente si sta già preparando per gli annuali alluvioni che le piogge di Novembre causano. Giacarta Meridionale ne è già colpita, mentre il presidente Yudhoyono invita il governatore della città ad affrontare il problema immediatamente.
Tutto questo deve farci chiedere: I nostri capi non hanno capito nulla? Da molti anni, i governi dell’Asean presentavano l’economia e l’ambiente come esclusivi: puoi avere uno o l’altro. Si lanciavano contro l’ipocrisia dell’occidente che dava lezioni alle nazioni in via di sviluppo mentre essi continuavano ad inquinare.
All’inizio devo ammettere che ero uno degli scettici. L’intera questione “verde” sembrava debole se paragonata al bisogno delle nazioni in via di sviluppo di progresso. Tuttavia la serie recente di alluvioni mi ha costretto a riconsiderare i miei convincimenti. Una transizione simile sta avvenendo nella regione.
I thailandesi si stanno domandando con forza le cause di questa tragedia. E’ stata l’insistenza di immagazzinare acqua nelle dighe del nord nonostante le inattese forti piogge ? Sono state le costruzioni rampanti nelle piane alluvionali o la deforestazione? Un’incapacità di anticipare un improvviso cambiamento nei periodi di pioggia? Indipendentemente dalle cause, non si può negare che la scala delle attività umane che hanno luogo in tutta l’Asia hanno reso molto più costosi il trattare con i disastri naturali. Una cattiva gestione ambientale è economicamente distruttivo. I danni dall’alluvione in Thailandia potrebbero aggirarsi a più di 16 miliardi di dollari e la crescita del PIL di quest’anno potrebbe essere ridotto di più del 3%, mentre per la Cambogia il danno potrebbe aggirarsi attorno ai 400 milioni di dollari.
Inoltre le alluvioni implicano una serie interruzione per l’ approvvigionamento alimentare della regione dal momento che la Thailandia è il più grande esportatore di riso al mondo. Le sue esportazioni potrebbero diminuire di un terzo nel 2012 con serie ripercussioni per i suoi maggiori clienti, le Filippine e l’Indonesia. I problemi ambientali possono anche accrescere i rischi politici in Thailandia, dove le alluvioni e la politicizzazione degli sforzi della risposta hanno esacerbato le ferite ancora aperte della società divisa thailandese.
I disastri naturali hanno anche reso la gente ordinaria sempre più stanca dello sviluppo che a sua volta sta rafforzando il “movimento verde “ regionale persino nella più lontana ed autoritaria Cina. Una manifestazione di 12 mila dimostranti in Dalian, lo scorso agosto, ha costretto alla chiusura una impopolare industria chimica in una zona industriale pesantemente industrializzata di una città facile per l’investimento. Le implicazioni politiche di questo atto non vanno però esacerbate.
I disastri ambientali spesso suggeriscono un fallimento da parte del governo di gestire le risorse sotto la loro amministrazione, e dono dimentichiamo che le cause ambientali sono spesso dei cavalli di troia per i dissidenti politici, come nel caso dell’Indonesia nel nuovo ordine di Suharto.
In modo simili le multinazionali scoprono che le loro attività sono spesso indagate e non è più accettabile che si rovinino vite per perseguire il profitto.
I giorni dell’apatia sono ovviamente finiti in Oriente. Come ha scritto nel 2007 uno studioso filippino dedicatosi alla politica, Walden Bello, è sbagliato assumere:
“le masse asiatiche sono elementi inerti che accettano acriticamente l’alta crescita dannosa per l’ambiente, i modelli di industrializzazione volti all’esportazione promossi dalle elite al governo. E’ sempre più chiaro a tutta la gente comune in Asia che il modello ha fatto naufragare l’agricoltura, allargato le ineguaglianze sociali, condotto ad una maggiore povertà dopo le crisi finanziarie asiatiche e causato danni ambientali dovunque.”
La crescente prosperità della regione sarà priva di senso se non si accompagna anche alla protezione ambientale. Abbiamo il dovere di conservare la ricchezza che si presenta per le generazioni future e non la dobbiamo permettere che la si sprechi per la brama o le priorità sbagliate.