E’ l’ultimo giorno di Adam a Vang Vieng, lo ha scritto lui stesso sul suo petto.
E’ un ragazzo dell’Essex che ritornerà il giorno dopo ad Ilford, il mondo reale come lo chiama lui, e quella scritta sul petto serve ad attrarre qualche sbaciucchiata e un po’ di empatia dalle ragazze in bikini, pittate con lo spray, che festeggiano in un locale lungo il fiume in questa piccola città rurale del Laos.
Su un fianco Adam ha anche un tatuaggio “Via Vang Vieng”, e la stessa scritta campeggia sul suo cappellino. A chi gli chiede nel mezzo della musica come ci si sente in questo posto, lui dice:
“Lo amo davvero questo posto” gridando per farsi sentire mentre la musica techno scuote questo locale fatto di canne di bambù lungo il fiume Nam Song. “Ogni mattina abbraccio queste montagne e le ringrazio perché non sono mai stato così felice in vita mia”.
Vang Vieng non ha proprio l’aria di una cittadina da festeggiamenti.
Posta nel mezzo del Laos centrale, una delle nazioni del Sudest Asiatico più povere, un tempo tranquillo villaggio di contadini, è diventato un epicentro che ribolle di giovani turisti che si comportano male.
“Dio mio no, non si viene qui a Vang Vieng per la cultura, i templi e cose del genere”, dice Louise una ragazza australiana che balla con una bottiglia di birra per mano in uno dei tanti bar lungo il fiume. “Si viene qui per perdersi”. Infatti passa mezz’ora e Lousie sta vomitando l’anima sui suoi sandali prima di svenire.
Vang Vieng si trova a quattro ore di Bus che corrono su stradine polverose da Vientiane. Dopo l’apertura del paese gestito dal partito comunista, la cittadina si è guadagnata per la sua bellezza un posto sul sentiero del Pancake alla Banana, battuto da tutti i giovani viaggiatori col soldo contato nel sudest asiatico. Oltre alle sue vette montagnose l’area è piena di grotte, lagune e foreste.
Circa dieci anni fa, cominciò a prendere piede il passatempo di scendere lungo il fiume sinuoso Nam Song dentro alle camere d’aria delle gomme dei trattori diffondendosi di bocca in bocca.
Negli ultimi quattro anni la situazione è esplosa. Baretti di legno sono apparsi lungo il fiume che attiravano i turisti passanti con musica ad alto volume e bicchierini gratis del whisky locale LaoLao.
Apparvero subito di fianco ai bar funi dondolanti, giganteschi scivoli d’acqua che invitavano i ragazzi sbronzi nel loro anno sabbatico a sfidare la riva rocciosa del fiume in un atto di temerarietà.
Questo rapido sviluppo subito fece guadagnare a questo luogo un tempo vergine lungo il Nam Song l’appellativo di “Parco acquatico dei divertimenti”.
E dopo che qualche laotiano ha stampato le magliette che pubblicizzavano il posto, non c’è proprio modo di tornare indietro. Nella provincia di Vang Vieng i turisti giovani superano di due o tre volte la popolazione locale di 51 mila persone, e se guardiamo alla città principale dove stazionano i giovani il rapporto sale fino a 15 ad uno.
La cittadina è una miscela di case coloniali francesi basse, di case di legno e piccole costruzioni in cemento, e qui si radunano ogni anno circa 170 mila turisti.
Le due strade principali sono un coacervo di ristoranti, bar, internet café, agenzie di viaggio e alberghetti da 5 dollari a notte. Europei ed australiani sono i turisti in maggioranza, ma vi si trovano anche altre nazionalità come soldati israeliani smobilitati oppure studenti giapponesi oppure figli di sudamericani ricchi.
Un gruppo di indiani vestiti eleganti, impiegati dell’industria informatica di Bangalore, sono qui a sfogarsi dopo aver completato un progetto per una grossa impresa telefonica.
Sfogarsi è più un eufemismo da dire alla nonna per descrivere il fascino che Vang Vieng ha sui giovani turisti.
Il locale lungo il fiume FU BAR, dove gli indiani si sganasciano dalle risate mentre saltano tutti vestiti, ubriachi, nel fiume è più diretto: è l’acronimo inglese di qualcosa che suona come “Fregati di cervello fino all’inverosimile”, così un’insegna spiega il nome del locale. E’ anche più accurato.
Per 2 dollari al litro il whisky locale così a buon mercato viene servito in secchielli da spiaggia. L’acqua imbottigliata costa di più come molti dicono, ed il whisky ha il 45% di alcol.
Anche di droga ce ne sta a volontà. Quai tutti i ristoranti offrono la “pizza della felicità”, o i té magici con hashish, oppio e funghi allucinogeni.
La maggior parte dei posti mettono i prezzi per un giro sui gommoni proprio lungo il fiume. E molti viaggiatori non sono solo strafatti e contenti di alcol e droga, ma sono pervasi anche di un’euforia, che pervade tutti i locali lungo il fiume, legata alla totale assenza di regole o di responsabilità, con un’incredulità da bambini soli nel negozio delle caramelle che ti fa pensare che puoi impazzire e che nessuno ti fermerà.
E’ una scena molto simile a quella delle feste della luna piena in Thailandia tranne che per una importante differenza. La festa a Vang Vieng non avviene solo una notte ogni sei settimane: qui la festa non finisce mai.
“Vang Vieng vende la GIOIA, l’illusione della libertà totale” dice Sengkeo “Bob” Frichitthavong, un gestore di un alberghetto che è nato qui ma ha vissuto molti anni in Canada.
“La gente laotiana è molto pacifica e tollerante. Non ci lamentiamo. I turisti pensano che non ce ne frega nulla di come si comportano perché facciamo soldi dal turismo. Ma ci sono molte cose oscure in quello che accade.”
Ci sono frequenti tragedie che accadono come risultato della miscela di droga ed alcol insieme alle corse lungo il fiume ed ad altre bravate.
Il piccolo ospedale cittadino ha registrato la morte di 27 turisti nel 2011 per affogamento o perché hanno battuto il capo nelle rocce, come un uomo del Dorset, Benjamin Light.
Un dottore, Chit, comunque afferma che i numeri sono maggiori in quanto i casi gravi vengono subito portati a Vientiane.
Agli inizi del 2012 sono morti due turisti australiani in un mese. Il primo si era buttato dal fiume in un punto dove c’era la scritta “Non saltare” sbattendo il capo contro una grande roccia. Il secondo è affogato mentre correva lungo il fiume . Tutti e due avevano bevuto molto, come hanno detto gli amici. La scritta è stata rifatta e dice “Non saltare oppure morirai”
Il dottore Chit dice che da cinque a dieci turisti giungono all’ospedale feriti, con ossa rotte o ferite infette, oppure per l’alcol o la droga. Una turista si è spellata viva su una roccia.
“Non c’è una guardia, né misure di sicurezza oppure elmetti. Non siamo equipaggiati per trattare qualcosa di serio.” La gente con le ossa rotte deve andare a Vientiane in un viaggio di per sé traumatico su una strada piena di buche. Chit con il sorriso sempre sul volto dice che i lavoratori dell’ospedale sono frustrati da questa situazione.
La maggior parte degli incidente accade sempre nello stesso tratto di fiume zeppo di locali, lungo meno di un chilometro. “E’ puro Darvinismo” dice Stuart McDonald, un esperto di viaggio di basso costo, che visita il Laos con regolarità.
“Se i ragazzi continuano a riempirsi e poi saltare dagli alberi o dalle funi, continueranno a morire”. Le autorità laotiane, aggiunge, non fanno nulla perché hanno interessi nei locali lungo il fiume. Molte morti per droga non sono state neanche denunciate. “Spesso abbiamo resoconti di prima mano di viaggiatori morti di overdose oppure per il taglio cattivo.”
Per gli abitanti laotiani lungo il fiume le morti hanno portato un karma cattivo. Il fiume era un tempo una parte centrale della vita della famiglia, un luogo sereno dove fare il bagno, giocare, pescare e lavare gli indumenti.
Ora poca gente del posto vi si avvicina. Come accade in molte parti dell’Asia dove sono forti i credi animisti buddisti, gli spiriti potenti che abitano tutti intorno giocano un ruolo fondamentale nella vita di ogni giorno.
“Non vogliamo nuotare più nel fiume. Crediamo che nel fiume ci sono tanti spiriti malvagi nell’acqua perché così tanti stranieri sono morti.” dice una maestra della scuola vicino alla zona delle immersioni. La maestra dice che nel vedere i turisti camminare pesantemente di ritorno dal fiume dopo un giorno di baldoria, con i corpi coperti di colori, di vestiti succinti e stracciati, la gente ha un proprio dire: “Arrivano gli zombi”
I laotiani non sono affatto astemi, fanno il loro LaoLao a casa e ne bevono tanto in poche occasioni. Fumare l’oppio fa parte della loro cultura tradizionale, specialmente tra le tribù delle colline come i Hmong.
Ma la cultura è modesta e conservatrice quando si parla di relazioni umane. Phengxayya con grazia ammette di sentirsi offesa quando vede le ragazze occidentali andarsene in giro per la città in bikini.
“In Laos ci copriamo le gambe e le braccia. Non voglio che la mia figlia di quattro anni copi dalle straniere.”
Ci sono anche le insegne che chiedono ai turisti di vestirsi con rispetto ma molti li ignorano. Durante i momenti culminanti delle feste lungo il fiume capita spesso che si mostrino i seni o il deretano, oppure che i ragazzi se ne vadano in giro con le parti private in esposizione.
McDonald ha visto anche anche coppie che fanno sesso nelle camere d’aria mentre scendono lungo il fiume Nam Song.
Il Laos era sul cammino degli hippies negli anni 60. Vientiane vantava il più grande casino dell’oppio al mondo attirando viaggiatori per via terra attraverso l’Afghanistan e l’India.
La cosa svanì con un’altra invasione, la campagna di bombardamenti a tappeto degli USA durante la guerra del Vietnam che ha fatto del Laos la nazione più bombardata nella storia come numero di bombe a testa.
Thanongsi, un abitante di Vang Vieng dice che ci è voluto tanto per ripristinare dopo la guerra l’ambiente naturale e l’economia basata sul riso alla fine della guerra.
“Quando ero giovane c’erano le tigri sulla montagna e centinaia di pipistrelli nelle grotte. Era un paradiso naturale.” Tanto di questo si è perso per sempre, ma Thanongsi ha fatto del suo meglio iniziando a coltivare biologicamente lungo il Nam Song.
Con il ritorno dei turisti nel Laos negli anni 90 ha costruito una pensioncina per gli stranieri che volevano fare i volontari nel suo terreno con alberi di gelso e giardino di verdure.
Poi nel 1998 fece l’acquisto fatale.
“Comprai qualche camera d’aria per i miei volontari. Pensavo fosse un modo economico ed ecologico di vedere il fiume. Ho cominciato io per caso questa faccenda”.
Poi la cosa è diventata così popolare che la gente del posto ha cominciato ha aperto attività cooperative per affittare le camere d’aria ed ora ci sono 1500 famiglie coinvolte. Sono in molti ora intrappolati nel circolo vizioso del turismo classico perché troppo dipendenti dalle entrate che le immersioni portano per fermare l’attività, ma pagano un prezzo per questo successo molto più grande di quanto si attendessero.
E’ ben documentato l’impatto del turismo, sia buono che cattivo, sulle comunità locali. Ci sono innumerevoli esempi nella sola Asia, da Bali ad Angkok Wat a qualunque posto in Thailandia.
Ma pochi luoghi sono modello di una totale autoimplosione come Vang Vieng. Se ci si sposta per due o tre chilometri lontano da Vang Vieng in qualunque direzione, il Laos bucolico riemerge inalterato. Ma la città è stata profondamente distrutta come dice un albergatore.
“Il nostro modo tradizionale di vivere è stato mangiato vivo” dice l’albergatore, Bob. “L’inquinamento acustico, la nudità, il comportamento rude ed ora abbiamo il problema on la nostra gioventù che deruba i turisti e si dedica all’alcol e alla droga. I 12 anni che Bob ha vissuto all’estero lo aiutano a sviluppare delle differenze sulla rovina di Vang Vieng.
“E’ una dinamica complicata. La vita di campagna è dura. Chiunque vuole i benefici del turismo e noi anche. Ma non dovremmo venderci l’anima per averli.
Giovani come Khamkeo Doungsamone lottano con questo dilemma tutti i giorni. E’ cresciuto in un villaggio della montagna dove non c’è strada o elettricità. I suoi genitori coltivano riso. Doveva camminare per due giorni per frequentare la scuola.
“Dormivo a terra nella casa di un parente mentre studiavo, poi camminavo verso casa.” I genitori lo incoraggiarono ad imparare l’inglese “per il suo futuro” che ha imparato da solo sui libri. “Non volevano che lavorassi nei campi come loro” dice un ragazzo basso ma ben messo che ha l’aria di avere dodici anni quando ride.
Alla fine della scuola trovò lavoro in un ristorante turistico con un grande schermo televisivo e posto a sedere come in un cinema. Doungsamone lavorava dalle sei di mattina fino all’una per 60 dollari al mese. E odiava il lavoro.
“Dovevo avere a che fare con ubriachi e il gestore del locale si lamentava con me quando rompevano bicchieri o vomitavano.” Al pensiero dei genitori piange. “Non mi lasciavano tornare a casa. Dicevano che avrei dovuto continuare a provare perché non avevo altra scelta.”
Dopo nella loro casa elevata di legno, i suoi genitori gli dissero che era giunto il destino più temuto per lui, anche peggio del coltivare il riso, ed era di andare a lavorare lungo il fiume.
I locali impiegavano giovani laotiani il cui compito era di stare seduti sulla riva e ripescare le camere d’aria che passavano, oltre a pulire le rive dai rifiuti. Molti finiscono nella trappola dell’atmosfera che infetta.
“Tanti adolescenti non finiscono la scuola per stare lungo il fiume. Nostro cugino quasi moriva poiché lavorava in uno dei locali lungo il fiume e mangiava pochissimo. Beveva e si drogava. E’ finito in ospedale per un caso serio di malnutrizione”.
Per quanto riguarda la carriera di Doungsamone nel ristorante, giunse ad un termine quando una turista francese lo accusò di averle rubato la macchina fotografica per non pagare il conto. Il suo capo prese le sue parti, ma rimase così mortificato che se ne andò. Ora lavora in una azienda agricola biologica.
“Non scorderò mai più quella francese finché campo.”
E’ mezzogiorno sulle rive del Nam Song. Adam passa il suo ultimo giorno ad organizzare giochi per bere.
“Lime nell’occhio” grida invitando la folla ad unirsi ad un gioco che chiede di buttarsi giù un cicchetto, sniffare il sale e mettersi succo di lime negli occhi.
“Nulla è più stupido di questo” dice entusiasta. Adam comunque beve una cosa analcolica. Ha passato gli ultimi cinque mesi come volontario al Qbar e conosce bene la storia.
Nei locali ci lavorano informalmente da 50 a 60 stranieri. Servono a mantenere l’atmosfera, con cicchetti gratis, eccitata. Una mossa ingegnosa da parte dei laotiani ed un grande fattore per gli eccessi edonistici di Vang Vieng.
“Questi turisti si fidano di altri occidentali. Non se ne fregano che le bevande sono corrette o che li si deruba.” spiega Scott un volontario canadese con la sua maglietta dove c’è la scritta “baciami. Ho una faccia di merda”.
In una discussione con i turisti, del come siano percepiti dalla gente locale il loro paradiso delle feste. Cercano qualunque ragione per dire che tutto va bene: se non li vogliono qui li faranno andare via. Ci sono ancora più droghe ad Ibiza, molte più morti quando si scia, comportamenti peggiori a Manchester.
Una svedese dice che hanno aiutato l’economia locale aumentando la produzione di cestelli, facendo fermare per un secondo la discussione chiedendosi tutti se fosse seria. Lo era. Sembrava crudele dirle che i cestelli erano fatti in Cina.
Ma non si coglie il punto. Stuart McDonald dice:
“Nessuno li biasima direttamente. Vogliono divertirsi, perdersi, ubriacarsi o drogarsi, è normale. Ma non è il loro paese. E’ diventato tutto troppo, e non c’è la benché minima considerazione per le sensibilità locali.”
Per la gente locale come Bob la responsabilità è delle autorità laotiane di fare applicare le regole specialmente per i rumori e i comportamenti cattivi e per migliorare la sicurezza nell’acqua, senza per altro troppo grandi sforzi. Ma credono che ci sia troppa corruzione che circonda la scena lungo il fiume. Molti locali appartengono ai potenti locali che corrompono la polizia turistica.
Certo non sembra esserci nei luoghi che contano molta volontà. Quando è stato chiesto al governo locale ed alle autorità turistiche se abbiano dei piani per il futuro, hanno dato una risposta priva di senso: “Stiamo considerando la situazione”.
Mentre il paese si svilupperà ancora di più, McDonald dice che il paese imparerà dai propri errori.
“I promotori turistici del Laos meridionale di recente mi hanno detto che usano Vang Vieng di un esempio di come le cose non debbano andare, una cosa positiva.”
Non è certo se la remota cittadina si potrà riavere ma è duro abbandonare la speranza. In precedenza la moglie di McDonald e il suo collega in affari mi hanno confessato che, nel loro rivedere i luoghi turistici asiatici per aggiornare il loro sito, l’unico posto dove Stuart ha pianto è stato Vang Vieng, quando ha visto come è cambiato.
“Non ricordo di fatto di essere scoppiato a piangere. Ma certo è molto probabile che mi abbia provocato quella reazione. Era un posto speciale. Ed ancora lo è, sotto la superficie”
Vang Vieng e la discesa lungo il fiume in Laos
iamo in una cittadina laotiana, Vang Vieng, incastonata in una delle tante valli laotiane sulle rive del fiume Nam Song, ad quattro ore di bus da Vientiane, la capitale del Laos, l’unico stato del Sudest Asiatico a non essere bagnato dal mare.
Sono in tanti i turisti che visitano la cittadina ogni anno per lanciarsi su tubo di gomma sulle rapide del fiume Nam Song e per fermarsi a bere lungo i bar che si stendono lungo il fiume. E’ diventato nel breve volgere di qualche mese il posto dove andar per tutti i giovani con zaino in spalla per divertirsi un po’.
Era tutto cominciato per offrire un momento di relax dopo una dura giornata di lavoro, ma ora il forte influsso dei turisti e le differenti abitudini e costumi occidentali rispetto a quelli del posto stanno cambiando il volto di Vang Vieng.
L’uomo che iniziò questa moda è il proprietario di una azienda agricola biologica, Thanongsi Sorangkoun, che nel 1999 comprò alcuni tubi in gomma per i turisti volontari che lavoravano nella sua azienda e che così potevano rilassarsi scendendo per le rapide del fiume. Iniziò a suo dire una corsa:
“Dopo un mese ogni guesthouse e compagnia turistica compravano dei tubi grandi in gomma, altri compravano Kayaks. Sono stati costruiti bar lungo il percorso e il comportamento di tutti è molto cattivo. Non rispettano alcuna legge o regolamento, non ci sono ispezioni e controlli. Due anni fa era un vero paradiso.”
Nei bar lungo le rive del fiume la musica è sempre ad alto volume per quasi tutto il giorno, alterando la tranquillità dell’area e della azienda. Rifiuti vengono lasciati dappertutto, i turisti sono scarsamente vestiti ed hanno atteggiamenti di affezione che sono in forte contrasto con quello dei laotiani.
Anche un altro coltivatore, Sengkeo Frichitthavong, che possiede un’azienda a sette chilometri dalla cittadina, è scioccato dagli effetti di questo sport e del turismo che ha generato. “Sta distruggendo la città e stiamo perdendo la nostra cultura.. il rumore, la gente nuda, l’alcol che scorre, la gente che vomita e fa sesso dappertutto…” Ma è anche la mini-criminalità che comincia a nascere.
Le due aziende sono state coinvolte in un progetto “Eguale istruzione per tutti” per cui sono stati creati 30 corsi di inglese alla settimana con insegnati locali e di volontari stranieri. Uno di loro lavora alla coltivazione e alla tessitura con l’idea di usare i metodi sostenibili di coltivazione. Finora 300 volontari hanno fatto visita aiutando nell’azienda e insegnando inglese ai bambini del posto.
Frichitthavong dice: “Se volete fare qualcosa di buono potete visitare l’azienda sull’altra sponda del fiume e vedere quello che si fa di buono con i vostri stessi occhi. Non è che non ci piacciono gli stranieri”
Per Sorangkoun l’attività dello scendere lungo il fiume con i tubi di gomma non è in sé una cattiva attività, ma preferirebbe che la polizia fosse presente ai bar dove si promuove uno bere smoderato ed altri comportamenti cattivi. Dovrebbe essere compito del governo di educare i proprietari dei bar ed ai loro lavoratori nella gestione dell’alcol e a farli operare secondo regolamenti di salvaguardia. Sono solo un contadino, non un avvocato, e non ho tempo di lottare per tutto”.
Per qualcuno l’intera faccenda è un disastro in attesa di accadere. Alcol, fango, assenza totale di regole, acqua di cui non si conosce la profondità: un mix che attende soltanto di scoppiare. Ma se ci si sa limitare, è un viaggio che per molti vale la pena di fare. theage