Avrà Noynoy Aquino la forza di rompere con il vecchio e dare un nuovo modello di sviluppo per le Filippine?
Le rivoluzioni che finiscono con un successo sono rare, ma sono anche più rare le riforme, dice Samuel Huntington nel suo libro “Political Order in Changing societies”. Oggi nelle Filippine sta avvenendo in forma anche drammatica ciò che può essere descritto come un lavoro serio per una riforma.
Se avrà successo dipenderà, in gran parte, da chi sta guidando, il presidente Noynoy Aquino.
Con la sua accanita determinazione di rimuovere il presidente della Corte Suprema Renato Corona considerato un blocco alla sua decisione di perseguire la ex presidente Gloria Arroyo, non ci sono più dubbi sulla sua serietà nell’eliminare la corruzione. Insieme con un governo di pulizia, Aquino si è mosso con decisione sul fronte contro la povertà espandendo in modo massiccio il programma di Trasferimento Condizionato di Contante per raggiungere 4,6 milioni di fmiglie o una popolazione di persone tra i 15 ai venti milioni per il 2014. Queste due spinte politiche insieme all’assenza di ogni possibile istanza di corruzione nell’amministrazione, hanno zittito gli scettici nei quartieri dei chiacchieroni e spinto l’opposizione alla frustrazione tanto da accusare in modo ridicolo Aquino di stare ad usare la crociata anticorruzione per stabilire una nuova dittatura.
Considerato che le due campagne contro la povertà e contro la corruzione sono ben avviate, il presidente deve ora porre la sua attenzione a sfide più grandi: dare vita ad una distribuzione più giusta della ricchezza, affrontare la crisi ambientale e porre le fondamenta di uno sviluppo economico sostenuto e sostenibile.
La riforma agraria è largamente vista come una cartina indicatrice dell’impegno della amministrazione alla giustizia sociale, e molti critici hanno attaccato il presidente per la sua lentzza sulla questione a causa dei suoi legami familiari. La risoluzione finale della corte suprema in favore della redistribuzione fisica dell’azienda Luisita (nelle mani dei parenti di Aquino) tra i suoi affittuari dovrebbe fornire l’impeto all’accelerazione e completamento del programma di riforma fondiaria.
Nel 2009 il Congresso approvò l’Estensione del programma di riforma agraria comprensiva conosciuta come CARPER. La misura estendeva il completamento della redistribuzione della terra di cinque anni stanziando 150 miliardi di peso. In questo mese di febbraio, Il dipartimento della riforma agraria (DAR) avrà solo 390mesi per completare la redistribuzione della terra. Le statistiche non sono incoraggianti secondo un rapporto do Focus On Global South: “C’è una piccola finestra per cmpletare la distribuzione delle terre… A dicembre 2010 il rapporto del DAR mostrava che 960726 (dei 5,1 milioni di ettari ) erano ancora distribuibili. Dal gennaio 2011 DAR avrà 320 mila ettari all’anno da completare per la distribuzione per 2014. Su base mensile DAR dovrbbe poter distribuire 26686 ettari al mese, una impresa impossibile considerata la sua attuale capacità di soli 12 mila ettari da gennaio a giugno del 2009 e 18 mila da gennaio a giungo 2010.”
La sfida è immensa ma alcuni osservatori dicono che se il presidente decide di promuovere la riforma agraria con atti decisi quanto lo sono quelli contro la corruzione, l’obiettivo potrà essere raggiunto.
La gestione dei disastri e della protezione ambientale pone un altro gruppo di sfide riformatrici. La serie dei disastri passati per il paese, dall’Ondoy a Sendong, sottolineano l’importanza di far approvare una legge sull’uso del suolo come anche una legge di gestione delle risorse minerarie. Se dovessero essere rese prioritarie dall’amministrazione, queste misure, in aggiunta alla messa al bando totale del diboscamento già imposto dal presidente, contribuirebbero in maniera significativa a ridurre la vastità della perdita di vite umane ed i danni derivanti dai disastri.
La sfida unica della riforma ambientale è che l’arena della riforma non è solo locale, ma globale dal momento che i fenomeni ambientali non rispettano le frontiere nazionali. La crescent frequenza dei disastri nel paese deriva da cambiamenti climatici che sono stati causati essenzialmente dalle emissioni di carbonio di nazioni ricche come gli USA e dalle cosiddette nazioni emergenti come la Cina. Quindi il governo deve giocare un ruolo da leader nei negoziati internazionali affinché le nazioni maggiormente responsabili riducano le loro emissioni di carbonio. Allo stesso tempo deve spingere in modo aggressivo per ottenere la propria parte di risorse derivanti dal fondo di adattamento al cambiamento climatico istituito sotto l’auspicio dell’ONU per fornire assistenza alle nazioni che come le Filippine si trovano sulla frontiera del cambiamento climatico.
Infine, l’amministrazione deve muoversi su quello che considero il compito più importante che deve accelerare lo sviluppo economico sostenuto e sostenibile. Il passaggio della legge della salute riproduttiva è stata dichiarata una priorità presidenziale. Una gran cosa, quesa legge mentre è una condizione per il decollo economico non è condizione sufficiente. Credo che il presidente ed i suoi consiglieri sono molto più vulnerabili concettualmente e programmaticamente sul problema di quale strategia per lo sviluppo è da adottare.
Lo slogan che gira alltraverso il piano di sviluppo di medio termine (MTPDP) è “Crescita inclusiva”. Il problema di questo approccio, che è per inciso per la maggiore nei circoli di sviluppo internazionali, è che non offre alcuna strada concreta allo sviluppo al di là della sua prescrizione che la maggior parte della popolazione dovrebbe condividere i frutti della crescita.
La stessa cosa è vera col mantra associato con il pensiero dello sviluppo dell’amministrazione: la partnership pubblico privato (PPP). Qui il problema è che PPP non è una strategia ma un metodo per realizzare gli obiettivi di una strategia. Quindi alcuni progetti possono essere meglio eseguiti da PPP, altri dal solo governo, altri solo dalle imprese private. Ma si deve articolare la strategia per prima cosa, o il processo diventerà semplicemente un esercizio di calcolo nel ridurre i costi di progetto vuoti di un contesto di sviluppo.
Qual’è il percorso di sviluppo che deve intraprendere il paese? Potrebbe essere a riguardo utile discutere il percorso precedente. Il percorso economico precedente, portato avanti da cinque amministrazioni precedenti, aveva tre caratteristiche importanti: essere orientati all’esportazione nell’agricoltura come nell’industria; riforma neo liberale con privatizzazione, deregulation e sotto- impiego ed aumento delle entrate nazionali sotto forma di rimesse.
Questo percorso non ha portato ad uno sviluppo sostenuto. Invece ha comportato l’erosione della nostra base agricola e industriale mediante importazioni incontrollate; ci ha reso vulnerabili agli sviluppi politici ed economici esterni; e ha ridotto se non eliminato il governo come un attore chiave economico. Un indicatore chiave di questo fallimento del percorso economico è stato un tasso anemico di crescita con una media del 4% medio sulla decade 2000-2010, molto meno del 7 e 8% necessari per lanciare una crescita sostenuta, per innalzare le entrate individuali e respingere la povertà. Ancora più preoccupante, l’economia nazionale, tirata essenzialmente dalla globalizzazione, ha perso la sua coerenza e l’industria, l’agricoltura, l’istruzione e il lavoro che perdono la reciproca articolazione. Questa tendenza la si può solo esacerbare se lo stato è lasciato nel mero ruolo passivo di spettatore, incapace di esercitare la sua funzione pianificatrice a causa di sentimenti anti statalisti del neoliberismo.
L’attuale crisi economica globale ha sottolineato i pericoli di adottare a strategia economica nazionale la globalizzazione dell’economia nazionale. Considerata la stagnazione di lungo corso che affligge ora i centri tradizionali della domanda globale, gli USA e l’Europa, i governi delle nazioni in via di sviluppo hanno guardato sempre di più ai loro mercati nazionali come fattori chiave della crescita, all’economia nazionale che gioca un ruolo anche più critico come accettore di lavoro e le risorse nazionali che servono come principale fonte di capitali.
L’amministrazione Aquino ha bisogno di fare qualcosa di analogo. Dovrebbe adottare una strategia economica focalizzata sul rivatilizzare il mercato nazionale che serva come stimolo importante della crescita economica. Deve regolare la relazione del paese con l’economia globale per rafforzare la capacità dell’agricoltura e dell’industria nazionale. Deve costruire un legame intrinseco tra la crescita agricola e industriale e le entrate crescenti ed una più eguale distribuzione delle entrate. E deve riconoscere i limiti alla crescita posta da considerazioni ambientali.
Ma un’attenzione strategica alla domanda nazionale come volano dell’economia non è abbastanza. La strategia economica coinvolge una scelta del settore a cui dare la maggior parte delle risorse finanziarie, offrendo un piano su come spendere e allocare queste risorse, ed assicurare che l’attività nel settore guida abbia un impatto positivo sul resto dell’economia.
Le risorse sono scarse e devono essere investite in quel settore dell’economia domestica che promette dei ritorni economici e sociali maggiori. Tutto non può essere una priorità. Si deve allocare una quota significativa di risorse scarse a quel settore che prometta un guadagno maggiore in termini di crescita e riduzione della povertà e che abbia il potenziale maggiore di tirare il resto dell’economia dietro di sé. Secondo noi, l’agricoltura gioca questo ruolo.
L’agricoltura deve essere il settore prioritario per varie ragioni. E’ dove si trova la maggior parte della forza lavoro, i due terzi secondo le stime. Essa assomma insieme alle attività relative al 40% del PIL nazionale. E’ l’attività dove si trovano la maggior parte dei poveri e tra i contadini la povertà incide per il 50% comparato al tasso del 27% su media nazionale. Infine, con investimenti nell’irrigazione, sviluppo dei semi e assistenza del credito, l’agricoltura filippina ha un potenziale tremendo di diventare molto produttiva. Anche ora per esempio la resa per ettaro delle terre a riso è più grande nelle Filippine che in Thailandia, la maggior esportatrice di riso.
Ma l’amministrazione non deve cominciare da zero nel disegnare questa strategia. Il ministro dell’Agricoltura, Proceso Alcala, ha già una visione di un’agricoltura diversificata che si appoggia su un’infrastruttura di irrigazione moderna, che si muove verso l’autosufficienza nel riso e negli altri raccolti, e si appoggia in gra parte su metodi agricoli biologici ad alta resa, con nicchie che si specializzano nella produzione di prodotti biologici da esportare a Singapore ed in altre nazioni asiatiche. La visione di Alcala è stata descritta come troppo ottimistica. E’ comunque un ottimismo informato che nasce dalla comprensione del potenziale di una agricoltura filippina che serva al mercato nazionale e ai mercati esteri selezionati.
Anche nel rendere prioritaria l’agricoltura, non va dimenticata l’industria. Gli aggiustamenti strutturali degli anni 80 e 90 hanno devastato il nostro settore industriale e attaccato violentente i ranghi della classe lavoratrice urbana. La lista delle perdite industriali vanno dall’industria della carta, alle ceramiche, ai tessuti, al petrolchimico, alle bevande, al legno, agli accessori.Nel settore tessile dalle 200 industrie degli anni 70 si è passati alle dieci attuali. L’industria delle scarpe centrata a Marikina lotta per la sopravvivenza grazie al sorgere delle scarpe fatte in Cina derivanti dalla liberalizzazioni commerciali e al contrabbando.
L’investimento nell’industria benché minore di quello dedicato all’agricoltura deve essere significativo, e deve essere messo in moto un programma di ripresa industriale. Gli elementi chiave sono a nostro avviso 1. un inventario dello stato dei differenti settori dell’industria che cercherà di determinare quale settore salvare e quale lasciar andare; 2. un sostegno di capitali e programmi di protezione commerciale per industrie selezionate che sembrano buone e che possano facilmente recuperare competizione; 3. un aumento in tassi delle tariffe per prodotti selezionati di importazione; 4. una politica intelligente che miri a fornire il sostegno statale alle industrie e servizi pionieri o sotto settori di servizio o industriali dove il paese è destinato ad avere un vantaggio iniziale specie nelle tecnologie verdi e nell’informatica; e 5. lo sviluppo di un settore agroindustriale che si specializzerà nel fornire spunti all’agricoltura e nel trattamento di prodotti primari come gli oli vergine.
Il WTO potrebbe porre qualche problema per qualche misura se c’è qualcosa da apprendere dalla Cina e dai suoi vicini, è nei modi innovativi che hanno escogitato per aggirare le regole del WTO per proteggere e rafforzare le proprie industrie, invece di lasciar semplicemente morire per essere fedeli ai regimi di commercio regionale e globale antitetici allo sviluppo come hanno fatto le precedenti amministrazioni filippine.
La politica industriale, o l’uso del commercio e dei sussidi e altre forme di intervento governativo, saranno l’arma centrale nella strategia di rinvigorimento industriale. Una politica industriale non ha bisogno di focalizzarsi solo sull’innovazione di industrie a lavoro intensivo. Come spiega Manuel Montes dell’ONU “la politica industriale è tutto attorno alla tecnologia che può essere aumentata di scala” con sostegno selettivo del governo. L’articolare i legami tra i settori industriali dell’economia sarà un fattore chiave della nuova politica industriale.
Come Montes spiega: “buone politiche in campo sanitario e dell’istruzione, mentre non si possono considerare politiche industriali in senso stretto, potrebbero essere ingredienti essenziali per la politica industriale. Per esempio, il governo potrebbe sostenere maggiormente le ricerche nel campo scientifico e tecnologico nelle università, e spingere la forza lavoro del settore sanitario nazionale verso l’adozione di tecnologie più elevate.”
Un’attenzione primaria sull’agricoltura con un’enfasi secondaria sull’industria da rinvigorire non significa negare l’esportazione di lavoro o scoraggiare l’entrata di operazioni di di processo di affari come i call center. Dobbiamo capire quanto siano fragili i pilastri del lavoro all’estero e del BPO per la costruzione di un’economia nazionale. I licenziamenti di massa che hanno colpito i migliaia di lavoratori nel Medio Oriente, a causa di sviluppi politici ed economici negli ultimi due anni, hanno mostrato quanto siano vulnerabili i nostri lavoratori all’estero rispetto alle tendenze internazionali. In modo simile il crescente protezionismo attorno all’esportazione delle attività quali Business Pocessing Outsourcing, come si trova in una legge introdotta nel parlamento americano per scoraggiare le ditte dal cercare le risorse all’estero, sottolinea la fragilità dell’industria del Call Center.
Nel dibattito interno se le Filippine debbano rimanere un’economia orientata al mercato nazionale o spostarsi verso l’industrializzazione orientata all’esportazione negli anni 70, un tecnocrate della Banca Mondiale affermò: “Il pane e burro di un moderno settore manifatturiero sarà sempre a casa:” Quella prospettiva che sfortunatamente perse nel dibattito di allora è anche più importante oggi di quanto lo fosse 40 anni fa.
La domanda è: Avrà Aquino il coraggio di rompere con vecchio e condurre le Filippine su un nuovo percorso di sviluppo? Secondo noi non ha scelta se vuole vedere sostenute le sue altre riforme, perché gli sforzi contro la corruzione e la lotta contro la povertà si impantaneranno in una economia stagnante.
WALDEN BELLO FOCUS ON GLOBAL SOUTH