Nei primi giorni di febbraio, mentre si discuteva di una sentenza della condanna di Kartika Sari Dewi Shukarno da parte della corte islamica a varie bacchettate per aver bevuto della birra nel bar di un hotel, il Ministro della Giustizia annunciava il 9 di febbraio che 4 donne erano state condannate ad essere frustrate sotto l’accusa di aver avuto relazioni sessuali al di fuori del matrimonio nel dicembre del 2009.
La notizia ha colto tutti di sorpresa, se si considerano le pesanti critiche, a livello nazionale ed internazionale, sullo stato dei diritti umani che la Malesia ha ricevuto e riceve ancora. Infatti oltre l’arresto e la condanna di Kartika per consumo di alcol, è in atto un altro importante processo nei confronti di Anwar Ibrahim capo dell’opposizione al governo.
Egli è accusato di sodomia e rischia per la seconda volta l’incarcerazione e l’esclusione dalla vita politica del paese.
Il ministro, dopo aver spiegato la procedura della fustigazione delle donne secondo le leggi islamiche e affermato che la pena fisica non poteva lasciare marchi fisici,conclude: “La punizione deve insegnare e dare una possibilità a quelli che hanno smarrito la retta via per poter ritornare e costruire una vita migliore”
Sotto lo stato attuale, la legge della Sharia si applica soltanto ai musulmani, mentre la costituzione garantisce che non ci possa essere una punizione di tipo fisico.
Una prima preoccupazione che è sorta è la strada che una nazione essenzialmente secolare sta prendendo, quale futuro si prospetta per una nazione che. nella sua costituzione, garantisce la libertà di culto e che vuol differenziarsi da altre nazioni a maggioranza musulmana, come la Malesia stessa è. Il caso di Kartika fa scalpore anche perché mai finora era stato sanzionato il consumo di alcol.
Il presidente dell’ Ordine degli Avvocati della Malesia ha dichiarato:”Non è come se la Malesia fosse il Medio Oriente …. Non è un segnale buono che il governo sta mandando. Ogni forma di punizione corporale è semplicemente barbarico”
Un’altra preoccupazione altrettanto importante è che non esiste una sola legge, uguale per tutti. E per le donne questa legge sempre essere sempre più diseguale.
In un comunicato stampa “Sisters in Islam” (sorelle nell’Islam) esse scrivono: “Sisters in Islam condanna la fustigazione delle tre donne musulmane. Sisters in Islam è scioccata che il Dipartimento Penitenziario abbia fustigato tre donne musulmane per offese alla legge della Sharia.
Considerate le diverse questioni sulla sharia e le basi costituzionali, le linee guida delle sentenze e che gli impegni della Malesia ad applicare gli strumenti internazionali dei diritti umani sollevati nel caso di Kartica sono rimasti irrisolti, chiediamo le motivazioni del governo per procedere alla fustigazione delle donne musulmane.
“Cos’altro deve accadere prima che i nostri leader politici di entrambi gli schieramenti scoprano la voglia e il coraggio di incamminarsi lungo il percorso che veda una Malesia plurale, diversa come una fonte di forza e non una minaccia?” (Zainah Anwar, The Star)
Aljazeera Il caso Kartika
MALESIA: Si ponga fine alla fustigazione, Amnesty International
Qualche mese fa fece scalpore il caso di una modella Malese, Kartika Sari Dewi Shukarno, arrestata perché scoperta a bere un bicchiere di birra nel bar di un hotel a Kuala Lumpur. Fu condannata a varie frustrate, sentenza che poi è stata commutata per la modella. Se qualcuno pensa che queste sentenze emesse da una corte islamica in base alla Sharya, siano occasionali, si sbaglia.
Amnesty International invece denuncia che l’uso delle frustrate nelle prigioni malesi è fatto in modo sostanziale e sistematico. Il presidente di Amnesty International della zona Asia-Pacifico dichiara:
La punizione mediante frusta in Malesia ha raggiunto proporzioni epidemiche. In ogni caso esaminato la punizione ha assunto la veste di una tortura, cosa che è proibita in qualunque circostanza.
Di recente, la Malesia ha aumentato il numero di reati penali punibili con la frusta. Tra questi, nel 2002, il parlamento creò il reato di immigrazione per l’immigrazione clandestina per il quale la punizione consisteva in frustate. Da allora sono migliaia le persone che, migrando sotto la spinta della ricerca di una migliore condizione di vita o di asilo, si ritrovano a dover subire le frustate, con tutte le conseguenze fisiche e psicologiche che esse comportano.
Nelle prigioni malesi la pena è amministrata da ufficiali particolarmente addestrati alle frustate che causano sulla pelle nuda ferite profonde fino nella fibra del muscolo portando il detenuto a perdere la coscienza. Tali ufficiali ricevono anche incentivi per ogni colpo assestato.
Nella somministrazione della pena, un ruolo notevole spetta anche ai medici dello stato che esaminano le vittime e certificano l’idoneità a subire i colpi di frusta, e che, quando la vittima perde coscienza, hanno il compito di farli riprendere per poter continuare a somministrare le frustate.
Il ruolo dei medici nel facilitare il dolore deliberato e la ferita mediante la fustigazione è assolutamente contrario all’etica medica internazionale. Invece di trattare le vittime, i dottori assistono nella tortura e nelle maltrattamenti.
Secondo Amnesty International, gli ufficiali e i medici malesi sono complici della tortura e sono passibili dell’accusa in tutto il mondo sotto la giurisprudenza universale per gravi crimini contro i diritti umani.
La fustigazione era stata introdotta dall’impero inglese nel 19° secolo, ma poi secondo la legge internazionale tutte le pene corporali costituiscono tortura o maltrattamenti, proibiti in tutti i casi.
Soggetti a questi trattamenti inumani, sono gli emigranti birmani che fuggendo dalla tortura e il lavoro forzato in Birmania, giungono in Malesia che non riconosce lo status di rifugiato e quindi li arresta per violazione delle leggi di immigrazione, rendendoli soggetti alla punizione per fustigazione.
Le nazioni vicine danno un contributo significativo all’economia malese inviando decine di lavoratori immigrati. L’Indonesia e le altre nazioni che inviano immigrati devono far pressione sulla Malesia per impedirle di fustigare i propri cittadini.
Amnesty International ha chiesto al governo malese di emettere una moratoria sulle pene di fustigazione in qualunque caso per poter abolire tale pena; di ratificare il trattato contro la tortura ed i suoi protocolli, oltre alla convenzione sui diritti politici e civili. Inoltre chiede di cambiare la legislazione sull’emigrazione declassando la punizione a sanzioni amministrative non punibili mediante prigione o pene corporali.