E’ l’inizio della fine dell’impunità? Nella settimana scorsa il Dipartimento Thailandese di Indagini Speciali (DSI) ha accusato l’ex primo ministro thailandese Abhisit e il suo vice ministro di allora Suthep per aver autorizzato l’uso delle armi da fuoco e l’omicidio dei manifestanti nella primavera del 2010 a Bangkok.
Il DSI avrebbe emesso queste accuse dal momento che “i due non si sono fermati nell’emettere gli ordini di sedare le proteste quando furono uccise le persone come risultato degli ordini di repressione”.
Ma il DSI non intende portare alcuna accusa contro i soldati coinvolti nella repressione.
Il processo in cui è stato chiamato in causa il vertice del precedente governo è quello contro un tassista che era stato sparato dalle forze militari perché si era recato a vedere da dove provenissero i colpi d’arma da fuoco, non perché fosse un manifestante. Questo è il primo caso nella storia thailandese che un primo ministro, dopo una violenta repressione, venga incriminato e chiamato a rispondere dei propri misfatti, intaccando così il ciclo dell’impunità. In tutti i golpe precedenti i militari e i vari primi ministri cambiavano la costituzione, si concedevano un’amnistia e sparivano dalla scena. Ora non è così ed è un bene. Restano però fuori chi questa repressione ordinata l’ha pure eseguita: tutta la catena di comando, compreso gli stessi militari nella DSI, sono fuori. Troppa è la paura e troppa la forza necessaria per poterli formalmente incriminare.
Proponiamo qui un commento di Achara Ashayagachat del BangkokPost.com.
Indagini come strumento politico?
Le indagini nelle repressioni mortali sulle proteste antigovernative del 2010 sono ora in corso e sono da sostenere. E’ la cultura dell’impunità che ha reso possibile la violenza di stato contro la gente. Abbiamo bisogno che questa cultura finisca impartendo una lezione a chi era responsabile di questa violenza.
Credo siano in molti a condividere questa idea e vedere almeno una volta nelle nostre vite che esiste una giustizia in questa terra cosiddetta buddista e democratica, che non esistano i primi secondi e terzi in una terra di eguali. Vorrei vedere le scuse ai familiari delle vittime come pure la rimozione dello stigma sociale per quelli che furono accusati ingiustamente di tradimento e di lesa maestà.
Quelli che disprezzano il movimento delle magliette rosse, o più precisamente il fuggitivo ex premier Thaksin Shinawatra, sono stufi e costernati dagli sviluppi attuali sotto il governo della sorella Yingluck. E’ comprensibile. Ma è innegabile che non abbiamo visto concreti progressi nelle indagini condotte dalla polizia, ricerca dei fatti e accuse nelle decisioni del precedente governo di disperdere violentemente le magliette rosse che era equivalente alla licenza di uccidere.
Al momento la legge sotto il decreto di emergenza prevede le clausole di immunità per le autorità coinvolte che agirono in nome del defunto Centro per la Risoluzione delle situazioni di emergenza (CRES), istituito per far fronte alla protesta dall’allora premier Abhisit e dal suo vice Suthep che ne era il direttore.
La Commissione della Verità Per la Riconciliazione della Thailandia (TRCT), il cui presidente fu nominato da Abhisit, non ha ricevuto cooperazione o informazione dai militari. Inevitabilemente, quando il governo che presiedeva alla repressione violenta fu rimosso, le indagini sotto il governo successivo del Puea Thai furono perciò accelerate. Una serie di indagini sulle morti è portata avanti e la corte penale ha già detto che gli omicidi dei tassisti Phan Khamlong e Charnarong Polsila furono causate dalle operazioni delle autorità.
Il 6 dicembre il DSI annunciava che Abhisit e Suthep sarebbero stati accusati per l’uso delle munizioni che portarono alle morti dei civili durante le proteste. La decisione di portar avanti l’accusa, secondo il presidente del DSI Tarit Pengdith, era influenzata da una inchiesta nella morte di Phan nel maggio 2010. A settembre la corte trovava che le truppe, agendo per ordine dai rappresentanti dello stato, uccisero Phan. Questa settimana Abhisit e Suthep sono stati convocati per essere ascoltati.
Il portavoce del Partito Democratico, a cui i due appartengono, accusava immediatamente il DSI di lavorare per conto del governo e di fare delle indagini che erano totalmente da un lato solo. Ma questo non è un caso che si comincia da zero. La società resta polarizzata se non ancora di più, comportando che ci saranno sempre dubbi da un lato o l’altro se le indagini sono credibili ed eque.
Nei momenti più caldi della propaganda di stato contro le magliette rosse, Tarit era per varie volte sugli schermi televisivi che trasmettevano la sua lettura degli ordini del CRES. La sua faccia stoica e il suo parlare presentavano agli ascoltatori l’idea che i manifestanti stavano facendo cose illegali piuttosto che esercitare il loro diritto politico.
Forse sarebbe più accettabile se ad annunciare le accuse contro Abhisit e Suthep non fosse stata la stessa persona, Tarit, che fu parte di quel gruppo coperto di macchie.
Tarit ha negato che ci fosse una qualche ragione per indagare sulle sue proprie azioni come membro del CRES poiché non prese mai parte ad alcun incontro del CRES che coinvolgeva operazioni militari. Ne siete convinti?
Ancora più nauseante è che solo due politici e nessun capo militare sono stati accusati insieme a loro. I militari hanno dato varie giustificazioni per la violenza di stato tra le quali in prima fila c’è il credo che i manifestanti volessero provare a rovesciare la monarchia.
Questa è una stessa ragione che il generale Sonthi Boonyaratglin diede al pubblico quando giustificò il golpe del 2006, vale a dire che il governo Thaksin doveva essere rimosso poiché non era fedele alla monarchia. I politici sono un obiettivo facile per chiunque voglia gettare il proprio odio, da biasimare per i guai di ogni giorno. La campagna contro la corruzione e molte indagini sociali e statistiche mostrano ancora una volta che i politici sono percepiti come il genere di persone più corrotto.
Quella è la ragione per cui ci si focalizza solo sui politici. Ignoriamo il fatto che senza collusione o iniziazione dall’ambiente degli affari, dalle corporazioni, dagli impiegati e la legge, la corruzione non sarebbe possibile.
Ora pare che le indagini su Abhisit e Suthep sono un altro strumento politico; un qualcosa che il Puea Thai ha in mano in cambio del sostegno del partito democratico per un ambio della costituzione e le leggi di riconciliazione. Questo ha portato molti, anche chi ha votato il Puea Thai alle ultime elezioni, a domandarsi se il governo può iniziare un cambio senza dover per questo slogarsi le mani. Per soddisfare la promessa che il Puea Thai fece al movimento delle magliette rosse e ai parenti di quelli uccisi, deve avere la forza politica di portare anche i militari davanti alla giustizia e non solo dei politici simbolo. Ma questo non sta semplicemente accadendo.
Le magliette rosse sono sempre più innervosite con questo governo che percepiscono troppo in compromesso con le forze conservatrici e particolarmente i militari. Di fatti, quello che il DSI avrebbe dovuto fare per conquistarsi la fiducia pubblica è di fare quello che aveva detto: indagare se le magliette rosse fossero anche esse responsabili delle morti del 2010. Il TRCT ha già mancato nell’ottenere i resoconti dei capi delle magliette rosse dell’UDD.
Un colonnello che si presentò ad una delle audizioni del TRCT diceva al BangkokPost che dovette parlare ad alcuni dei parlamentari del Puea Thai presenti la notte del dieci aprile 2010, per farsi sgombrare la strada per i soldati feriti, compresi il generale Walit Rojanapakdi e Colonnello Romklao Tuwatham e portarli all’ospedale.
Si ha bisogno di un’indagine bilanciata, ma questa fiera politica sembra non curarsene di chi li guarda.
Achara Ashayagachat BangkokPost.com.