Ormai la storia è stata raccontata un’infinità di volte a ridosso dei recenti sommovimenti nella Birmania occidentale dove le tensioni tra le comunità dell’area Rohingya e Arakanese ribollono da oltre un mese. Persone ammazzate, case distrutte, miglia di persone cacciate dalle loro case e barche cariche di Rohingya che provavano a scappare in Bangladesh respinte via.
La popolazione Rohingya resta una delle comunità più perseguitate e vulnerabili al mondo, ed è stata ripetutamente descritta come terrorista sia in Bangladesh che in Birmania.
Il gruppo a ragione non può dichiarare la Birmania come il loro proprio stato, mentre gli uomini Rohingya sono percepiti come musulmani misogini che minacciano le comunità birmane, pacifiche eterogenee etnicamente ma fondamentalmente buddiste.
Durante le ricerche sulle frontiere Thai Birmana e Bangladesh Birmania, sono stato fortemente turbato dagli attacchi al vetriolo che colpivano i Rohingya. Ho sempre fatto e rifatto la domanda agli attivisti e all’elite politica, compreso gli attivisti della Generazione 88 birmani, delle ragioni di questa profonda tensione ed ansia nell’includere i Rohingya in un attivismo di per sé inclusivo che letteralmente ha inquadrato il movimento democratico birmano.
Il discorso internazionale umanitario sui rifugiati fornisce qualche indicazione su come nell’età della guerra globale a l terrore i rifugiati non sono più benvenuti e sono piuttosto visti come minacce alla sicurezza. Mentre i cittadini possono finire sotto sorveglianza e allo stesso tempo protetti dalle minacce esterne, gli immigranti illegali, i rifugiati, gli apolidi e le persone rifugiate interne restano come una minaccia quindi creano dei dilemmi etici e morali per gli stati.
Benché sia una cattiva pratica come membro di una comunità internazionale per la sua immagine globale cacciare i rifugiati, i governi spesso reclamano che si tratta di un imperativo per la sicurezza dello stato e per la protezione dei cittadini. In questo genere di architettura della sicurezza, i confini sono strettamente controllati e le differenze d identità si accentuano e si riaffermano.
Uno stato che ha attraversato quasi 60 anni di conflitto durante il quale più di trenta tipi di insorgenza, gruppi armati non statali hanno lottato attivamente contro il governo birmano deve per forza avere divisioni interne a vari livelli ed ansietà di sicurezza. I processi intensi di militarizzazione hanno penetrato i discorsi di ogni giorno in Birmania compresi i sistemi sociali, economici, culturali e politici, le norme e le priorità.
Le strategie del Tatmadaw sotto forma di modernizzazione, articolate come Birmanizzazione, erano in effetti un processo di omogeneizzazione che costringeva a far uscire la gente le cui apparenze, credi religiosi, lingue e pratiche quotidiane riproducevano la propria identità come l’altro e, sono d’accordo, il nemico dentro.
Creando in modo ingannevole i musulmani come una minaccia interna, il regime militare a provato ad atteggiarsi a protettore della gente. Ironico a dirsi, mentre altre pratiche non-democratiche e autoritarie delle forze armate sono state sfidate, il regime è riuscito di gran lungo a cancellare l’idea di includere i Rohingya nella coscienza nazionale eterogenea.
Attraverso strategie di esclusione sponsorizzate dallo stato, i Rohingya furono resi alieni nella propria terra. Politiche e strategie chiave di esclusione furono applicate dopo il golpe militare del 1962 che comportò la restrizione della mobilità, la proclamazione della legge di Immigrazione dell’Emergenza designata a impedire che le persone entrassero dall’India, dalla Cina e dal Bangladesh nel 1974, il programma di censimento, Nagamin, di controllare le tessere di identità e fare delle azioni contro gli alieni illegali nel 1977, e la legge di cittadinanza del 1982 che seguiva l’esodo del 1978 quando molti Rohingya ritornarono o almeno ci provarono in Birmania.
Il SPDC ripetutamente invocò la sua autorità morale attraverso le lenti della sicurezza nazionale e sovranità dello stato nel trattare i Rohingya. C’è ovviamente un contesto storico che si dovrebbe spiegare attraverso il modello di buona cittadinanza. Una fonte importante dell’ansietà era stata il tradimento percepito all’idea di uno stato birmano da parte dei Rohingya, per esempio quando l’elite politica provò ad essere uno stato indipendente e concludere un accordo con gli Inglesi che se ne andavano; quando la comunità fu divisa nel suo sostegno degli spostamenti politici nazionali e locali e quando cominciò la resistenza armata.
I Rohingya che prendevano le armi hanno generato una specie differente ansia sotto il pretesto della guerra al terrore, diversamente dagli altri gruppi armati non stato come i Karen che erano tra i 3000 e 4000 armati, o gli Shan che erano tra i 6 mila e settemila. Il sistema di divisione in vari stati etnici, i Mon, I Karen e Shan, dà in effetti il controllo alle Forze Armate e quelle frazioni di insorgenza che sono entrate negli accordi recenti con l ostato birmano. Tutti questi attori non stato armati reclamano di essere i patroni dei diritti del gruppo e ritngono che è necessario prendere le armi contro la Birmania.
In modo simile a questi gruppi, il movimento militante dei Rohingya reclama di essere il solo protettore dei Rohingya e dei musulmani arakanesi. Diversamente dagli altri gruppi armati, le forti reazioni alle loro affermazioni giunsero anche da varie piattaforme democratiche birmane.
Uno dei gruppi principali Rohingya ARNO fu d’accordo a mettere al bando le mine antiuomo e ad esplosivi attivabili dalle vittime, firmando nel dicembre 2003 i documenti di Ginevra contro le mine antiuomo. Un documento dell’ottobre 2002 fatto trapelare nel 2012 affermava che ARNO avesse legami con vari network di terroristi. ARNO operava da Chittagong nel Bangladesh e si diceva che avesse contatti con gruppi sulla frontiera Thailandese Birmana. Il documento notava che il governo del Bangladesh aveva invitato ARNO a muovere le sue basi dal Bangladesh meridionale che comportò che 195 membri dell’esercito arakanese si consegnassero ai Birmani.
Nell’ultimo decennio, ARNO si è fortemente indebolito in numero e sostato verso una politica più moderata diversamente da altri gruppi politici frazionisti che attraevano le fazioni più radicali del paese. I Rohingya Solidariety Organizzation che si allontanò dal Patriottic Front negli anni 80 ed operava attraverso le frontiere con il Bangladesh, attrasse un certo numero di militanti Rohingya estremisti e radicali. I legami del RSO con gli estremisti in Bangladesh e òe associazioni con i network terroristici internazionali sono stati riportati nei media che hanno così alimentato il pregiudizio contro i Rohingya.
L’esercito del Bangladesh in alcune grosse operazioni distrusse il RSO agli inizi del 2005. Ci sono alcuni piccoli gruppi che si sono uniti alla Democratic Alliance of Burma del maggio 1992 che è ora virtualmente inattiva. Le autorità del Bangladesh e birmane traggono in realtà vantaggio dal clima globale di paura ed ansia da aver messo al sicuro i discorsi sui rifugiati in particolare i musulmani. Questa percezione dei rifugiati come una minaccia è importante quando si parla dei Rohingya poiché il discorso guida le politiche ed il sostegno pubblico di specifiche politiche. Quelli che restano ei campi nel Bangladesh sono particolarmente vulnerabili, poiché i campi con i fili spinati avevano le loro uniche narrative quotidiane, mentre le comunità ospitanti percepivano dall’esterno i campi come le zone di nutrimento della militanza.
L’informazione cattiva e piena di pregiudizio nutrita da un ostato ostile e da attori non statali e dai media sia in Birmania che in Bangladesh crearono un’immagine della militanza Rohingya come una minaccia grande della sicurezza che era semplicemente non accurata. La presenza massiccia del settore della sicurezza nello stato del nord arakan ha visto un incremento nella violenza sessuale e di genere. Per esempio il Nay-Sat Kut-kwey Ye (NaSaKa), messo su nel 1992, ha sistematicamente colpito i Rohingya.
I membri del NaSaKa ed i soldati hanno individuato le ragazze e le donne Rohingya e molti loro attacchi sono motivati razzialmente. Vari rapporti dei diritti umani notavano anche come la razza era uno dei maggiori fattori istigatori di violenza sessuale contro le donne Rohingya ed i bambini. Il duro sistema di dare le licenze di movimento, deportare e di lavoro forzato, di sfratto delle terre e di tortura hanno rese dure le condizioni per i Rohingya nella loro terra. L’odio razziale è stao un immenso fattore nelle violazioni di diritti umani perpetrati contro i Rohingya.
Nelle interviste di vari anni, i rifugiati Rohingya avevano parlato dell’uso insultante e umiliante delle parole da parte delle forze di sicurezza. Gli ufficiali più raffinati usavano parole appena accettate nascoste dietro altre categorie corrette che accentuavano la diferenza quale cultura, etnia e religione.
Un rapporto rcente dice che nel 2009, in una lettera aperta agli altri diplomatici il console generale birmano ad Hong Kong, ora ambasciatore all’ONU, descriveva i Rohingya come “brutti come gli orchi” paragonando la loro pelle scura a quella soffice e chiara della maggioranza etnica birmana”. Quello che demoralizza l’attivismo dei diritti umani è che membri delle comunità etniche che sono state oppresse per decenni dai regimi militari, disprezzano anche i Rohingya.
Ko Ko Gyi, il noto esponente politico appena rilasciato a Gennaio, ha detto che i Rohingya non devono essere trattati male, sottolineando però che non sono una etnia birmana.
Ci sono numerosi gruppi e personalità politiche dei diritti che credono fermamente che i Rohingya non appartengono alla loro Birmania. Il Network delle Donne Birmane che son ostate attive nel campo dei diritti e nelle strategie di genere spesso escludono gli attivisti delle donne Rohingya in seguito alle ostruzioni fatte deliberatamente da alcuni gruppi di diritti di donne Arakanesi.
Quando ponevo delle domande agli attivisti sulla frontiera Birmana Thailandese del perché gli attivisti Rohingya non fossero inclusi nei loro programmi, una risposta molto comune era che i capi Rohingya e Arakanesi dovevano risolvere le loro dispute prima. La mancanza di volontà politica per varie ragioni ed anche la capacità di altri gruppi etnici di intervenire aveva rafforzato il problema.
Tutto questo accadeva quando Aung San Suu Kyi stava per lasciare il paese per il suo viaggio in Europa il 13 giugno, e molti la criticarono per lasciare la Birmania durante un simile periodo. Suu Kyi nel suo viaggio in Thailandia aveva sottolineato la necessità di affermare il governo secondo la legge per portare stabilità in Birmania.
Ad una domanda sul problema della cittadinanza dei Rohingya al Forum di Oslo, SuuKyi specificò: “Non siamo certi di quali siano le richieste per la cittadinanza… Se fossimo molto chiari su chi è cittadino del paese secondo la legge chi si può qualificare, non ci sarebbe problema. Dobbiamo applicare il comando della legge, e sapere qual’è la legge, Dobbiamo essere sicuri che è applicata in modo appropriato.”
La questione della cittadinanza resta al cuore della persecuzione, della apolidia e insicurezza dei Rohingya. E’ triste ma i venti del cambiamento in Birmania non segnalano un cambiamento automatico nella questione della legalità e illegalità dei Rohingya. La mancanza di potere contrattuale ed il profondo risentimento e l’attitudine razzista di varie personalità importanti indica che questa non sarà risolta sulla base di una priorità nel prossimo futuro anche da parte dei capi birmani.
Il Confine col Bangladesh
Mentre sei barche che portavano rifugiati traumatizzati e turbati da Sittwe si perdevano sul fiume Naf, il ministro degli esteri del Bangladesh al Parlamento affermava che questa era una vicenda interna del Bangladesh., che non stava perseguitando i Rohingya e che il Bangldesh non era obbligato all’assistenza umanitaria poiché non aveva sottoscritto la convenzione dei rifugiati del 1967 e doveva inoltre proteggere la propria sicurezza nazionale.
Un simile spostamento intero era causata da violenze interne scoppiate in Birmania nel 1942 che si erano diffuse nell’intero Arakan. Gli arakanesi buddisti e i musulmani rohingya erano in una dura battaglia dopo la quale gli Arakanesi si spostarono a meridione ed i Rohingya a Nord compresi 22 mila che avevano attraversato il confine nel Bengala. La seocnda ondata migratoria avvenne in seguito al progetto di censimento nazionale durante i lquale più di 200 mila scapparono nel Bangladesh.
Dal 1991 l 1992 oltre 270 mila Rohingya attraversarono la frontiera dalla Birmania portandosi con sé le loro esperienze di orribili violenze, lavoro forzato, stupri, esecuzioni e torture.Il Bangladesh all’inizio li accolse vedendo la questione come una cosa di breve termine da risolvere mediante negoziati bilaterali con la Birmania. Il governo del Bangladesh lo vide come una spinta morale offrire assistenza per una volta e non cercarla. Inizzialmente il paese accolse la Croce Rossa e la Commissione ONU sui rifugiati ed altre agenzie di assistenza.
Ma presto, il peso sui luoghi dove si trovavano i campi cominciò a preoccupare il regime, con un decremento del sostegno del Bangladesh e dei governi sempre meno simpatetici verso i Rifugiati. La recente attitudine xenofoba verso i Rohingya mostrata in Bangladesh proviene dal fronte ultranazionalista che sostiene che i Rohingya siano sostenuti ed armati dal Jamaa’t-i-Islami, il partito che ha poto in dubbio e si è opposta violentemente alla guerra di liberazione del Bangladesh nel 1971. Quelli che lo ritengono pensano che i Rohingya saranno usati come riserva ei voti nelle prossime elezioni. La propaganda birmana implicava anche che la gente che fuggiva era per lo più militanza islamica aggiungendo ulteriore ansietà sul governo del Bangladesh.
Questa accusa non prendeva in considerazione le condizioni inumane dei campi rendendoli una preoccupazione di sicurezza nazionale. L’UNHCR vedeva il rimpatrio come la risposta più logica e in molti casi faceva riferimento al rimpatrio involontario dei Rohingya rifugiati dal Bangladesh. Attualmente sono 26311 i Rohingya riconosciuti come rifugiati che vivono in vari campi nelle aree di frontiera. Benché UNHCR fornisce sostegno a 21716 dei Rohingya rifugiati che vivono nei campi, il governo del Bangladesh ha ripetutamente negato all’UNHCR di mettre su attività di autosostegno sia fuori che dentro il campo. Secondo la Commissione dei rfugiati ci sono circa 200 mila rifugiati senza documenti.
Inoltre, l’aumento del numero di Rohingya senza documenti sistemati a Chittagong sulle colline hanno fatto arrabbiare le comunità locali. Meghna Guhathakurta, un ricercatore che studia i Rohingya, notava in una conversazione personale: “Sono giunti in Bangladesh negli anni e si sono sistemati a Bandarban solo perché sono stati cacciati dalle pianure, ma dopo aver incontrato le ostilità dei locali si sono ritirati nei boschi e sulle colline.”
Le distese di colline di Chittagong casa degli indigeni Bangladesi devono ancora riprendersi dalla propria esperienza di un conflitto protratto terminato formalmente con l’accordo del 1997, Violazioni dei diritti umani, spostamenti di comunità indigene e furto di terre da parte di Bengalesi illegali delle pianure hanno prodotto molte insicurezze per questa popolazione indigena. La migrazione Rohingua verso queste distese aggiunge altre insicurezze, quali il coinvolgimento dei Rohingya nel diboscamento illegale, nel traffico di droga e in attività illecite. Attualmente è il settore della sicurezza e gli abitanti bengali che conducono queste attività e si avvantaggiano del lavoro Rohingya nei terriori delle distese.
Rispetto alle norme legali, il Bangladesh ha bisogno di aderire alle norme e leggi internazionali. La divisione dell’India spostò milioni i Bengalesi e abitanti del Bihar chhe si rifugiarono nel Pakistan Orientale che divenne poi il Bangladesh. Circa 10 milioni di persone furono spostate con la forza in India durante la sua indipendenza nel 1971. Un gran numero ritornò quando divenne indipendnente. Dal momento in cui si allontanò dal Pakistan fu casa a 300 mila biharesi che divennero apolidi e furono internati in 66 campi dentro il paese sino al 2007.
Ha una vasta popolazione indigena che furono spostati durante i progetti di sciluppo e durante il conflitto. Ogni anno ci sono migliaia di persone rifugiate interne nel Bangladesh a causa degli allagamenti. Si potrebbe dire che la nazione ha tante vvarie forme di spostamento di persone e lo stato nazione è stato creato dai rifugiati e con una storia di guerre. Tuttavia non ha un regime legale che potrebbe proteggere le persone che sono rifugiati, interni o apolidi. Il Bangladesh non ha sottoscritto la convenzione dei rifugiati del 1951 e del 1967, ma fa parte di un numero do strumenti umanitari per le quattro convenzioni di Ginevra del 1949 e le convenzioni internazionali.
Il Bangladesh deve offrire protezione ai rifugiati vari articoli di varie convenzioni internazionali, e ancora più importante la costituzione del Bangladesh nei suoi Preamboli promette di proteggere i diritti umani fondamentali di tutti.
Entrambi i governi birmano e del Bangladesh hanno strategicamente usato i cattivi concetti, le paure ed i pregiudizi per disegnare tutti i Rohingya come terroristi. Nessuno tra questi due stati, compreso i gruppo politici e dei diritti umani separano i gruppi armati dal dolore delle popolazioni civili dei Rohingya.
In seguito all’emigrazione forzata del 1991 e 1992 entrambi gli stati e fino ad un certo punto anche UNHCR fornirono informazioni inadeguate suggerendo che tutto avrebbe avuto senso se li si rispedissero a casa. Il Bangladesh ignorava lo status apolide in Birmania e UNHCR affermava che i rifugiati non sarebbero stati peggio in Birmania.
Come gli eventi ripetuti da parte dei rifugiati Rohingya dimostrano, le diseguaglianze di potere, le politiche di rimpatrio e il discorso delle sicurezze nazionali non solo hanno reso la comunità Rohingya più vulnerabile ma anche hanno negato loro il diritto ad avere diritti.
Bina Da Costa, Democratic voice of Burma