Quando uno dei testimoni, vedova delle 58 vittime del Massacro di Maguindanao disse al presidente delle Filippine, Ninoy Aquino, di temere per la propria vita, Aquino ordinò che le fosse data protezione.
La prima guardia del corpo assegnata a Myrna Reblando sembrò essere affidabile, finché un giorno le disse in tono di discolpa di aver chiesto il trasferimento “Non sono un superman che può deviare tutti i proiettili del nemico”.
Le fu assegnata un’altra guardia del corpo. Non ci volle molto tempo per scoprire, con una conversazione casuale, che aveva fatto parte della scorta di sicurezza di Zaldy Ampatuan, il governatore della Regione Autonoma Musulmana di Maguindanao accusato di aver cospirato per compiere il massacro di Maguindanao. Reblando aveva ottime ragioni per aver paura.
Il massacro e il suo dopo sono un racconto tragico di paura, giustizia ritardata e macchinazioni potenti del Clan degli Ampatuan.
Vari testimoni sono stati uccisi o sono scomparsi, un altro ha commesso suicidio ed un politico al centro del massacro è stato l’obiettivo di un attacco con autobomba.
Reblando, il cui marito e giornalista Alexandro era tra le vittime, si è mossa per cercare asilo politico ad Hong Kong dopo la sua apparizione in tribunale nell’aprile scorso dentro Camp Bagong Diwa a Manila.
La corte si trova in un ambiente di massima sicurezza dove Andal Ampatuan il Vecchio, chi ha ideato il massacro, e i suoi figli sono detenuti con decine di altri accusati.
Il giudice Jocelyn Solis-Reyes fu nominata a giudice dopo che uno dei suoi colleghi Luisito Cortez si ritirò dicendo di temer per la vita propria, della famiglia e dello staff. Il giudice e i testimoni hanno tutti la protezione a Reblando ancora non riusciva a sentirsi sicura.
“Non mi sentivo protetta, persino con la mia scorta personale” disse Reblando in un forum presso il Club dei corrispondenti esteri ad Hong Kong, dove chiese asilo con l’aiuto della Commissione asiatica dei diritti umani.
Alejandro e altri 31 giornalisti seguivano la vicenda di Esmael Mangudatatu, vice sindaco, che aveva deciso di provare a sottrarre il controllo della cittadina dal Clan Ampatuan e concorrere al posto di governatore di Maguindanao contro Andal Ampatuan il giovane che era il sindaco.
Magundadatu credette erroneamente che l’aver inviato sua moglie Genalyn a presentare la sua candidatura, insieme ad uno stuolo di reporters e giornalisti, garantiva la sicurezza del convoglio stesso.
Durante il percorso verso la capitale provinciale, il convoglio fu fermato da oltre cento uomini armati guidati dal sindaco e fu diretto in una remota radura dove furono tutti uccisi da vicino, secondo il rapporto dei testimoni.
Uno scavatore meccanico prima di poter seppellire tutti finì il carburante. Reblando ha detto che quando le fu chiesto di identificare suo marito “Non mi chiesero delle sue fattezze ma cosa vestiva. La faccia quindi era del tutto irriconoscibile”. L’autopsia diceva che il volto dell’uomo era stato riempito di proiettili e colpito con forza.
Reblando crede che la ragione per cui è un obiettivo sta nella sua causa civile intentata contro il clan in cui chiede un milione di euro e di un’altra contro la ex presidente Arroyo in cui chiede altri 200 mila euro. La Arroyo è accusata di aver provato a dare copertura alle atrocità commesse dai suoi alleati Ampatuan.
Sebbene Reblando sia una testimone, è anche querelante per cui non può essere posta sotto la protezione speciale.
Il portavoce presidenziale Lacierda disse ad un giornale: “Siamo molto preoccupati che le guardie assegnate a le erano quelle di Zalday Ampatuan.” e Lacierda ammetteva che altri parenti delle vittime avevano espresso paure simili sulla sicurezza assegnata loro, ma i problemi erano stati risolti. Essere testimone nel processo ha provato essere molto rischioso.
Suwaib Upham confessò ai media, col volto coperto, nel marzo 2010 di essere stato uno di quelli che avevano partecipato al massacro. Alcuni mesi dopo il suo terribile racconto l’uomo fu ritrovato ucciso prima di poter testimoniare.
Carlos Conde, giornalista e ricercatore per Human Rights Watch, gli parlò qualche mese prima della sua morte. L’uomo confessò “di non sentirsi sicuro nello schema di protezione del testimone” senza però specificare. Per la sicurezza si sentiva compromesso. Non si fidava del programma”.
Un’altra vittima potenziale Hernani Decipulo, un ufficiale di polizia, si buttò il sei di febbraio dal tetto di Camp Bagong Diwa.
Secondo la moglie Norhaya che gli aveva fatto visita Decipulo le disse “Sarò il primo” poco prima di buttarsi. Norhaya disse alla polizia che il marito si era sentito molto depresso per la lentezza del processo. Suo marito, disse la donna, che era stato accusato di aver preso parte al massacro, aveva accettato di diventare testimone di stato in cambio dell’immunità.
Un altro testimone di stato, Esmail Amil Enog, testimoniò lo scorso anno di essere uno degli uomini della milizia che guidò gli assassini al sito del massacro.
Enog aveva rifiutato di porsi sotto la protezione dei testimoni, secondo la testimonianza di Conde e dell’avvocato. A marzo scomparve e a giugno furono ritrovati i resti del corpo fatto a pezzetti con una motosega vicino Maguidnanao. I parenti identificarono i resti. La violenza non finisce qui.
Mangudadatu che finì per essere eletto governatore nel 2010 fu l’obiettivo di un’auto bomba che uccise due persone il 15 agosto scorso, nel giorno del compleanno.
Un avvocato dei testimoni, Roque, disse che gli omicidi avevano un effetto raggelante su quelli che stavano per testimoniare. 48 testimoni dell’accusa compreso Roblando avevano testimoniato ed altri 30 erano pronti a farlo se non per le eccezioni della difesa”.
Quello che era raggelante per i testimoni era che la maggior parte degli accusati erano liberi e molti erano poliziotti e uomini della milizia. Dei 197 accusati 100 erano latitanti e venti dei 97 in carcere non erano stati ancora accusati formalmente.
Andal il vecchio ed Andal il giovane erano stati accusati ma un altro figlio, Zaldy, ex governatore ed ancora in carcere, non era stato ancora formalmente accusato. Roque raccontava che ogni volta che una persona accusata è arrestata i testimoni devono riconoscerlo in tribunale con loro grande rischio. L’avvocato principale degli Ampatuan ha impedito all’accusa di reclutare tra gli accusati testimoni.
“Perché vanno in cerca di testimoni tra gli accusati? Questi accusati diranno tutto, balleranno a qualunque ritmo si dice loro fintanto che sono liberi” dichiarò l’avvocato al giornali. Lo stesso avvocato fu suo tempo il difensore del Presidente Estrada durante la sua messa sotto accusa e nel processo di furto.
A chi gli domandava della morte dei testimoni diceva:
“Quello che pensate voi vale lo stesso di ciò che penso io” ed aggiunse. “Non tutti quelli uccisi a Maguindano sono testimoni. Non tutti quelli impauriti a Maguindanao sono testimoni.”
Questo avvocato, Fortun pone dei dubbi persino sulle morti. “Sono davvero morti?” chiese aggiungendo che erano cose dette dall’accusa non dalla polizia. Notò anche che vari testimoni che avevano dato delle dannate testimonianze contro gli Ampatuan erano tutti vivi e tutti in Maguindanao”.
Un altro potenziale testimone, il cui avvocato Nena Santos diceva che fosse stato ucciso, era recentemente ricomparso per far sapere di essere vivo e che era stato suo padre ad essere stato ucciso, disse l’avvocato Fortun. In una intervista dello stesso uomo, Alihol Ampatuan il giovane negò che né lui né il padre sapessero nulla del massacro.
L’avvocato Santos in una intervista separata disse: “Ho ricevuto un rapporto di polizia secondo cui una certa persona era morta e sembrava che fosse la stessa persona come Alihol”
A Maguindanao è comprensibile la confusione nello stabilire la reale identità di una persona. I musulmani nell’area hanno tre nomi di solito, uno per gli amici stretti ed i parenti, uno per la registrazione del voto e un terzo per il loro passaporto nel caso vogliano lavorare all’estero o andare in pellegrinaggio alla Mecca.
Inoltre si aggiunge che i tentacoli del clan Ampatuan ancora controllano un terzo di Maguindano, dove vari familiari sono sindaci di città e altri 14 sono vice sindaci o assessori. Due nipoti del sindaco Andal Ampatuan il vecchio, il patriarca del Clan, erano stati personalmente onorificati del premio di buon governo dal Presidente Aquino il 20 di giugno.
Il riconoscimento mandò su tutte le furie le vittime del massacro. La presidenza disse che i premi non erano legati alla personalità e il presidente si atteneva alla promessa di dare giustizia alle vittime.
Per Reblando che aveva fatto una dura campagna elettorale per Aquino, la svolta degli eventi ebbe un sapore agrodolce: “Pensavo davvero che il mio governo mi avrebbe assicurato la sicurezza ma non è successo”.
Dice di sentirsi al sicuro ad Hong Kong. “Non volevo andarmene ma avevo paura di compromettere la sicurezza dei miei figli” La sua battaglia per l’asilo e la giustizia va avanti.”
Sono 32 i giornalisti uccisi nel massacro, il singolo evento più luttuoso per i giornalisti in tutta la storia.