Questi nuovi paradigmi della crescita possono sempre più inspirare movimenti che li renderanno reali. Per la mera necessità.
Il mondo entrerà presto nella sua sesta grande recessione e non se ne vede la fine. Negli USA continua a regnare la stagnazione e sono 23 milioni gli americani senza lavoro o non volontariamente impiegati in part time o semplicemente per pura frustrazione hanno abbandonato il mercato del lavoro, una situazione che ora minaccia di comportare la sostituzione del presidente Obama da parte di un candidato repubblicano i cui programmi se applicati tenderebbero a peggiorare la crisi.
In Europa i programmi di austerità draconiana coprono il panorama economico minacciando di toccare le poche economie floride rimaste del vecchio continente come la Germania. Il terzo quadrimestre è stato giudicato il peggiore dell’industria tedesca negli ultimi tre anni a causa di una calata delle esportazioni verso le nazioni costrette dall’austerità. Molti analisti avevano messo in guardia che l’insistenza tedesca nell’imporre finanziarie dure sui suoi vicini per rassicurare il rientro dei prestiti verso le banche tedesche alla fine comporterebbero un’azione di risucchio sull’economia più forte della Comunità Europea.
L’anno 2012 ha segnato il definitivo legame della Cina e dell’Asia dell’Est nel vortice globale, insieme ad India e Brasile. Alla fine degli anni 2008 e 2009 la recessione europea e americana portò giù i tassi di crescita dell’Asia Orientale ma questo fu per quasi un anno. Dal 2010 l’Asia Orientale e le nuove economie emergenti denominate BRICS (Brasile, Russia, India, Cina e Sudafrica) sembravano essersi riprese. Una grande ragione fu il programma di stimolo miliardario cinese da 585 miliardi di dollari (il più grande relativamente alla grandezza dell’economia) che non solo tirò il paese ma anche i suoi vicini nell’Asia Orientale fuori dalla recessione.
I BRICS furono considerati come punti chiari nell’economia globale che facevano vedere resilienza e crescita mentre il Nord stagnava. Infatti ad economisti come il Nobel Michael Spence
“Con la crescita che ritorna ad i livelli pre 2008, la performance forte della Cina, India e Brasile sono motori importanti per l’espansione per l’economia globale di oggi”.
In un decennio la quota del PIL globale da parte di queste economie emergenti sarebbe passata oltre il segno del 50% secondo l’economista. Molto sarebbe stato prodotta dalla “crescita endogena nelle economie emergenti ancorate ad una classe media in espansione. Inoltre, mentre cresceva il commercio tra i paesi del BRICS, il futuro delle economie emergenti è di una ridotta dipendenza dalla domanda dei paesi industriali”. Le tendenze recenti sembrano mostrare che l’idea, secondo cui il destino dei BRICS sia diventata disaccoppiata da quello americano ed europeo, era una illusione.
Le economie del BRICS hanno rallentato con il tasso di crescita indiano che ritorna ai suoi livelli nei primi anni 2000. La crescita brasiliana nel 2011 era sotto il 3%, più bassa come notava l’Economist di quella del malato Giappone. La crescita cinese del secondo quadrimestre di quest’anno scendeva al 7,5% il più basso in tre anni. La principale ragione per il grande rallentamento dei BRICS sembra essere la continuata grande dipendenza di queste economie dai mercati del Nord e la loro incapacità di istituzionalizzare la domanda domestica come il motore principale dell’economia.
Neoliberalismo contro Keynesismo
Con lo scoppio della crisi finanziaria del 2008 due approcci erano in competizione per affrontare la crisi. Nell’immediato dopo-crisi, il neoliberale Robert Lucas diceva: “Ogni economista è Keinesiano in trincea.”. Per il 2010 i neoliberali avevano lasciato la tana, ma le loro soluzioni non sono soluzioni in quanto non affrontano il problema di porre fine alla disoccupazione e a ricominciare a crescere. Dal punto di vista neoliberale un approfondimento della crisi era infatti parte dell’ordine naturale delle cose, mentre gli “eccessi” e le distorsioni create dall’intervento del governo erano strizzate fuori del sistema.
Quello che i neoliberali riuscivano a fare era cambiare la narrazione o il discorso giocando sulla tradizionale sfiducia della classe media americana del governo, della spesa e delle tasse. In questo erano sostenuti dalla macchina propagandistica di Wall Streets che cercava di muovere l’attenzione pubblica dalla riforma finanziaria. Invece della disoccupazione e della stagnazione nel breve e medio periodo, il problema reale era il debito e il deficit. Deficit massicci finanziati dal debito, così mettevano in guardia, assicurava un futuro di schiavitù dal debito per le generazioni a venire.
Sia in USA che in Europa questa via non offre null’altro che più disoccupazione stagnazione. Ma con la crisi che crea un’atmosfera di disperazione e confusione, la destra con i suoi attacchi verso l’intervento del governo, spesso aveva successo nel presentare come problema il governo piuttosto che i capitali senza regolamentazione. Questo era di certo il caso in gran parte dell’Europa negli ultimi tre anni. Nonostante le aspettative iniziali riposte nelle elezioni francesi di un’ondata in favore della spesa, i Socialisti di recente hanno svelato un programma di austerità.
I Keynesiani hanno provato a prendere il posto di guida con lo scoppio della crisi del 2009. Il Keynesiano Paul Krugman vedeva la disoccupazione come un problema chiave che doveva essere scacciato da una spesa massiccia, bassi tassi di interesse e politiche economiche larghe. Il punto più alto dei Keynesiani venne nel 2009 quando Obama, sostenuto dalla maggioranza del suo partito al senato e alla camera, lanciò un programma di stimolo da 787 miliardi di dollari, mentre a livello internazionale il G20, che mette assieme le maggiori economie mondiali, sosteneva la spesa da deficit per accelerare la ripresa globale.
La cautela di Obama comunque risultò essere la sua rovina. Per accattivarsi la destra, la sua amministrazione propose uno stimolo minore di quello che qualche Keynesiano riteneva necessario per iniziare una ripresa sostenuta, una cifra che era stimata attorno ai 1,8 trilioni di dollari. Il compromesso sullo stimolo da 787 miliardi di dollari creò quello che sarebbe diventata la mossa azzardata di Obama: era sufficiente a non far peggiorare la situazione, ma non abbastanza per favorire una salutare ripresa. Come ha specificato Krugman questa mezza misura ha gettato discredito sul Keynesismo e favorito una vigorosa offensiva della destra che ha costretto Obama a dare un posto prominente nella sua agenda per la rielezione al programma della destra, cioè forte riduzione del debito e del deficit.
La disaffezione con Obama fu inoltre attizzata dal fallimento delle varie riforme finanziarie che erano state promesse dopo il grande salvataggio bancario “per salvare l’economia” come lo hanno detto i loro promotori. La riforma Dodd Frank non aveva le minime condizioni per una riforma con i denti: la messa al bando dei derivati, una condizione per impedire alle banche commerciali di duplicarsi come banche di investimento, l’imposizione di una tassa sulle transazioni finanziarie, un forte controllo sugli stipendi dei dirigenti, sui bonus e sulle opzioni di borsa. Come disse il New York Times “A quattro anni dopo il crollo e a due anni dall’approvazione della legge Dodd Frank, il mercato dei derivati multimiliardari è controllato da un pugno di grosse banche e la regolamentazione è un lavoro lento nell’andare avanti”.
Oltre il Keynesismo
Ma, mentre neoliberali e Keynesiani si danno battaglia, ci sono quelli che dicono che l’intersezione della crisi economica con la crisi ecologica implica che non solo il neoliberismo ma anche il keinesismo, con la sua attenzione a restaurare una crescita economica rapida e alta, non sono più sufficienti come risposta praticabile. Il cambiamento climatico sta cambiando per esempio i termini della discussione su ripresa e crescita. Questa trasformazione è stata accelerata da affermazioni forti di figure del potere quali il presidente della Banca Mondiale Jim Yong Kim che di recente ha detto che “quanto si sa dei cambiamenti climatici “fanno di gran lunga più paura di quello che pensiamo siano”
Gli ambientalisti progressisti si stanno facendo strada nel convincere la gente che la crisi dovrebbe essere localizzata in un contesto molto più vasto di un modo di produzione orientato alla crescita e legato ai combustibili fossili. Per analisti come Richard Heinberg l’intersezione del collasso finanziario, stagnazione economica, riscaldamento globale, il costante esaurimento di riserve di combustibili fossili e l’agricoltura che raggiunge i suoi limiti è un’intersezione fatale. Rappresenta una crisi molto più profonda di un temporaneo rallentamento sulla strada della crescita. Presagisce non solo la fine del paradigma della crescita globale guidata dalla domanda delle economie centrali. Significa “fine della crescita” come l’abbiamo conosciuta. E’ in breve la trappola Malthussiana benché Heinberg comprensibilmente eviti di usare quel termine.
Le spirali dell’economia finanziaria, dice, non hanno origine semplicemente dalle dinamiche dell’accumulazione del capitale ma da un disequilibrio generale ecologico:
Forse l’ascesa meteorica dell’economia finanziaria nelle scorse decadi era il risultato di una strategia semicosciente da parte delle elite manageriali di parte della società di far crescere gli ultimi possibili incrementi di crescita da una economia fisica basata sulle risorse che stava quasi al massimo delle sue capacità. In ogni caso le implicazioni della attuale crisi economica non possono essere catturate dalle statistiche della disoccupazione e dai prezzi degli immobili.
I tentativi di far ripartire la crescita inevitabilmente andranno in collisione con i limiti naturali che non reagiscono agli stimoli o ai salvataggi economici… I problemi ambientali nascenti richiedono sforzi crescenti per risolverli. In aggiunta ai limiti che si hanno di fronte sull’ammontare del debito che si può sostenere per mantenere lontani questi problemi, abbiamo anche di fronte i limiti di quanta energia e quanti materiali possiamo dedicare a questi scopi. Finora il dinamismo della crescita ci ha permesso di lasciarci dietro i costi ambientali che si accumulavano. Come si avvicina la fine della crescita le bollette ambientali dei due secoli di espansione maniacale possono giungere proprio quando i nostri conti in banca si esauriscono.
Heinberg afferma che i prossimi decenni saranno segnati da una transizione dall’espansione alla contrazione, un processo “caratterizzato da una contrazione complessiva della società finché viviamo all’interno di un budget riempibile di risorse rinnovabili della terra, mentre continuamente ricicliamo la maggior parte dei minerali e metalli che si continuano ad usare.”
Il futuro punta nella direzione di eco comunità decentralizzate segnate da una presa di decisione partecipativa più fattibile, alimentata da sistemi a bassa energia, che si affidano su cooperative per la produzione ed altre funzioni economiche, dipendente da un’agricoltura biologica per gli alimenti e che usa monete non legate al debito per scambiare.
La visione del futuro di Heiberg è simile a quelle enunciate in altri paradigmi quali la decrescita, la deglobalizzazione e la sovranità alimentare. Tali approcci devono ancora avere peso al di là delle comunità di militanti e di epistemologi ma mentre l’economia sprofonda fino giù nella stagnazione e prendono piede gli incubi del clima, questi paradigmi possono sempre più inspirare movimenti che li renderanno reali. Per la mera necessità.
Walden Bello