Lo sciopero di un centinaio di autisti dei bus di Singapore ha portato a 29 persone cinesi continentali ad essere rimpatriati, cinque ad essere arrestati ed accusati per lo sciopero. Uno di loro, Bao Fengshan si è dichiarato colpevole, ha fatto sei settimane in carcere ed è stato rimpatriato. Non aveva un avvocato a difenderlo. Gli altri quattro hanno assunto un legale e attendono il processo.
Due degli autisti, He Jun Ling and Liu Xiang Ying, hanno rilasciato delle interviste al regista Lynn Lee dove affermano di essere stati picchiati e minacciati dalla polizia durante i loro interrogatori. Liu ha affermato che la polizia lo ha minacciato: “Sai che posso scavare una buca e seppellirti? Nessuno ti potrà trovare mai”.
Le interviste apparse sul sito del regista hanno messo in allarme la società civile che ha chiesto un’indagine indipendente per verificare le accuse. Il ministro degli interni ha quindi lanciato un’indagine dicendo che l’Ufficio degli Affari interni “incontrerà gli autisti, i produttori del video e le parti interessate per cercare la loro assistenza nelle indagini.”
Dichiarazione della società ivile sulla presunta brutalità della polizia
“Noi, Gruppi della società civile e membri qui sottoscrittori, siamo preoccupati delle presunte brutalità della polizia e delle violenze sui quattro autisti della SMRT che sono liberi su cauzione. He Jun Ling e Liu Xinag Ying hanno denunciato di essere stati assaltati e intimiditi durante le indagini della polizia. Secondo He Jun Ling, fu bendato e colpito con pugni da un ufficiale. Liu Xiang Ying dice di essere stato legato ad una sedia, quindi colpito con pugni e schiaffi. Queste accuse pongono seri dubbi sulla credibilità e veridicità delle affermazioni degli ex autisti rese alla polizia e sull’intero processo investigativo.
L’articolo 14 della dichiarazione dei diritti umani dell’ASEAN, sottoscritta da Singapore, stabilisce che “nessuno deve essere soggetto a tortura o trattamento o punizione crudele, inumana o degradante”. Dal momento che le vicende che attengono alla Foza di Polizia di Singapore ricadono sotto la giurisdizione del Ministero degli interni, invitiamo a prendere le accuse dei lavoratori seriamente e a condurre un’inchiesta completa ed indipendente.
Inoltre, comprendiamo che i quattro sono stati forzati da persone non identificate sin dal loro rilascio dalla custodia, e che è stato fatto un rapporto di polizia per indagare la faccenda.
In uno spirito di eguaglianza e trasparenza, speriamo che la polizia risponda a questa lettera e si possa iniziare un dialogo sul trattamento dei lavoratori della migrazione come pure sui processi coinvolti nell’indagine di polizia.” (I firmatari Transient Workers Count Too (TWC2), MARUAH, Singapore Anti Death Penalty Campaign (SADP), Function 8
We Believe In Second Chances, Project X, Think Centre, Workfair Singapore, Ravi Philemon, Isrizal Mohamed Isa, Melissa Tsang, Vincent Law, Jeffrey Chua, Lim Syl-vyn
Basil Lee, Jacqueline Tan, Wee Kim Hong, Ajit Kumar Hazra, Fu Yongha, Paul Anantharajah Tambyah, Tarani Premchand Deepchand)
L’indagine apparentemente è iniziata con la confisca da parte di poliziotti in abiti civili delle riprese dell’intervista. In un messaggio su Facebook Lee scriveva che i poliziotti non riuscirono a dirle quale sezione investigativa li mandava e dovettero fare varie telefonate.
Il 6 febbraio la regista Lee dovette passare due ore al quartiere generale della polizia a parlare del caso. Oggi 7 febbraio la polizia si presenta alla sua casa per sequestrare il telefono, il laptop e il computer. “Ho chiesto a cosa servissero nel caso visto che già avevano il materiale contenente le riprese ai dipendenti della compagnia dei bus. Il soprintendente ha risposto che erano necessari e in relazione e che era una cosa che a lui dispiaceva. Di nuovo ho chiesto l’importanza del telefono nell’indagine, ma non mi ha dato una risposta. Ne sembrava sapere gli articoli secondo cui stesse agendo, chiedendo solo di permettergli di sequestrare i pezzi e poi protestare nei confronti delle autorità importanti in seguito”.
Dopo una consultazione col suo avvocato, si è trovato l’accordo per cui la regista avrebbe portato nel pomeriggio il materiale dalla polizia che sarebbe stato esaminato in sua presenza. La regista è ancora lì ormai da varie ore, con il telefono e portatile sequestrati. La polizia ha rovistato anche nel bagno.
“Stanno cercando i files dei video che non esistono” scrive su un messaggio “il portatile è troppo piccolo per gestire grandi file video. E non ci sono più video di interviste con gli uomini. Sembra qualcosa per incastrarmi.”
“Il mio computer sembra essere violentato. Guardano tutto comprese le attività online e cancellano documenti.” ha scritto in seguito. La polizia ha esaminato il suo telefono e persino chiesto la password delle email, che però non ha voluto dare.
Sebbene la regista dica che la polizia si comporti bene nei suoi confronti, tutta questa storia fa sorgere questioni allarmanti. Cosa centra il privato di un regista sul suo portatile e sul suo telefono con le indagini? Perché devono indagare sulla sua storia online e documenti cancellati o quello che sta sul suo telefono?
Si è messo lo stesso rigore nell’interrogatorio dei poliziotti che hanno fatto violenza sugli autisti? O davvero questa è solo una spedizione per attaccare quelli che sono percepiti essere dalla parte degli autisti? Chi è davvero sotto indagine da parte della polizia?
Kirsten Han Asiacorrispondent.com