Il culmine del viaggio presidenziale in Birmania si ha nel caloroso messaggio all’università di Rangoon in cui ha lodato il processo di riforma in atto nel paese e ha affrontato i recenti scontri nello stato dell’Arakan ed il cessate il fuoco con i gruppi etnici. “Nessun processo di riforma avrà successo senza un processo di riconciliazione” ha detto Obama ricevendo un applauso scrosciante dall’auditorium pieno. “Abbiamo conosciuto l’amarezza della guerra civile e la segregazione, ma la nostra storia ci mostra che l’odio nel cuore dell’uomo può recedere e le linee tra le razze e le tribù possono svanire”
L’università di Rangoon, attualmente chiusa dalla vecchia giunta militare, è un luogo storico perché gran parte delle lotte per la democrazia sono passate di lì. Nel periodo coloniale è stato il centro della lotta contro l’impero britannico, divenendo poi il luogo da cui sono partite le proteste contro le giunte militari che nel 1962, 1974, 1988 e 1996 si sono succedute al potere. Negli anni 90 fu chiusa dalla giunta per reprimere ulteriori movimenti costringendo gli studenti a frequentare le lezioni sui campus attorno alla città. Ora l’università, un tempo simbolo di cultura importante in tutta l’Asia, è diventata il simbolo di un sistema educativo distrutto e di mezzo secolo di malgoverno.
“Credo che Obama conosca la storia di questa università, il luogo del nemico per le autorità. Il governo americano prova a mostrare in un modo delicato che non solo lavorano per il governo ma avranno cura anche della popolazione birmana.” dice un vecchio militante che ha combattuto contro la dittatura militare nel 1962.
La visita di Obama giunge dopo quasi un anno dalla visita della Clinton in Birmania che aprì la strada alla sospensione delle sanzioni ed ora gli USA annunciano il divieto di importazione dalla Birmania e la ricostruzione degli aiuti americani sotto forma di USAID.
Dopo aver ricordato la promessa di tendere la mano verso quei regimi che aprissero il proprio pugno contro le proprie opposizioni, Obama ha detto: “Sono venuto a mantenere la mia promessa e a tendere la mano dell’amicizia” promettendo il proprio aiuto per la ricostruzione dell’economia e sviluppare nuove istituzioni che possono essere sostenute … Non bisogna lasciar estinguere quelle fiammella di progresso che abbiamo visto; devono essere rafforzate, devono divenire una splendida stella polare per tutta la gente di questa nazione”
A Bangkok, nella sua conferenza stampa, aveva detto che questo viaggio non era un sostegno al presidente Sein, quanto piuttosto una spinta a fare di più e meglio ed il riconoscimento di quanto fatto e non previsto da alcuno, notando che la democrazia è sui limiti del potere, ai propri limiti come presidente. “Quello è il modo di raggiungere il futuro che meritate dove un singolo prigioniero di coscienza è già troppo. Avete bisogno di protrarvi verso un futuro dove la legge è più forte di ogni singolo capo”.
Questo viaggio, però, non è stato visto molto bene dagli attivisti e forse anche dalla stessa Aung San Suu Kyi che lo considererebbe prematuro. Nonostante la liberazione di una cinquantina di prigionieri politici, ce ne sono ancora tanti dietro le sbarre, c’è una guerra etnica e la questione Rohingya a tenere banco. La Suu Kyi ha detto: “Il momento più difficile in ogni processo di transizione è quando si pensa di vedere il successo. Dobbiamo essere molto attenti a non essere attratti da un miraggio”.
Ma lo stesso Obama dice a Bangkok: “Non credo che ci sia qualcuno che pensi che la Birmania abbia raggiunto l’obiettivo. D’altro canto se si attende troppo ad entrare nel rapporto finché non si è raggiunta la democrazia perfetta, ho il sospetto che dovremmo attendere un tempo troppo lungo ”.
Ma ci sono anche le speranze della gente, delle minoranze. Per Safiyan Jamal, un musulmano di Rangoon la speranza è che questo viaggio di Obama possa condurre ad un trattamento migliore dei musulmani in Birmania dopo le violenze etniche dello stato dell’Arakan a giugno ed ottobre.
“Tutti i musulmani sono contenti della visita di Obama nel nostro paese, ne gioveranno. Non abbiamo diritti umani. Siamo trattati come animali nella nostra terra”. Forse a questa gente Obama pensa quando dice a Bangkok: “Non sono uno che crede che gli USA dovrebbero starsene da parte e non volersi sporcare le mani quando c’è un’opportunità di incoraggiare i migliori impulsi in un paese”
Ma ovviamente la politica di Obama non è rivolta soltanto alla democrazia, ma guarda anche all’Asia in generale, al ruolo sempre più preponderante che assume la Cina e alla rinnovata presenza americana che vuole essere di guida nella regione, oltre a disinvestire dai teatri di guerra del medio oriente e dell’Afghanistan. Un riorientamento generale della politica estera americana che negli anni di Bush ha lasciato l’Asia Pacifico per concentrarsi sul medio oriente e la lotta al terrorismo.
In questo quadro andare incontro al processo democratico in Birmania e sostenerlo, significa provare a tirar fuori la Birmania dall’orbita cinese. Dal canto suo la stessa Birmania è logico che voglia permettersi una politica estera di non allineamento, di poter avere scambi e legami con altre aree del mondo rinfrancandosi dalla ingombrante presenza cinese.
Come dice anche la Suu Kyi, è ancora presto per vedere come si evolverà la situazione, essendo il processo ancora fresco e ancora poco radicato fuori delle città importanti del paese. Le condizioni materiali della gente sono ancora misere e si lavora ancora per qualche dollaro al giorno rendendo impossibili una migliore istruzione per i propri figli. Il Ciclone Nargis che distrusse parte del paese nel 2008 è ancora evidente nei suoi marchi.
Le speranze sono tante come pure le attese. La richiesta di una vita migliore, di un futuro migliore per i giovani che vogliono studiare, la voglia di chiudere con un passato di repressione e di paura.
La scuola, l’istruzione sono tra l’altro un campo dove è molto sentita la richiesta di aiuto e dove è anche sentita, all’interno di alcuni centri di potere, la necessità di una riconciliazione. Un consigliere di Thein Sein a maggio scrisse una lettera aperta per chiedere di far riempire di nuovo le classi del campus di studenti chiusi da troppi anni. “Per chi ha delle riserve sui nostri studenti e i nostri giovani che possano formare associazioni come nelle altre parti della società, la domanda da porsi è: nel momento in cui ci affanniamo alla riconciliazione su tanti fronti e persino con stranieri che nel passato non sono stati tanto bravi con noi, allora perché non anche con i nostri giovani?”
Un altro consigliere del presidente, Thant Myint-U, dice: “Se c’è un’area dove l’America può meglio aiutarci è nell’istruzione. Il sistema universitario birmano è stato decimato da decenni di governo militare. Le università americane non sono seconde a nessuna. Non c’è modo migliore per gli USA di proiettare il loro ‘potere dolce’ di una partnership reale per istruire gli studenti più bravi della Birmania”.
Nell’ultimo anno ci sono stati lavori per migliorare l’aspetto della sala che ha ospitato Obama, ma tutto intorno ci sono i segni di anni di abbandono: dalle classi piene di ragnatele e di cani randagi, alle mura annerite dalla muffa, ai docenti che sono stati ridotti dalla dittatura al silenzio. “E’ come una città distrutta” dice uno studente della generazione 88. In quel campus comunque si aggirano degli studenti affamati di sapere e che non si danno per vinti, che rifiutano i metodi di apprendimento del regime che i loro docenti provano a tramandare. “Non do la colpa ai miei docenti, sono solo parte del sistema” dice uno studente di inglese.
“Vogliamo più studenti. Sempre di più! Non vogliamo vedere quest’erba alta tutto qui intorno a noi! E dovremmo ringraziare Obama perché almeno hanno ripulito la Sala delle Conferenze” dice un’altra studentessa.
http://www.dvb.no/news/obama-calls-for-national-reconciliation-during-burma-visit/24894
http://www.nytimes.com/; http://www.irrawaddy.org/archives/19230; http://www.irrawaddy.org/archives/19166