I gruppi verdi indonesiani hanno lanciato una guerra contro la deforestazione in Indonesia che è casa a l 15% di tutte le specie conosciute di piante, mammiferi e uccelli.
Il testo di una canzone della leggendaria Joan Baez suonava “Dove sono andati a finire tutti i miei fiori?”.
Un giorno l’Indonesia forse si porrà la stessa domanda, forse aggiungendoci le foreste, le tigri, gli orangutan, gli elefanti, gli uccelli e le comunità antiche della foresta, se non riuscirà a porre sotto controllo la rapida deforestazione in uno dei paesi più ricchi in foreste.
Mentre l’icona degli anni 60 cantava contro la guerra in Vietnam, i gruppi verdi indonesiani hanno lanciato una guerra contro la deforestazione in Indonesia che è casa a l 15% di tutte le specie conosciute di piante, mammiferi e uccelli. Alcuni sono già criticamente in pericolo di estinzione come risultato della deforestazione per far posto all’olio di palma, alle miniere e alle industrie della carta.
In occasione della scadenza del primo anno di una moratoria biennale sulla deforestazione che ha seguito l’impegno di donare un miliardo di dollari da parte della Norvegia, una coalizione di gruppi verdi locali ed internazionali ha invitato il presidente indonesiano questa settimana a rafforzare la moratoria perché possa diventare uno strumento reale per ridurre e alla fine fermare la deforestazione nel paese.
“La moratoria attuale sospende soltanto l’istanza dei permessi di nuove foreste, non ordina una rivisitazione dei permessi esistenti. Ci sono altri incredibili bachi nella moratoria da affrontare se l’Indonesia vuole onorare i suoi impegni internazionali.” ha dichiarato il consigliere sulle politiche forestali di Greenpeace SoutheastAsia, Yuyun Indradi. Tali preoccupazioni sono nate prima del summit di Rio+ del prossimo mese sullo sviluppo sostenibile.
I gruppi ambientalisti affermano che il divieto è minato da una legislazione e dalla sua applicazione deboli, fornendo pochissima protezione in più per foreste e terreni torbosi e nessuna assistenza alla protezione dei diritti delle popolazioni indigene e dalle comunità locali che dipendono dalla foresta. Inoltre se i tassi di deforestazione continuano ad essere della media di un milione di ettari all’anno, tutte le foreste indonesiane saranno distrutte nel giro di 50 anni.
Agli inizi di questo mese, i gruppi dicono di essere stati testimoni di una continua distruzione delle foreste da varie compagnie nonostante le moratorie. Le stime fatte dai gruppi parlano di 4,9 milioni di ettari di foreste primarie e terreni torbosi, su un totale di 71 milioni coperti dalla moratoria, persi a favore delle compagnie di olio di palma, compagnie minerarie e altre conversioni delle foreste per la fine di maggio.
La scorsa settimana una delle più grandi compagnie al mondo ed una delle più criticate per la distruzione delle foreste, la Asia Pulp And Paper (APP), ha annunciato che avrebbe sospeso la pulitura delle foreste naturali dal 1 giugno e che avrebbe adottato procedure ambientali migliori, annuncio che ha subito richiamato la reazione rapida di Greenpeace che ha negato l’esistenza di pratiche buon da parte di APP, denunciando come a Febbraio, da ultimi sorvoli aerei, si hanno indicazioni di abbattimento delle foreste per tutta la regione di Sumatra.
Deforestare significa devastare la vita selvatica. Restano ancora solo 400 tigri, gli orangutan sumatrani sono diventati meno di 200 quest’anno dai 1000 dell’inizio millennio, mentre solo 3000 elefanti sumatrani sono ancora selvatici appena la metà del numero presente nel 1985. “E’ ragionevole aspettarsi che ci sono moltissime specie in pericolo che non sono state documentate” dice Louis Verchot del CIFOR dell’IPS.
Ma ad essere toccati dalla deforestazione sono anche intere di comunità indigene che dipendono dalla foresta per gli alimenti, per la casa e per la loro vita. Dal momento che la maggior parte della terra appartiene allo stato , il governo ha abbandonato i diritti ancestrali delle comunità aborigene agli affari secondo il gruppo dei diritti delle popolazioni indigene.
La deforestazione che ha luogo in Indonesia ha delle conseguenze che vanno ben oltre le 17000 isole dell’arcipelago, dal momento che il paese è il terzo emettitore di gas serra dopo Cina e Stati Uniti.
Un grande volume di questi gas serra proviene dalla distruzione dei terreni torbosi indonesiani che sono considerati il magazzino di carbonio più critico al mondo che contengono 35 miliardi di tonnellate di carbonio che vengono rilasciate nell’atmosfera sotto forma di CO2 quando viene bruciato per fare posto alle piantagioni di alberi di acacia, di eucalipto e palma da olio. Mentre i gruppi verdi credono che l’Indonesia dovrebbe fare di più per fermare la deforestazione, alcuni personaggi indonesiani dicono che l’arcipelago ha bisogno di maggiori incentivi per questo.
“Il ministero delle foreste ha bisogno di un bilancio di più di mezzo miliardo di dollari all’anno per lottare contro la deforestazione” dice il direttore della protezione delle foreste del Ministero, Darori che considera “insufficienti” il miliardo di dollari promessi dalla Norvegia e che dice “l’Indonesia ha bisogno del sostegno del mondo” per portare avanti questo compito.
Per Greenpeace, e non solo per essa, “il denaro non è mai sufficiente se non si riesce a risolvere i problemi della corruzione nel settore della protezione delle foreste”.
“La promessa della Norvegia” dice Verchot “ non voleva risolvere l’intero problema, ma ha trasformato la discussione in Indonesia, avendo in verità successo… La promessa norvegese su vari anni è significativa e se prepara la strada ad ulteriori somme del REDD+, allora il programma può diventare sostenibile.” Darori ha dichiarato che dodici padroni di piantagioni di Sumatra sono stati condannati a 8 anni di prigione per deforestazione illegale con multe di 500 mila dollari l’uno.
Il presidente indonesiano ha promesso di tagliare le emissioni tra il 26% e il 41% con l’aiuto della comunità internazionale per il 2020 aggiungendo però che l’industria legata alle foreste è altamente importante per il paese e per l’economia nazionale. Basti pensare che contribuisce con 21 miliardi di dollari e il 3,5% all’economia nazionale impiegando il 4% della forza lavoro.
IPSNEWS Alexandra Di Stefano Pironti