Quando gli insorti malay musulmani delle province meridionali thailandesi hanno di recente issato le bandiere malesi lungo le strade, i ponti riservati ai pedoni e ai pali elettrici, hanno messo in luce con quegli atti simbolici il ruolo spesso trascurato che ha la Malesia sulla frontiera nel conflitto mortale.
Benché i Thailandesi abbiano sempre caratterizzato la situazione come locale, è un’interpretazione un po’ costretta per il fatto che molti thailandesi malay musulmani condividono delle affinità etniche e religiose con la maggioranza etnica della Malesia che, per tanto tempo, è servita come un rifugio per i separatisti che lanciano attacchi in Thailandia e sfuggono attraverso la frontiera.
Ci sono state diffuse accuse per cui lo stato settentrionale malese del Kelantan sia stato usato dai separatisti per l’addestramento e la pianificazione. Molti degli insorti e altri legati alla ribellione separatista hanno attinto ai consigli strategici della vecchia generazione di separatisti che risiedono in Malesia.
Gli incidenti con la bandiera malese issata servono per ricordare con durezza che la Malesia avrà bisogno di giocare un ruolo significativo complementare se si vuole reprimere i livelli di violenza senza precedenti che hanno colpito la storica regione di minoranza etnica sin dagli inizi del 2004.
Il 31 agosto, il giorno in cui i separatisti hanno issato le bandiere malesi per le province meridionali di Pattani, Narathiwat, Yala e parte di Songkla, segnava simbolicamente sia l’anniversario dell’indipendenza malese che la nascita di Bersatu, un gruppo ombrello separatista formatosi nel 1989.
Secondo fonti che conoscono il movimento clandestino, gli ordini per quelle manifestazioni fortemente coordinate sono stati dati dai capi separatisti in Malesia.
Alcune fonti Malay Musulmane legano questi incidenti alla colonizzazione della Thailandia della regione che era un sultanato Malay. Credono che sono stati fatte 103 manifestazioni contemporanee pari allo stesso numero di anni che la regione conosciuta come Pattani vive sotto il dominio thailandese. Il trattato anglo-siamese del 1909 demarcava le frontiere tra Siam e Malesia ponendo fine alle relazioni tributarie.
Il coordinamento stretto e la diffusione geografica larga delle manifestazioni ha posto di nuovo domande sulla struttura dell’insorgenza che spesso è descritta come frammentata e in competizione tra vari gruppi e frazioni. Mentre si sa che il movimento è composto di molti gruppi, compresi i vecchi PULO e BRN, un consiglio di anziani segreto appena strutturato coordina tutti i gruppi secondo una fonte informata.
La risposta ufficiale thailandese agli eventi fu che i separatisti provavano a generare un conflitto tra i due paesi. Altre fonti vicine al movimento suggerivano che gli incidenti sottolineavano un desiderio di tanto tempo dei separatisti affinché la Malesia avesse un ruolo da intermediario in un negoziato di pace con governo Thailandese. I media Malesi vicini al governo all’inizio non parlarono degli incidenti. Dopo il 2 settembre citarono fonti ufficiali malesi che dicevano di non sapere perché fossero state issate bandiere malesi sul territorio thailandese, mentre il governo thai continuava a dire di avere rapporti cordiali con l’amministrazione malese.
Qualche giorno dopo Najib incontrava il primo ministro Yingluck Shinawatra nell’incontro dell’APEC in Russia dove Najib rassicurava Yingluck della cooperazione totale malese nella risoluzione dei problemi legati all’insorgenza, dicendosi soddisfatto delle politiche thailandesi verso la lontana regione.
Le due nazioni comunque hanno una storia conflittuale su queste regioni a predominanza malay musulmana.
Negli anni 60 e 70 la Malesia forniva assistenza ai gruppi separatisti nella lotta contro il governo thailandese. Agli inizi degli anni 90 la Malesia cominciò a ritirare il sostegno ai gruppi separatisti dopo che la Thailandia contribuì strumentalmente all’eradicazione del Partito comunista Malese nel 1989.
Nel 1998 la Malesia consegnò alcuni capi chiave del PULO alla Thailandia dando il suo contributo ad una calma regionale relativa. Con la ripresa del movimento separatista nel 2001 la Thailandia sperava nella cooperazione delle autorità malesi per fermare le figure separatiste di stanza in Malesia, di porre dine alla nazionalità duale per migliorare la sicurezza alla frontiera e fermare il contrabbando specie petrolio e droga.
Nel 2000 fu firmato un accordo bilaterale che voleva combattere la criminalità e promuovere la cooperazione nello sviluppo socioeconomico, segnalando un nuovo periodo di cooperazione, ma con l’intensificarsi del movimento la Malesia diminuì la sua assistenza.
La frustrazione thailandese rispetto alla Malesia è durata per la fase del conflitto lungo quasi un decennio esprimendosi in una intervista del generale Akanit Muansawad, direttore del Neighboring Countries Border Coordinating Center, ad una televisione locale dove esprimeva il dispiacere per la mancanza di assistenza da parte della Malesia. Akanit, una figura importante nei colloqui non ufficiali tenuti con esponenti del movimento all’estero, sottolineava chiaramente che le autorità malesi sapevano che i separatisti usavano il loro territorio come un rifugio ma non avevano preso nessuna misura concreta per fermare quella pratica.
Secondo fonti vicine all’insorgenza, sembrerebbe che l’intervista di Akanit ha messo benzina sul fuoco per condurre gli eventi del 31 agosto che includevano l’uso di cinque bombe che hanno ferito sei ufficiali thailandesi. Mentre il pensiero di Akanit è condiviso privatamente da molti ufficiali delle forze di sicurezza di stanza nel meridione, la sua espressione cozzava contro la natura della diplomazia thailandese con la Malesia. Sin dalla cacciata di Thaksin Shinawatra nel golpe del 2006, la Thailandia ha sempre evitato di criticare pubblicamente la Malesia nel suo presunto ruolo nel sostenere l’insorgenza.
Con Thaksin le relazioni bilaterali peggiorarono significativamente. La Malesia si esasperò per la mano pesante del governo nel suo approccio con l’insorgenza, in particolar modo con le atrocità commesse dalle forze thai alla moschea Kru Se e a Tak Bai nel 2004. Thaksin, da parte sua, aggravò la situazione ulteriormente quando criticò ripetutamente la posizione malese specie per il trattamento come rifugiati dei musulmani malay che traversavano la frontiera dalle aree del conflitto in Thailandia.
Quando assunse il potere il governo nominato dai golpisti, il primo ministro Surayud Chulanont lavorò ai buoni rapporti dei legami bilaterali, spingendosi a dare un pubblico sostegno ad una soluzione pacifica della situazione, cosa che fu percepita da alcuni in retrospettiva come un sostegno tacito agli sforzi malesi dietro le quinte di mediare nel conflitto che era da poco iniziato.
Tra il 2005 e 2006 il premier di allora Mahatir facilitò una serie di colloqui segreti tra i capi militari thailandesi e figure del movimento in Malesia che però alla fine fallirono per la mancanza del sostegno dei capi del governo thailandese e delle figure separatiste importanti nel movimento.
Secondo alcuni. la riluttanza della Thailandia nasceva in parte dal fatto che la Malesia non era un mediatore neutrale e quindi non ci si poteva fidare nella mediazione del conflitto. Mentre i rappresentanti thailandesi desiderano che la Malesia lanci più iniziative per raccogliere informazioni da condividere e reprimere il movimento separatista sul proprio suolo, molti politici malesi credono che il governo thai dovrebbe essere più aperto nell’affrontare le problematiche legate all’identità tra i malay musulmani nelle sue province più meridionali.
A luglio, vari politici malesi malay, facenti part di vari partiti dall’UMNO, al PAS al PKR, esprimevano queste simpatie durante una visita nel meridione thailandese dove visitavano la provincia di Pattani ed incontravano le potenti elite locali compresi alcuni creduti simpatizzanti dell’insorgenza. Agli inizi di settembre Mahatir parlando ad una conferenza internazionale ad Hay Yai diceva che la Malesia non aveva né sarebbe mai intervenuta nel conflitto, aggiungendo che avrebbe fornito maggiori informazioni, intelligence e consigli per risolvere pacificamente la situazione.
Comunque, è improbabile che la Malesia soddisfi tutte le richieste thailandesi su argomenti di intelligence specie in una stagione elettorale in cui il partito al governo dell’UMNO va incontro ad una diminuzione del sostegno nelle province settentrionali, dove le simpatie per i militanti malay musulmani sono profonde.
Vari analisti che guardano al conflitto credono che finché Bangkok si rifiuta di entrare in colloqui di pace formali col movimento separatista, la Malesia si terrà lontana dal dare un aiuto alla risluzione del conflitto. La Thailandia è stata molto spinta da vari corpi di mediazione internazionale ad intensificare il dialogo con l’ombroso movimento separatista rispondendo loro “parlare con chi?”.
Per le forze armate thai, i separatisti ricercano l’indipendenza e quindi qualunque negoziato non andrebbe bene. Altri che conoscono la situazione riconoscono gli orientamenti negativi di molti separatisti ma credono fermamente che il comando separatista potrebbe essere costretto ad emergere dalle ombre se la Thailandia mostrasse sincerità nel voler entrare in colloqui di pace formali.
Si crede che l’attuale governo guidato dal Puea Thai voglia cominciare un processo di pace che alla fine comporti concessioni sostanziali alla regione della minoranza etnica compresi arrangiamenti speciali di governo con rappresentanti eletti.
Si sa che Thaksin, che vive in esilio sin dall’anno del golpe, ha avuto egli incontri agli inizi dell’anno con una vecchia generazione di separatisti in Malesia, ma non potette incontrare le figure che si sanno avere un ruolo chiave nell’attuale insorgenza. In questi colloqui, si dice che i separatisti di stanza in Malesia raccomandavano al governo thailandese di rilasciare i prigionieri separatisti, di togliere il controverso decreto di emergenza, abolire la lista nera dei possibili separatisti e ridurre il numero delle forze di sicurezza. Queste richieste non trovavano d’accordo il governo thailandese.
In una apparente risposta a quel fallito approccio, i separatisti lanciarono gli attacchi a Yala e in un centro commerciale a Hat Yai il 31 marzo dove furono uccisi 15 persone e centinaia di feriti con attacchi coordinati con autobomba.
Il colonnello di polizia Tawee Sodsong, segretario del SBPAC, prima del Ramadan, con queste violenze ancora in mente, viaggiò in Malesia per incontrare gli ufficiali di polizia della Malaysian Special Branch. Secondo alcune fonti, Tawee chiese alle autorità malesi di contattare i capi separatisti sul terreno per convincerli a diminuire gli attacchi nel mese santo per i musulmani . La risposta dei separatisti fu di intensificare gli attacchi conducendo uno di periodi di Ramadan più mortali in Thailandia sin dal 2004.
La scalata della violenza ha dato argomenti politici agli oppositori del governo di Yingluck che l’accusano di non aver onorato la sua promessa elettorale di portare pace nella regione, ma secondo molti il governo di Yingluck è bloccato dall’establishment realista e in particolare dai generali del potente esercito thailandese.
Akanit, un alleato stretto del capo delle forze armate Prayuth Cahnocha nonché realista costretto e duro avversario di Thaksin, ha affermato che il governo non può iniziare i negoziati con i separatisti perché violerebbe alcuni punti nella costituzione del 2008.
Questo punto è stato riconfermato dal comandante delle forze armate della regione Udomchai Thamsarorach in un’intervista televisiva dopo la resa fortemente pubblicizzata di 93 presunti insorti si erano arresi 11 settembre a Narathiwath. Molti commentatori hanno già screditato questo numero senza precedenti di rese come una qualcosa messo su dalle forze armate per dimostrare che si fanno progressi per contenere un’insorgenza che pochi credono si possa controllare. Alcuni sostengono che alcuni di quelli che si sono arresi si erano rifugiati precedentemente in Malesia.
Altri hanno speculato che l’annuncio della resa era l’ultimo sforzo di Udomchai di mantenere la sua posizione di comandante della regione nei successivi rimpasti annuali, dopo che l’aveva conquistata per la fama di saper costruire legami forti con i capi religiosi.
Benché le rese recenti potrebbero indicare qualche progresso per le forze armate, alcuni delle forze armate indicano che non sarà ancora possibile raggiungere i duri dei capi separatisti, tra i quali Sapaeing Basor e Masae Useng figure chiave del movimento separatista. Si dice che entrambi vivano in Malesia e i tentativi passati di contattarli da parte degli ufficiali thailandesi siano falliti. Ma se mai si deve restaurare una pace relativa nella travagliata regione di minoranza etnica, la Thailandia avrà bisogno do trovare un modo non solo di negoziare con i separatisti di fama ma anche con i suoi vicini meridionali.
Jason Johnson Asiatimes