Le voci secondo cui un decreto del governo permetterebbe all’ex premier Thaksin di chiedere il perdono del Re hanno fomentato la rabbia, in modo prevedibile, tra i Thaksinofobi. Alcuni, nell’affermare la santità del governo della legge, invocano un altro colpo di stato, senza il più piccolo senso di ironia per cui un golpe non verrebbe a salvare il governo della legge, ma lo ucciderebbe del tutto. Quelli immuni da questa Thaksinofobia sono anche preoccupati per il governo della legge, sebbene per ragioni differenti. Percependo questa mossa discutibile come una approvazione della decisione della corte contro Thaksin e una giustificazione per il precedente golpe che portò ad essa, preferirebbero che il governo implementasse le raccomandazioni del 19 settembre scorso di un gruppo di accademici illuminati, il gruppo degli illuminati, affinché il governo getti alle ortiche tutti i frutti marci del golpe del settembre del 2006.
Per delegittimare i golpe, la proposta mira ad annullare tutte le azioni legali prese di conseguenza, quando Nitirat (del gruppo degli illuminati) discute che il frutto di un albero velenoso deve anch’esso essere velenoso. Perciò dovrebbe essere invalidato il verdetto contro Thaksin per le accuse di corruzione, causate dal golpe del 2006. Il che non esonererebbe il già premier dal fatto che l’accusa possa essere riportata davanti ad una corte in un clima politico più equo.
La metafora di Nitirat del frutto velenoso ci porta al precedente legale del 1920 di Silverthorne Lumber Company contro li Stati Uniti, dove le prove ottenute illegalmente non furono ammesse come base per la decisione. Il gruppo potrebbe ben aver adottato una metafora simile tratta dal sutta Bija nel Tipitaka quando Budda disse: “Allo stesso modo di quando un seme del neem, della varietà più acre, viene piantato in un suolo umido e qualunque nutrimento riceve dal suolo e dall’acqua, tutto porta all’amaro, all’acidità e al cattivo gusto. Perché? Perché il seme è male”
Il Budda spiegava che, allo stesso modo, quando una persona ha un punto di vista errato, tutti i suoi atti portano al disaccordo, alla cosa non piacevole, poco attraente, non usabile e dolorosa. Nitirat avrebbe potuto prendere in prestito questa similitudine per affermare che un processo, iniziato con un punto di vista parziale, non può portare ad un risultato senza pregiudizi.
Se la democrazia Thailandese è un albero, la maggioranza dei Thai sarà d’accordo con l’affermare che è infestato dalla erba della corruzione da quando è nato. Comunque invece di estirparla con metodi democratici come nelle altre nazioni, molti thailandesi invocherebbero un golpe. E’ diventata questa una cultura che ha reso i golpe una istituzione del panorama politico thailandese.
Come un baniano, i golpisti sanno nascondere la loro natura machiavellica sotto una facciata di rispettabilità. Dal momento che crescono da semi deposti dagli uccelli su un altro albero, gli alberi di baniano sono identificati da Budda come uno “di quegli alberi immensi con semi piccoli e corpi enormi, che circondano altri alberi che si piegano, si contorcono e si dividono”.
Non c’è dubbio che i golpe hanno ritardato la democrazia thai, una cura peggiore della malattia della corruzione, e faremmo meglio a seguire il consiglio letto nel Palasa Jakata: “I saggi aborrono il parassita che soffoca la forma a cui si avvinghia; il saggio, temendo il pericolo dell’erbaccia distrugge la radice prima che emetta il seme.”
Non solo i golpe non riescono ad estirpare la corruzione, si deve dire che la aggravano poiché essi escono dallo stesso luogo della corruzione che apertamente cercano di eliminare. Nel “Il bene, il Male e altro”, il venerabile Payutto citava tre profanazioni: tahna, (desiderar per se stessi), Mana (desiderio didominare) e ditthi (tenersi attaccati alle opinioni) che “possono vedersi molto più chiaramente su scala sociale più che a livello individuale.” La corruzione è ovviamente causata dalla prima, il desiderio di vantaggi personali.
Ma vanno meglio i golpe? Il venerabile Payutto scriveva: “Accoppiata col desiderio di vantagi individuali, la ricerca del potere fa nascere lo sfruttamento, il nazionalismo e l’espansionismo, con tutto il caos susseguente.” Senza dubbio si possono aggiungere a quella lista i golpe.
Sempre alla ricerca di scorciatoie, i thailandesi amanti dei golpe, dimenticano che nessun fine buono può giustificare un metodo malvagio, in accordo col dharma che si dice essere bello nell’inizio (intenzione), amorevole nel mezzo (i metodi) e alla fine nei risultati. Due errori non fanno una cosa giusta.
Come spiegava il venerabile Payutto: “Guidati da una vista errata, qualunque altra cosa va male. Col giusto punto di vista, le azioni sono guidate nella giusta direzione.”
Credo che il circolo vizioso del golpe si basa sulla nostra cultura Amnat-Niyom. “la potenza fa il diritto” comporta un ciclo senza fine di golpe nella coscienza collettiva, come ha analizzato il Budda nel suo insegnamento dell’Origine Dipendente. Con l’ignoranza che vuol dire di non riuscire ad immaginare un’alternativa migliore, ad ogni pretesto ci lanciamo a chiedere il golpe. Questo trova la risposta nell’emergenza di un nuovo costrutto (sankhara). Per esempio Il Consiglio della Sicurezza nazionale del precedente golpe, con la sua propria coscienza per garantirsi l’amnistia. Si sono formate le misure legali e gli apparati politici, come il comitato di indagine delle proprietà, per giustificare la ragion d’essere del golpe e portare avanti la sua missione.
Questo crea una distorsione del sentire pubblico (salayatana) come i media o il sistema giudiziario che diventano irrazionalmente sovrasensibili allo stimolo originario, la corruzione, causando una senzazione dolorosa e (vedana) e un desiderio di liberarsi a tutti i costi. Serve per accrescere l’affidamento (upadana) al golpe come souluzione totale, approfondendo così l’ignoranza (avijja).
Poiché non hanno molto da mostrare nella lotta alla corruzione mentre i bilanci militari esplodono senza il minimo scrutinio, i golpe hanno causato da sempre ingiustizia ed effetti deleteri al governo della legge, alla democrazia e ai diritti umani. La dipendenza della Thailandia dai golpe deve ora finire, e le raccomandazioni del gruppo di Nirirat se messe in pratica, agirebbero come una chiave gettata in un circolo vizioso. Eliminando l’albero velenoso del “la potenza fa il diritto”, si spera che non solo saranno cancellati gli effetti dannosi del golpe sulla società Thailandese, ma saranno impediti altri futuri golpe.
Sfortunatamente, il presunto decreto, se vero, agirebbe esattamente all’opposto. Amnistie, perdoni perpetueranno la cultura dell’impunità, distruggendo il comando della legge e rinforzando il concetto “la forza genera il diritto” che è la causa del mistero in cui siamo. Una mente saggia ha scritto: “Pianta un pensiero e raccogli una azione; pianta un’azione e raccogli un costume; pianta un costume e raccogli un carattere; pianta un carattere e raccogli il destino.”
E’ tempo di assicurare che la Thailandia non sia condannata per sempre al destino dei golpe, sradicando l’albero velenoso del golpe che ha da sempre menomato la democrazia thailandese.”
La classe media sente che i politici non fanno nulla per loro se non truffare. Quella è la ragione perché un golpe è un modo senza senso di liberarsi dalla corruzione. La gente delle campagne, comunque, ora prende in seria considerazione la democrazia poiché si è trasformata in qualcosa che possono usare per forzare una distribuzione più equa di potere e risorse. Quella è la ragione per cui cacciare col golpe un governo eletto democraticamente non è ben visto da loro.
Come gestiamo questi punti di vista differenti in una società che si muove in avanti? Il venerabile Payutto scriveva: “Le direzioni sociali sono decise dal ditthi (ideologie, credi, punti di vista). Qualunwue senso di valore di una data cosa, indiiduale o sociale, è ditthi … A livello sociale, troviamo attitudini a cui aderiscono intere società. Quando c’è una convinzione nella desiderabilità di una data cosa, la società la sostiene. Questo sostegno collettivo diviene un valore sociale, una qualità a cui una società intera aderisce, che a turno fa pressione sui propri membri per perpetuare queste visioni o preferenze.”
Qualcuno discute che la democrazia è solo un punto di vista politico tra i tanti senza preferenze sugli altri, arrivando a dire che qualche governo militare occasionale fa bene alla nostra società. Se non altro, i cinque anni di turbolenza politica mostrano quanto sia divisa la società thailandese sul governo militare e sulla democrazia.
Qui si può dire che la democrazia non è soltanto un punto di vista ma n processo, il migliore in circolazione, per mediare tra i punti di vista in conflitto. Il Budda mise in guardia contro l’essere attaccati ad un punto di vista. La democrazia mitiga questo attaccamento attraverso il suo rispetto implicito per la diversità di vedute, la libertà di espressione e lo scambio di idee basate sull’uguaglianza, la non discriminazione e la non violenza. Una democrazia permette una moltitudine di punti di vista (esempio, sulle misure contro l’alluvione), sul come gestire le diversità dei punti di vista e sulle discussioni sui metodi di paragone di democrazia e dittatura. Un tale lusso esiste dirado in un sistema autoritario dove ci può essere una sola ideologia.
Cosa penserebbe il Budda della democrazia? Senza fare un resoconto esteso sul pensiero politico del Budda, i suoi insegnamenti sono stati usati a sostegno di differenti sistemi, ma si possono fare alcune deduzioni a partire da ciò che lui fece. Il Budda non modellò il monacato secondo un regno, ma secondo una confederazione di Vajjian, una delle più vecchie democrazie al mondo. Disse anche ai discepoli di cercare la guida dai suoi insegnamenti, senza nominare alcuno a succedergli. La Sangha, l’ordine ecclesiastico, è perciò governato non dall’autorità degli individui, ma da regole monastiche che richiedono ai monaci di essere soggetti a mutuo esame, proprio come lo dovrebbero essere i politici.
Quando la confederazione di Vajjian fu attaccata, il Budda citava i vantaggi di protezione del suo sistema democratico. Diceva che ci si può aspettare di prosperare fintanto che i Vajjiani “tenevano frequenti e regolari assemblee, che si incontrassero in armonia, che si separassero in armonia e facessero le loro cose in armonia…. non autorizzare ciò che non lo è già, e non abolire quello che non è stato autorizzato, si proceda secondo quanto autorizzato dalle antiche tradizioni”. Si possono interpretare i primi due come un’enfasi sul ragionare pubblico e la mediazione democratica delle opinioni, mentre l’ultimo può essere interpretato come il governo della legge.
Nell’identificare la democrazia col ragionare pubblico nel suo lavoro The Argumentative Indian, Amartya Sen scriveva: “Il ragionare pubblico include la possibilità per i cittadini di partecipare alle discussioni politiche e influenzare la scelta pubblica. Votare può essere visto solo come uno dei modi, benché sia molto importante, per dare effetto alle discussioni pubbliche, quando l’opportunità di votare si combina con l’opportunità di ascoltare e parlare, senza paura. Fin dove può arrivare il voto dipende criticamente dall’opportunità di una discussione pubblica.”
Amartya Sen ci ricordava anche come crebbero i primi buddisti su un tale spazio democratico: “I cosiddetti consigli buddisti, che avevano lo scopo di sistemare le dispute su differenti punti di vista, attiravano delegati da posti differenti e da differenti scuole di pensiero … erano in primo luogo attente a risolvere le differenze nei principi e pratiche religiosi, ma affrontavano anche le richieste di compiti sociali e civili, e aiutavano ulteriormente, in modo generale, a consolidare e promuovere la tradizione di discussione aperte su questioni contese.”
Mentre il buddismo originario dava un valore alle discussioni libere, gli stati moderni buddisti sembrano intenti a chiudere i dibattiti. Alcuni sono guidati come stati polizieschi dove ideologie e politiche sono dettate alla popolazione attraverso macchine di propaganda, mentre la censura chiude la libertà di espressione e lo scambio di idee. In altri, la democrazia esiste sotto forma di elezioni più che nella sua essenza. Il ragionare pubblico è zittito da lggi illiberali che permettono alla nazione di scivolare verso una forma autoritaria. Non c’è da sorprendersi allora che una raccomandazione del gruppo di Nitirat sia la revisione della legge di lesa maestà, che è stata trasformata in un’arma politica mortale piuttosto che salvaguardare la monarchia, come intesa alle origini.
Quando il Budda “mise in moto la ruota del dharma” col suo primo sermone, diede un nuovo significato all’antico simbolismo indiano della ruota, che precedentemente si riferiva non solo ad ogni ruota ma a quella della biga di guerra, l’equivalente dei carri armati di oggi. Mentre i riti bramani celebravano la legge suprema del monarca assoluto, o cakkavatti, uno che gira la ruota, il budda dichiarava che ogni membro della società fa girare la ruota. Nel sutta Vasettha diceva: “L’agire fa girare il mondo. Le azioni cambiano le generazioni di uomini. Gli esseri si tengono insieme attraverso l’agire come la ruota della biga dal perno.”
Se il governo ignorerà le proposte di Nitirat, questo non dovrebbe impedire alla gente di adottarle specialmente la “Dichiarazione sui valori fondamentali della democrazia liberale.” Sebbene, come lo stesso Nitirat ammette, questo non impedirà di per sé ai carri armati di girare per le strade, impedirà che i loro cingoli abbiano un’influenza nella mente della gente.
Una dichiarazione che promuova la democrazia partecipativa e i diritti umani forniranno un’alternativa ai golpe per combattere i mali sociali e politici corruzione inclusa. Intaccherà l’ignoranza, avijja, della cattiva immaginazione e costruirà la strada per la costruzione e rafforzamento della realtà politica e sociale, sankhara, dove i diritti dei cittadini hanno la priorità nella coscienza pubblica, vinnana, con apparati legali appropriati, namarupa, per assicurare la realizzazione di quei diritti.
Ciò aiuterà a formare gli organi pubblici come i media affinché diventano i guardiani dei diritti umani e della libertà. Le conquiste di questi diritti saranno accolte con un senso pubblico, vedana, di delizia, un desiderio do esaltare questi valori, ed un profondo impegno all’idea dei diritti umani come un principio che tiene una società unita. Mettere in moto la ruota della democrazia, questo dà una retroazione positiva al circolo virtuoso e caccia ancor di più l’ignoranza. Una volta che questa origine dipendente della democrazia e dei diritti umani mette radici nella coscienza collettiva, non potrà essere più distrutta o cacciata da qualunque golpe.
Da notare che le parole thai per stato e cittadini derivano entrambe dal termine sanscrito rastra. Lo stato e i cittadini possono essere solo visti come uno e lo stesso. Un giorno una società democratica thailandese più democratica ringrazierà Nitirat per averci ricordato che il governo della legge deve essere del popolo, da parte e per il popolo, né più né meno.