Lo scrittore settantenne inglese Alan Shadrake, autore del libro “Once a Jolly Hangman: Singapore Justice in the dock”, è stato arrestato il 18 luglio alle 8,30 di mattina nel suo hotel di Singapore.
L’accusa è di aver diffamato la città stato di Singapore col suo ultimo libro che era stato appena presentato. Il libro stesso è stato ritirato dalle librerie. Il libro affronta senza mezzi termini il sistema giudiziario di Singapore rispetto alla questione della Pena di Morte Obbligatoria che ha già visto la morte di molta gente, specie giovani e persone marginali, ma mai un potente. Il titolo infatti è “la giustizia di Singapore alla Sbarra”. Come al solito, invece di controbattere alle accuse e alle critiche, il regime di Singapore, da sempre governato dalla stessa persona benché eletta, preferisce lanciare accse di diffamazione e condannare al pagamento di spese enormi i presunti colpevoli. Della stessa accusa ne hanno fatte le spese moltissimi politici di opposizione, alcuni dei quali finiti nei debiti.
Traduzione da The Yawning Bread
-
Nel caso in cui i governi delle altre nazioni hanno un peso nei nostri interessi economici e sono pronti ad usare questi interessi, i loro cittadini non andranno incontro alla pena di morte;
-
Nel caso di singaporeani provenienti da famiglie ricche e con amicizie alto locate, o quando il caso minaccia di coinvolgere persone alto locate, si trova un modo per evitare loro la pena di morte o anche dure condanne;
- Quando lo stato è convinto che l’accusato povero e di bassa estrazione sociale è colpevole, ed ammesso che non coinvolga la prima eccezione descritta su, il processo dovuto è meno importante di una veloce condanna a morte.
A causa di queste condizioni, la decisione più importante se applicare o meno la pena capitale non è tanto una questione di giustizia, quanto una decisione politica: alcuni possono essere impiccati, altri proprio no, e la decisione è presa dal governo, non da una corte di giustizia.
Attraversso due capitoli del libro,si può fare il confronto tra i casi di Amara Tochi, nigeriano, e Julia Bohl, tedesca. Tochi fu arrestato all’aeroporto con più di 15 grammi di eroina nel suo bagaglio, il limite che rende obbligatoria la pena capitale.
Aveva ricevuto la droga da un uomo in Pakistan che conosceva appena. Al processo il giudice fece le seguenti affermazioni: “Non c’era nessuna prova che lui sapesse che quello che le capsule contenevano fosse diamorfina. Nulla suggeriva che gli fosse stato detto che le capsule cotenessero diamorfina, o che lo avesse scoperto lui stesso.
“Nonostante ciò, Tochi fu giudicato colpevole poiché il giudice sentiva che lui avrebbe dovuto sapere e che lui non poteva provare il contrario, cioè non poteva provare di non sapere cosa contenessero. Questa è la causa per cui la legislazione di Singapore impone una presunzione di colpa non di innocenza. Spetta all’accusato provare la propria innocenza, non all’accusa il reato. Tochi fu impiccato nel gennaio 2007.
Il caso di Julia Bohl. Era stata posta sotto osservazione dall’Ufficio Antidroga Cetrale per vari mesi essendo una spacciatrice di droga nei festini dell’alta società. Mettendo insieme vari rapporti, Shadrake dimostra che nell’ufficio della Bohl era stata piazzato un poliziotto spia che alla fine entra in amicizia con la donna. La donna insieme ad altri fu arrestata in un’irruzione pretestuosa per possesso di 687 grammi di cannabis, una quantità oltre la soglia dei 500 per cui la pena di morte è obbligatoria. Il governo tedesco fece tutti gli sforzi possibili minacciando anche ritorsioni economiche. Allora la droga sequestrata fu fatta analizzare da un altro laboratorio che che stabilì che si trattava solo di 281 grammi. La pena fu di cinque anni di carcere, di cui la donna ne scontò solo tre.
Uno dei possibili clienti e spacciatori della Bohl era Mike Mc Rea. Aveva ucciso il suo autista Kho Nai Guan e la sua ragazza probabilmente per una discussione su una partita di droga. Comunque quando furono scoperti i corpi dei due Mc Rea era già fuggito in Australia. Singapore provò ad estradarlo ma l’Australia negò l’estradizione poiché avrebbe significato la condanna a morte. Fu trovato un accordo e Mc Rea ebbe la pena commutata ad omicidio colposo con dieci anni di carcere per omicidio.
Dopo indagini laboriose, furono eseguiti vari arresti nell’ottobre 2004 a carico di 16 singaporeani e sette stranieri, tra i quali due residenti permanenti, con l’accusa di spaccio e consumo. Uno degli arrestati era Dinesh Singh Bathia, figlio di un ex giudice, con il rischio di dieci anni di carcere per consumo. Il suo difensore era l’attuale ministro della giustizia, K. Shanmungan che sostenne dinanzi al giudice che il suo cliente non sapeva che fosse cocaina quella che stava fiutando. Alla fine, dopo l’appello, la condanna fu ridotta a solo otto mesi, dei quali come riportarono i giornali, cinque furono scontati a casa benché con un braccialetto elettronico.
Altri arrestati, tutti membri dell’alta società, in modo simile ebbero solo mesi da scontare in prigione se condannati. Le indagini puntavano ad un tunisino, Laroussi, come fornitore principale, anche lui un manager di alto rango. Fu arrestato per spaccio col rischio della pena capitale, ma ad un secondo riesame di laboratorio la quantità di cui fu accusato di possedere diminuì, come per miracolo, al di sotto della soglia mortale. Poi a seguito della sua ammissione fu scarcerato su cauzione e scomparve subito da Singapore nonostante gli fosse stato sequestrato il passaporto. Non furono fatti seri tentativi né pressioni sull’Interpol per trovarlo. Senza qusto tunisino, fu impossibile risalire agli altri coinvolti.
Laroussi, nel corso delle indagini, aveva sempre rifiutato di fare i nomi di altri clienti, faceendo allusioni nel frattempo che c’erano persone molto in alto di cui avrebbe potuto fare i nomi in quanto consumatori pesanti di droga, persone che avrebbero potuto creare scandali anche maggiori tra l’elite della nazione. Il tunisino decise di tenere per sé i nomi, in forma di ricatto, ed utilizzarli al tempo debito nel caso si cominciasse a vedere l’ombra della forca. Ma fu questa supplica di scambio che le autorità furono troppo attente a soddisfare. Un avvocato che seguiva il caso da vicino sostenne che le autorità fossero atterrite dalla possibilità che lui, alla fine, sollevasse il coperchio degli affari segreti di Singapore nel caso che fosse processato col rischio della condanna a morte.
L’autore del libro, Shadrake, ebbe modo di intervistare per il suo libro vari avvocati e persone coinvolte nelle indagini. Doveva promettere la segretezza ai suoi informatori, specie ad uno della centrale di indagini, che era nauseato dalla piega che la faccenda aveva preso.
Il caso più brutto su cui il libro si sofferma a sostegno della sua terza tesi, per cui il processo in sé è meno importante del fatto di accociare i tempi per la forca, è quello di un lavoratore malese, Vignes Mourthi, che si spostava a Singapore per lavoro. Fu accusato di portare 27,65 grammi di eroina nel 2002. Vignes al processo dichiarò di non sapere di avere dell’eroina con sé, ma credeva si trattase di un pacco contenente incenso prezioso, usato dagli Hindu nelle loro cerimonie religiose, da consegnare ad una persona di contatto. Questa fu la sua dichiarazione di innocenza che sostenne per tutto il processo.
L’accusa e la sentenza si basavano esclusivamente su una nota scritta a mano dal poliziotto che l’arrestò attestante la presunta conversazione che era avvenuta tra il poliziotto Rajkumar e Vignes poco prima dell’arresto il 20 settembre del 2001. Rajkumar agiva come il contatto compratore e nella sua nota, senza data, sosteneva che la risposta di Vignes durante la breve conversazione indicava che lui sapesse che il pacco che stava dando a mano contenesse droga. In questa nota scritta a mano non c’era nulla a supporto del resoconto, né un’indicazione che potesse essere stata scritta dopo: ma fu quello che il giudice usò nel dichiarare colpevole Vignes che fu impiccato il 26 settembre del 2003.
Il giorno dopo l’arresto di Vignes, una donna accusò Rajkumar di averla violentata e sodomizzata. Due giorni dopo Rajkumar fu arrestato senza essere sospeso, almeno così sembra, dal servizio, continuando a seguire il caso di Vignes.
Alla fine la donna ritirò l’accusa, ma da allora la polizia aveva già iniziato le indagini a carico di Rajkumar e del suo collega Balbir Singh per aver offerto alla donna una grossa somma e farle ritirare l’accusa. Alla fine i due furono condannati per corruzione a 15 e otto mesi di carcere rispettivamente. A pagina 161 si legge:
“Ma il processo a Rajkumar iniziò solo dopo l’esecuzione di Vignes Mourthi. Quando Rajkumar, la cui testimonianza contestata aveva mandato Vignes sulla forca, fu condannato, il giudice Sia Aik Kor, descrisse i comportamenti dell’accusato come “tanto ovviamente corrotti secondo gli ordinari e soliti standard che lui doveva sapere che la sua condotta era corrotta.” Il giudice citò anche un precedente secondo cui le azioni erano “tali da sovvertire il corso della giustizia”. Allora se quest’uomo poteva sovvertire il corso della giustizia per farla franca da una condanna pesante, non era anche capace di inventarsi quelle dannate parole che confermavano, agli occhi dei giudici del processo, che Vignes sapesse quello che stava facendo?”
Ma soprattutto, non è interessante che un caso di violenza sessuale e corruzione, accaduta il 23 settembre del 2001, languisca per anni mentre un caso di condanna a morte, scaturita da un arresto del 21 settembre dello stesso anno, sia portata a termine molto più velocemente?
Shadrake indicava che la polizia e probabilmente la procura sapessero, anche mentre Vignes era sotto processo, che il loro principale accusatore fosse esso stesso indagato per corruzione e sovvertimento della giustizia. Di sicuro non doveva questo essere pertinente col caso di Vignes? Non poteva essere questo sufficiente a mettere in discussione la credibilità di Rajkumar e per porre qualche dubbio ragionevole sulla colpevolezza di Vignes?
Shadrake si domanda perché ci fu così tanto silenzio, perché il processo a Rajkumar iniziò solo dopo l’esecuzione di Vignes?
Sorge un’altra domanda: il silenzio era stato gudicato indispensabile per evitare il crollo imbarazzante del processo contro Vignes? Si credeva che fosse più importante evitare il crollo, più importante proteggere l’idea della condanna a morte da una discussione, l’immagine della polizia e l’infallibilità dell’accusa dell’idea del dare una vera giustizia ad un uomo?
Quelli che difendono la pena capitale devono assumere che questa pena estrema sia inflitta in modo trasparente e che il processo non sia messo in discussione; che il tema della presunzione di innocenza e dell’integrità della prova sia totalmente al di sopra di ogni sospetto, che i verdetti raggiunti siano sicuri. Qualunque cosa che sia meno di un altissimo standard nella prova e nell’applicazione equa minerebbe la base morale che permette di togliere una vita.
Colpirebbe profondamente la coscienza se una pena di morte fosse applicabile ad alcuni ma non ad altri accusati dello stesso crimine, se un processo si rivelasse una frettolosa costruzione di stuzzicadenti.
Eppure lo è. Poiché così tante leggi costringono alla pena di morte, legando le mani ad i giudici, colui che in realtà decide chi mandare alla forca e chi no è l’accusa con la sua capacità di scegliere le accuse. Fa senso sapere che la quantità di droga che l’accusato ha trasportato può cambiare a secondo del giorno della settimana o della fase lunare. E’ rivoltante sapere che i principali spacciatori legati alla crema della società possono usufruire della cauzione e scappare dall’isola, mentre poveracci senza amici devono arrivare e velocemente fino alla fine della strada.
Quello che il libro mostra è che i difensori della pena di morte a Singapore non hanno alcun fondamento nelle loro assunzioni. Se non altro, i processi riportati da Shadrake raccontano di una mancanza di equità, quasi di capriccio che dovrebbero costringere i Singaporeani al suicidio per la vergogna.
Shadrake, col suo servigio importante a questa nazione col suo lavoro di indagine, ha delineato le basi da cui cominciare a discutere sulla pena di morte da oggi in poi.
Un libro da leggere, A jolly Hangman: Singapore’s justice in the dock.