Perché la politica thailandese non è più normale
In questo scritto destinato ad un pubblico vario, si esaminano più le tendenze generali che un’analisi dei fatti più immediati. Per quanto attiene a ciò che è accaduto, nessuno che sostenga il diritto della gente a protestare può sostenere l’uso dell’esercito e delle armi per porre fine ad una situazione di stallo. La degenerazione in questo abuso di potere dello stato non ha attenuanti, e l’uso sproporzionato delle armi da parte del governo deve essere condannato, nonostante l’esistenza di elementi paramilitari nelle file delle magliette rosse.
Quando un ordine sociale è minacciato, la politica si arrovella attorno alla definizione di chi è amico e chi è nemico, con una guerra priva di regole per la vittoria finale.
La storia è piena di queste guerre combattute da amici contro nemici che sembrano e sono mostruose, guerre che a volta sono elementi di trasformazioni. Nel processo il vecchio ordine sociale sopravvive riformandosi o soccombe, e un nuovo ordine nasce. Non è mai gentile ed è spesso sanguinoso.
E’ questo che accade sin dalla estromissione di Thaksin Shinawatra con il golpe del 2006. Le battaglie per strada e il costo crescente in vite umane dà un segnale che gli antagonisti fondamentalisti stanno facendo una guerra su chi deve definire la democrazia.
Le magliette rosse stanno cercando un nuovo ordine sociale. La coalizione governativa guidata dal partito democratico, sostenuta fin qui dai militari, si è dedicata alla restaurazione di un ordine sociale che è ora in fumo. Ognuno vede l’altro come nemico. Le azioni violente di entrambe le parti nelle battaglie di strada nascono da questa logica pericolosa di amico/nemico che non ci dice molto delle ragioni della loro lotta, di che Thailandia vogliono costruire.
Un pò di storia recente ci dà una mano di aiuto.
Dopo il golpe del 1991 e del suo maggio sanguinoso successivo del 1992, emerse un movimento politico riformista politicamente liberale. Le elité riconobbero che la semi-democrazia degli anni 80, quando un generale in pensione Prem dipendeva dall’appoggio del palazzo per andare avanti come primo ministro, rappresentava un’epoca ormai passata. Il movimento portò alla elaborazione della celebrata costituzione del 1997, “la costituzione del popolo”, che celebrava la dottrina liberale al cuore dello stato thai. Di ora in poi, il potere esecutivo che deriva dal mandato democratico sarebbe stato esaminato da vari sistemi di controllo liberali, una commissione elettorale, una costituzionale e una amministrativa.
Alcuni credono che questo accordo liberale sia stato pensato anche in previsione della morte del Re Bhumipol, anche allora creduto al crepuscolo del suo regno, e della necessità che la Thailandia abbracciasse una politica aperta basata su robuste istituzioni politiche.
Cionondimeno, sospettosa dei pericoli di una democrazia maggioritaria, l’elite liberale accettò un ruolo per la monarchia che popolarmente rappresentavano come il difensore civico supremo, virtuoso e capace di frenare le venalità della politica. Quindi, la monarchia che aveva una relazione stretta con i dittatori militari dagli anni 50 in poi è stata reinventata come una istituzione liberale dalle elité che temevano una piena democrazia senza un centro morale per frenare l’appetito delle masse.
In ogni caso nessuno si attendeva un passaggio tranquillo verso una democrazia liberale. Gli interessi della corporazione militare restavano e i circoli attorno alla monarchia continuavano ad esercitare un potere. La corruzione era pervasiva. Piuttosto il progetto doveva essere graduale e passare attraverso le generazioni.
Poi il progetto andò a monte. Quando il partito democratico di orientamento liberale governò durante la crisi economica asiatica del 1997-2000, non riuscì ad offrire nulla che le implementazioni del programma di austerità del Fondo Mondiale. Tali debolezze liberali liberarono la strada a Thaksin Shinawatra e il suo genere di populismo autoritario e di politiche popolari contro la povertà.
Durante il suo governo dal 2002 al 2006 Thaksin distrusse in modo sistematico gli accordi di ispirazione liberale. La sua mancanza di considerazione per i diritti umani e le istituzioni di controllo è ben documentata, come il suo indubitabile supporto elettorale, che gli fece vincere le elezioni nel 2001 e 2005 ( e farebbe probabilmente vedere di nuovo un governo pro Thaksin se si tenessero subito delle elezioni). Liberalismo e democrazia percorrevano strade diverse.
Il movimento delle magliette gialle contro Thaksin negli anni 2005 e 2006 era una miscela di elementi della classe media liberale, poveri delle campagne e realisti che si opponevano ai programmi di privatizzazione. C’erano anche conservatori che temevano che Thaksin li stesse cacciando dal loro piedistallo di manovratori del potere. Vedevano Taksin come una minaccia all’ordine sociale e specialmente alla monarchia.
Sin dal 2006 i liberali hanno fatto un vago patto con gli elementi conservatori dello stato e le magliette rosse a sconfiggere Thaksin e i suoi sostenitori. Insieme scacciarono un governo eletto protaksin nel tardi 2008, guidati da una logica fallace di riportare gradualmente la Thailandia a qualcosa di simile all’accordo liberale del 1997, con tutti i suoi compromessi. Alcuni elementi antiThaksin hanno reclamato una “nuova politica” che si sbarazzi della democrazia completamente elettorale.
Il governo attuale, guidato da Abhisit Vejjajiva, ha riconosciuto alcune delle reali problematiche tra le magliette rosse e ha offerto una serie di misure di sollievo per la povertà sin dal suo arrivo al potere nel 2008. Ma forse, come in tutte le situazioni rivoluzionarie, questo è stato troppo poco ed è giunto troppo tardi. Ed ora insieme al numero di morti in conseguen za della repressione in corso, che futuro ha questo governo?
Cosa c’è da aspettarsi dalle magliette rosse e dal loro ordine sociale, nel caso dovessero vincere?
Essi sono un movimento diversificato di agricoltori medi, attivisti di sinistra, poveri delle campagne, elementi delle classi lavoratrici di città, professionisti e uomini di affari. E’ importante anche il ruolo che Taksin e il suo circolo politico giocano. Frustrati da una campagna durata un anno per buttare giù il governo, hanno portato il gioco finale per le strade di Bangkok. Alcuni hanno anche abbracciato la situazione paramilitare.
Essi proclamano il ritorno alla costituzione del 1997, un accordo con gli elementi aristocratici e burocratici dello stato e rendere la democrazia “mangiabile”. Sostengono il capitalismo di mercato e vogliono un trattamento migliore per i “cittadini”. Giustamente parlano di doppi standard nell’applicazione della legge e dei processi non trasparenti che non sono democratici. Il loro programma è incredibilmente attraente, ma bacato in modo fatale.
Come i liberali che non sono riusciti a fare i conti con la natura non democratica delle istituzione conservatrici della Thailandia, il comando delle magliette rosse e i suoi sostenitori rifiutano di prendere le responsabilità della deriva autoritaria sotto Thaksin.
Hanno messo in moto un mito portentoso di un’oasi democratica al centro del quale sta l’era di Thaksin. Ma oltre a chiedere un’elezione immediata per garantire al Phuea Thai (partito di opposizione di Thaksin) la vittoria elettorale, nessuno sa cosa sarà la democrazia secondo le magliette rosse.
Ovviamente la politica Thailandese non si trova più in una fase normale. E’ come se si sta svolgendo una lotta da manuale ta liberalismo e democrazia, tranne che per il fatto che della gente in carne ed ossa viene uccisa.
Michael K. Connors, University La Trobe, Australia