I livelli di oppressione sono consistenti colla crescita globale nel numero di assassini di attivisti, giornalisti e lavoratori delle comunità che mettono in evidenza i mali dello sviluppo economico: 56 erano nel 2009 secondo Global Witness, lo scorso anno 106 ad essere martitizzati.
Dietro le campagne per annientare i movimenti ambientalisti nella regione si agita un nesso governo, militari sostenuto da potenti forze del mondo imprenditoriale. Le morti in Cambogia e Filippine sono state portate avanti da uomini in uniforme, denuncia Global Witness, che “agivano per conto di interessi di settori privati e/o del governo”.
Le storie non sono nuove ma forse lo è l’intensità di questi attacchi: il mese di maggio è stato il più mortale nelle Filippine per gli ambientalisti, continuando per tutto l’anno. A luglio Willem Geertman, olandese della ONG Alay Bayan è stato ammazzato di fronte al proprio ufficio.
Agli inizi di novembre è stato sparato nella sua auto ma è sopravvissuto Isidro Olan, mentre una settimana prima Aquino aveva accusato i critici della sua amministrazione rispetto ai diritti come propaganda di sinistra.
In Cambogia, la morte di Wutty e il proscioglimento seguente dalle accuse di omicidio contro i suoi killer mettevano in mostra i pericoli di sfidare i disegni di sviluppo diseganti dal suo governo autocratico ed incoraggiato dagli interessi stranieri. Il pericolo è che la fame crescente cinese per le risorse della regione, insieme al risorgente interesse occidentale per la regione potrebbe nel tempo chiudere i destini di quelli che sfidano i costi umani di questa deriva.
I lavori dei megaprogetti, molti dei quali sostenuti da Pachino, sono stati accelerati in tutta la regione. Dopo mesi di negoziati e pubblica opposizione, il governo laotiano a Novembre ha rotto gli indugi sulla controversa diga a Xayaburi, la prima ad essere costruita sul fiume nel Basso Mekong , che potrebbe portare alla dislocazione di 2100 persone.
Nello stesso periodo la Cambogia annunciava di aver previsto per il 2014 gli inizi dei lavori su una diga sul bacino del fiume 3-s, un importante affluente del Mekong sul quale gli esperti hanno più volte espresso la preoccupazione per la vita diretta di 60 milioni di persone.
Per tanti dei seicento milioni di abitanti della regione la libertà di parola e di manifestazione, insite nelle costituzioni in tutta la regione, non si traducono in realtà. Molti paesi condividono delle caratteristiche negative riguardo ai cittadini che combattono per delle istanze ambientali: imprenditori della elite che hanno vaste quanità di terra con legami forti con il governo; una gran parte della popolazione rurale che invece dipende da questa terra; gli interessi in competizione tra quelli nazionali e stranieri le cui imprese dipendono da un accesso alla terra senza restrizioni, libera da ogni resistenza della popolazione.
“In generale concentrazioni crescenti di potere economico esercitano enormi influenze sui politici e sui rappresentanti del governo in favore degli interessi delle multinazionali, distorcendo il ruolo partecipatorio necessario ed appropriato che la società civile deve giocare nel formare ed influenzare le politiche di una nazione sugli investimenti e nella protezione e promozione della salvaguardia ambientale e sociale” dice Paul Donowitz di EarthRights.
Intralciare le trettorie di sviluppo di questi mercati di frontiera è costoso specie quando la competizione per le risorse e la terra della regione si accende. La Banca Mondiale tra il 2002 e 2009 ha registrato una crescita di 17 milioni di ettari nell’uso della terra per investimenti di piantagioni.
“Il crescente numero di omicidi di difensori dell’ambiente mostra quanto allettanti siano diventati gli investimenti ad alto valore.” diceva un avvocato filippino. “la maggioranza dei progetti distruttivi dell’ambiente come le miniere sono prese in aree dove prevalgono le forze paramilitari e militari e servon ad esacerbare i conflitti che sorgono con l’investimento.”
Nonostante la critica internazionale seguita alla morte di Wutty in Cambogia nei confronti dellatteggiamento intollerante del governo, questa settimana ha visto tre condanne a tre anni di carcere all’ attivista Yorm Bopha con l’accusa di violenza che i colleghi dicono sia stata messa su ad arte per mandare un “messaggio da brivido”agi altri che protestano.
In modo simile, il governo laotiano è stato accusato di aver violato le sue leggi quando a Febbraio cancellò un programma radiofonico che era diventato una piattaforma per dare voce agli ascoltatori per la loro protesta contro la corruzione e le appropriazioni di terre. Il giornalista che presentava il programma, Ounkeo Souksavanh, è ora senza lavoro, ma ha forse messo in moto una maggiore resistenza contro la confisca delle terre. Proprio questo episodio ha di fatto calmierato le speranze di chi vedeva il percorso del Laos sulla falsariga di quanto accade in Birmania. Per paesi che escono dal freddo come la Birmania si è formato uno paradosso pericoloso. La sua graduale apertura ha dato vita ad un movimento ambientalista prima dormiente che mentre cresce in forza e voce rischia lo stesso destino recriminatorio seguito da altre parti nella regione.
A fine novembre la polizia e squadre anti rivolta giungevano in un campo di protesta contro la più grande miniera birmana, di proprietà cinese che si estende oltre 7800 ettari di terra confiscata e che rilascia da decenni rifiuti tossici nei fiumi vicini. La polizia lanciava bombe incendiarie nel campo lasciando decine di manifestanti e monaci feriti con forti bruciature, una repressione così brutale da ricordare la rivoluzione arancione del 2007.
L’attacco ricorda anche che nelle società che escono dal periodo militare i cambiamenti nella libertà politica di raro vanno di pari passo con quelli sul terreno, ricordando anche il continuo peso che la Cina ha sui paesi più piccoli della regione, stando anche alle paure del ministro birmano Aung Min su come reagirebbe Pechino alla chiusura della miniera.
La preoccupazione per cui la Cina continuerà a cooptare le nazioni più piccole continuerà a crescere. Un rapporto della Banca Mondiale di qualche anno fa rivelava che 750 mila persone muoiono ogni anno in Cina per malattie legate all’inquinamento, cosa che spingeva la Cina a esportare questi mega progetti all’estero in paesi come Birmania o Cambogia, dove i governi rendono prioritari gli interessi economici sul benessere delle persone.
Sono stati affondati anche i tentativi regionali di protezione dei diritti di protesta: a novembre l’ASEAN presieduta da HunSen ha approvato una carta dei diritti che ha ricevuto critiche molto vaste. “Invece che accettare gli standard nazionali, questa dichiarazione li abbassa creando nuove scappatoie giustificazioni che gli stati membri dell’ASEAN possono usare per giustificare l’abuso dei diritti civili della loro gente” diceva HRW.
In questo contesto, dove la competizioni accresciuta per le risorse si combina con la mancanza di volontà dei governi di proteggere la popolazione dai cattivi effetti dell’investimento come la complicità nel ripulie le terre di ogni resistenza, l’allrme risuona ancora più forte.
Si aprono nuovi fronti nella battaglia per i diritti alla terra e alle risorse con la crescente domanda globale “a spingere le frontiere dell’investimento ancor più dentro le aree con inadeguati governo, difesa dei diritti e governo della legge” dice Global Witness. E quindi i rischi per chi difende l’ambiente crescono in modo drammatico.
Francis Wade, Aljazeera