L’ASEAN ha compiuto 45 anni il quindici di agosto e ne ha fatta di strada prima come un gruppo di paesi che emergeva dalla guerra fredda ed ora come la più fruttuosa organizzazione regionale dopo la Comunità Europea. Nei decenni scorsi ci sono stati significativi sviluppi nell’ASEAN che vanno dal lancio della Carta dell’ASEAN alla materializzazione graduale della costruzione della comunità. Ma la via verso l’integrazione regionale non è mai stata cosa facile per l’ASEAN. E l’incapacità a rapportarsi con il conflitto del Mare Cinese Meridionale dimostra la sua inerente debolezza, mostrando così al mondo la relazione ASEAN Cina. E’ tempo che l’associazione valuti criticamente questa relazione complessa.
L’immagine attuale duale della Cina, amorevole panda e drago minaccioso, obbliga l’ASEAN ad adottare un attitudine ambivalente. Da un lato la regione trova fondamentale lavorare strettamente con il gigante asiatico per i suoi propri interessi strategici ed entrambi hanno i loro legami economici. La popolazione totale di entrambi e le loro economie valgono circa 2 miliardi di persone e 3 trilioni di dollari, e le loro esportazioni ed importazioni combinate valgono 1,4 trilioni e 1,2 trilioni di dollari rispettivamente.
Entrambe hanno anche sviluppato la cooperazione nella difesa e nella sicurezza in molte aree, da visite di alto livello dei militari e rappresentanti della difesa, alle visite nei porti, esercitazioni congiunte militari di piccola scala, trasferimenti di equipaggiamenti della difesa, programmi di scambio di formazione militare e dialoghi multilaterali da parte dei capi della difesa. Attualmente, Pechino ha colloqui di difesa con sei paesi dell’ASEAN come pure con l’ASEAN stessa.
Il potere cinese dolce lo si è sentito sempre di più nella regione. L’aiuto estero cinese ha avuto un impatto crescente tangibile in molti paesi, benché sia difficile quantificarlo per la mancanza di dati e le caratteristiche uniche dell’assistenza cinese che viene erogata senza tante condizioni poste, di solito, da altri donatori con l’aiuto, come le riforme democratiche, l’apertura del mercato e la protezione ambientale, riflesso della propria politica di “non interferenza negli affari domestici”.
Al contempo, aleggia nelle menti di molti membri dell’ASEAN una percezione della Cina come una minaccia che è stata conservata e rafforzata dalla disputa sul Mare Cinese Meridionale. La minaccia percepita però non proviene solo dalla sua presenza militare, ma le nazioni dell’ASEAN sono coscienti delle conseguenze economiche della crescita della Cina. Per esempio, l’impatto del trattato di libro commercio tra Cina e Thailandia si potrebbe misurarlo con la crescita del volume commerciale del 27% delle esportazioni thailandesi e del 14% di quelle cinesi. Comunque il deficit commerciale thailandese con la Cina si assesta a 2 miliardi di dollari dopo l’implementazione del trattato. Questo problema ha un impatto considerevole sulle politiche nazionali negli stati della regione.
Nel trattare con le opportunità e le sfide che si accompagnano con la crescita della Cina, le nazioni della regione hanno messo su un approccio da ASEAN, usando l’organizzazione per tenere a bada la Cina e per affrontare l’integrazione regionale o, come spesso detto dai suoi membri, di sedersi al volante. Fondamentale per questo approccio è il modo in cui l’ASEAN ha cooperato con le altre potenze per rendere sopportabile l’impatto cinese come lo si può vedere nell’approvazione di un regionalismo aperto.
L?ASEAN ha incoraggiato Giappone, India, Australia e Nuova Zelanda a partecipare al processo di regionalizzazione, assunta con entusiasmo dalle nazioni per ridurre l’influenza cinese. L’India, il Giappone e l’Australia sono molto caute sul peso crescente cinese che potrebbe colpire i propri interessi nella regione. L’ASEAN trova importante diversificare le proprie scelte politiche ed è cosciente della minaccia della Cina con la quale vuole mantenere buoni legami mentre lavora con altri attori regionali per mantenere un bilancio di poteri davvero bilanciato. Ma questa pratica di politica bilanciata ha anche i suoi difetti.
Una sfida fondamentale sgorga dalle differenti posizioni tra i suoi membri verso la Cina, i quali non sono riusciti a proporre una posizione unificata su vari problemi e il mare cinese meridionale è una di questi. Questo ha garantito ai capi cinesi un’opportunità per avvantaggiarsi delle debolezze dell’organizzazione per tenere fermo il suo ordine regionale e difendere la sua posizione di potere. L’ASEAN è stata spesso oggetto di critiche per la sua organizzazione incoerente. Laos, Cambogia, Birmania e anche in parte la Thailandia danno il benvenuto la presenza economica e politica crescente della Cina nella regione a causa dei benefici che ne derivano.
La Cina è per esempio diventata la fonte di legittimazione politica per i capi birmani; ha investito in modo pesante nel povero Laos come in progetti idroelettrici e attraverso la costruzione di dighe. Pechino ha creato legami con il regime di Hun Sen in Cambogia tirando fuori il paese dall’orbita vietnamita e thailandese.
Alcuni paesi hanno scelto una prospettiva più vasta nell’interpretazione della potenza cinese. Singapore, benché possegga enormi interessi economici in Cina, ha continuamente incoraggiato altre potenze, specie gli USA, a ritrovare un confronto con la regione per bilanciare il potere cinese, una posizione che ha trovato un atteggiamento favorevole sia in Indonesia che in Vietnam. Proprio questa differenza di posizioni tra gli stati è una ragione dell’apparente inefficacia dell’approccio del gruppo verso la Cina.
L’analogia del pendolo forse spiega bene come la regione abbia cambiato le proprie posizioni in cerca di un bilancio perfetto. Ma occasionalmente le forze interne dentro il pendolo possono essere troppo imprevedibili e quando ciò succede permette alla Cina di allargare il suo ruolo e quindi manipolare l’ordine regionale ancor di più.
Pavin Chacavalpornpun, Strait Times Singapore