Chiediamo all’insorgenza di venire allo scoperto e parlare di pace nel profondo meridione thai alle autorità
Un nuovo cartello è comparso a dicembre per le province del profondo meridione della regione a minoranza etnica malay musulmana colpite dalla guerriglia. Le sommità dei Comitati Islamici Provinciali delle province di Yala, Pattani e Narathiwat portavano il messaggio: “Chiediamo all’insorgenza di venire allo scoperto e parlare di pace alle autorità”.
Sin dal gennaio 2004, i separatisti malay musulmani hanno lanciato una guerriglia contro le forze della sicurezza di stato. Più di recente i separatisti hanno sostenuto discutibilmente la loro sconfitta militare peggiore il 13 febbraio quando i marine thailandesi vennero a sapere di un’imboscata pianificata e sedici dei cinquanta separatisti che attaccarono furono uccisi. Altri tre separatisti sono poi morti in seguito alle ferite riportate.
Come risposta a questo momento, come generalmente ritenuto, i separatisti hanno lanciato una serie di almeno 50 attacchi nel corso di due giorni compreso lo scoppio di una bomba a Pattani che ha fatto tre morti. Il confronto armato ha spinto il governo del Puea Thai di prendere in considerazione di togliere il decreto di emergenza in vigore rimpiazzandolo con la più docile legge di Sicurezza Interna (ISA)
La insorgenza non ha mai rivelato la propria dirigenza o emesso un insieme di domande formali per porre fine alla loro lotta. Sin dai primi colloqui informali iniziati nel 2005, si crede che i rappresentanti dello Stato Thailandese abbia incontrato figure separatiste di uomini di mezza età che hanno poca influenza sugli insorti sul terreno o su quelli che seguono le loro operazioni.
Comunque i nuovi cartelli suggeriscono chiaramente che i capi della minoranza religiosa spingono il movimento clandestino ad iniziare a parlare di pace con le autorità dello stato.
Uno dei capi è sospettato di essere una figura importante nel BRN-C, un’organizzazione degli insorti che la stragrande maggioranza degli analisti e autorità crede sia il gruppo fondamentale ad istigare la violenza.
Nonostante il chiaro appello, i capi politici Malay Musulmani sono costretti a comunicare frequentemente con le autorità della sicurezza nella regione turbolenta, dove oltre 5500 persone sono state uccise. Quella è la ragione per cui gli osservatori della regione credono che capi islamici siano stati spinti dai capi militari ad essere d’accordo sulla produzione di questi cartelli a scopi della propaganda militare.
Invece di simboleggiare la posizione dei capi malay sul dialogo, il cartello si può più accuratamente leggere come un messaggio dei militari, una delle istituzione più potenti del paese. E’ significativo che l’esercito per la prima volta pubblicamente mostri alla gente del posto di riconoscere il proprio bisogno di un dialogo col movimento separatista. Molti ufficiali di alto rango comunque danno meno peso all’idea che violenza dipenda dall’ideologia quanto invece si tratti di una violenza criminale su base personale e della criminalità generale della regione.
I cartelli riconoscono anche che i militari riconoscono che le forze di sicurezza non possono sconfiggere i ribelli mediante strategie di contro-insorgenza che includano la soppressione armata e campagne di convincimento. Questi sentimenti da tanto erano espressi in privato da tanti ufficiali della sicurezza di stanza nella regione, ma ora i militari mostrano pubblicamente queste opinioni interne.
Allo stesso tempo il cartello disegna la posizione limitata dei militari sull’istanza fortemente sensibile di dialoghi formali con figure dell’insorgenza. Sul fondo del cartello vi è una foto scura del comandante dell’armata della regione, il generale Udomchai Thammasarorat, che dà la mano ad uno dei 93 presunti ribelli che si sono consegnati alle autorità lo scorso settembre.
La resa fu salutata dall’esercito come un successo della contro insorgenza ed un segno che altri insorti erano destinati a deporre le armi. Varie fonti rivelarono che sono una piccola minoranza di quelli che si erano consegnati erano insorti e che molti si consegnarono per costrizione. Sebbene da allora solo altri nove presunti insorti si sono fatti avanti per abbandonare la lotta armata, i militari continuano a provare ad eradicare l’insorgenza attraverso la contro-insorgenza e le semi amnistie come una delineata nell’articolo 21 della ISA.
Quel programma, che permette ai sospetti insorti di non scontare la pena anche da accuse penali dopo sei mesi di addestramento volontario di “rieducazione”, è stato completato da due sole persone sin da quando è stato applicato in cinque dei distretti meno violenti della zona. Nonostante questa chiara mancanza di successo, i militari sperano in questi programmi e li preferiscono ad un inizio di formale processo di dialogo che potenzialmente porterebbe figure separatiste rivelanti a negoziare.
La linea dura dei militari e la riluttanza del movimento separatista si sono mostrate più di recente attraverso un dialogo tenuto tra autorità di stato nella vicina Malesia. Agli inizi di gennaio una delegazione thailandese guidata dal ministro alla sicurezza Chalerm ha fatto un viaggio pubblicizzato in Malesia per incontrare il premier malese Najjib e il ministro degli interni Hussein.
Le parti hanno firmato un accordo congiunto che includeva una nuova cooperazione nel combattere il crimine transnazionale, l’estradizione di sospetti e lo scambio di prigionieri. Comunque è stato più significativo che l’incontro sia servito per possibili futuri colloqui su temi più sensibili con le figure separatiste, alcune delle quali sono di base in Malesia.
Altre fonti dicono che il premier Yingluck Shinawatra andrà in Malesia alla fine di questo mese pe iniziare dei colloqui di più alto livello con le autorità malesi. I politici e gli ufficiali di sicurezza thailandesi sono da tanto tempo frustrati dal ruolo della Malesia come un riparo sicuro per le figure dell’insorgenza.
Sin dall’entrata al potere a metà 2011 del governo Yingluck, le figure politiche thailandesi, incluso il capo di fatto di questo governo Thaksin Shinawatra, hanno richiesto alla polizia speciale Malese di porre sotto pressione le figure di alto livello del movimento, che si sanno vivere in Malesia, di parlare con i rappresentanti dello stato thailandese.
Fonti vicine ai colloqui di quest’anno a Kuala Lumpur dicono che membri della delegazione Thailandese si sono incontrati con figure in esilio più vecchie legati ai gruppi BRN e PULO. Due membri della delegazione thailandese avrebbero chiesto di incontrare Sapae-ing Basor che si crede sia una figura chiave separatista.
I rappresentanti thailandesi da tanto vogliono incontrare Sapae-ing Basor, ma dal canto loro i rappresentanti separatisti hanno negato che l’uomo abbia un ruolo attivo nell’attuale insorgenza e che invece l’uomo sia solo una figura spirituale per il movimento.
All’inizio di questa decennale insorgenza Spae-ing era considerato il capo importante del movimento. Di recente alcuni ufficiali della sicurezza del profondo meridione hanno cambiato opinione accettando di fatto il ruolo di Sapae-ing esposto dai rappresentanti del movimento separatista.
Alcune fonti dicono che i rappresentanti dei separatisti fossero stati molto delusi dalla parte thailandese per questa rinnovata richiesta di incontrare Sapae-ing tanto da non essere interessati a futuri colloqui. Fonti dei militari e della società civile del profondo meridione hanno lamentato la mancanza di conoscenza del conflitto di Chalerm conosciuto inoltre anche per la sua fama di politico da patrono vecchio stile, a cui manca la statura politica per guidare i colloqui.
Dalla prospettiva di un movimento di insorgenza conosciuto come frazionato, il fattore più saliente che impedisce alle figure chiave di entrare in un dialogo sarebbe l’indisponibilità continua del governo a muoversi verso un processo aperto e formale dei negoziati, stando a varie differenti fonti. Varie persone Malay musulmane con conoscenza profonda del movimento separatista hanno ammesso che molte figure importanti sono ostinate nel chiedere la diretta indipendenza dalla Thailandia a maggioranza buddista, notando però che molti altri erano aperti a qualche forma di autonomia.
Per impegnare queste figure separatiste il governo avrà bisogno sia di formalizzare il processo di dialogo che di fare passi in avanti verso lo sviluppo di misure di costruzione della fiducia, hanno detto le fonti. Le misure passate richieste dai rappresentanti dei separatisti hanno incluso il rilascio di prigionieri separatisti per accuse legate alla sicurezza, l’abbandono del decreto di emergenza, l’abolizione delle liste nere ed una riduzione delle forze di sicurezza nella regione.
Varie fonti hanno messo in luce che il governo avrà bisogno di un mediatore terzo come l’Organizzazione della Cooperazione Islamica (OIC), Indonesia o Malesia per far sì che al tavolo si siedano rappresentanti importanti dell’insorgenza. I separatisti preferiscono la Malesia. A seguito degli incontri governativi, Najib ha detto ai giornali che la Malesia era pronta ad aiutare a mediare il conflitto che scotta. Agli inizi di febbraio i giornali thailandesi riportavano che Chalerm avrebbe proposto all’ex premier malese Mahatir di fungere da rappresentante terzo per il dialogo. Comunque Chalerm ha detto che il governo avrebbe fatto solo colloqui, non negoziati.
Un’altra fonte che i colloqui avranno luogo nelle isole Langkawi agli inizi di aprile. Tra la fine del 2005 e l’inizio del 2006 Mahatir condusse una serie di colloqui sull’isola turistica malese ma la divisione politica nazionale thailandese impedì che questi colloqui prendessero piede.
Secondo un’alta fonte dei militari, il comandante in capo dei militari generale Prayuth Cha-ocha ha detto ad Asiatimes Online che Thailandia e Malesia continuano a lavorare sul possibile ruolo della Malesia nella pacificazione del conflitto. La Thailandia comunque vuole che la Malesia faciliti soltanto il dialogo, senza però mediare tra le parti in guerra.
Secondo molti analisti che seguono le vicende da tempo ed anche a detta di molti attivisti, il Puea Thai vorrebbe andare sul piano di un dialogo formale se dovessero guardarsi alle spalle dal potere realista, sommi generali compresi.
Si conosce bene la tensione tra il comando dei militari guidati da Prayuth e il governo di Yingluck e le differenti visioni sul come affrontare l’insorgenza ha impedito una risposta dello stato esaustiva sin da quando Yingluck fu eletta nel 2011. Il suo governo di recente ha ricevuto più spazio dal comando dei militari per stabilire un dialogo col movimento.
Prayuth che è un noto realista è stato quest’anno calmo sul problema dei negoziati. Lo scorso anno espresse la sua critica verso Thaksin ed il suo uomo nel profondo Meridione, Tawee Sodsong, segretario generale del SBPAC), dopo che i separatisti lanciarono, lo scorso marzo, attacchi quasi simultanei a Yala e Hat Yai, suggerendo che le bombe erano il risultato dell’opposizione del movimento ai colloqui che ebbero luogo il mese prima in Malesia tra Thaksin e qualche figura separatista in esilio.
Il generale Akanit Muansawadt, confidante stretto in pensione di Pratuth continua a monitorare le mosse del governo verso iniziative di dialogo con gli insorti. Akanit, in passato nel comando meridionale, partecipò ai colloqui all’estero con i proclamati uomini del movimento. Alcuni credono che la presenza di Akanit sul fondo limiti l’abilità del governo a formalizzare un dialogo. Tuttavia vari intellettuali Malay musulmani hanno detto che è assolutamente fondamentale che i potenti militari thailandesi siano dentro qualunque piano del governo per il dialogo se si vuole che abbiano successo.
Mentre i politici thai e gli ufficiali della sicurezza preferirebbero limitare ogni ruolo interventista di una terza parte nel conflitto, alla luce della violenza protratta il governo di Yingluck si crede sia più aperto ad un dialogo formale rispetto ai governi precedenti. Varie fonti affermano che Thaksin sarebbe particolarmente sostenitore di far partire un processo di pace più formale, sostenendo che l’unico modo per porre fine al conflitto è “al tavolo dei negoziati”.
Due fonti hanno notato che la Malesia sente che Thaksin e l’attuale governo siano molto più sinceri sul dialogo rispetto al precedente governo guidato dal Partito Democratico. Thaksin si dice stia lavorando a stabilire legami più forti non solo con il premier attuale Malese Najib ma anche con il suo oppositore politico Anwar Ibrahim, fa notare una delle fonti.
Anwar è il capo di una coalizione di opposizione e potrebbe essere il prossimo primo ministro dopo le elezioni di quest’anno. I critici di Thaksin, comunque, pensano che vorrebbe favorire la Malesia e andare verso un dialogo di pace più formale poiché sia lui che i separatisti hanno un interesse uguale in una amnistia che potrebbe riportare in patria lo stesso Thaksin.
La comunità internazionale comunque appoggia un dialogo più formale. Alcuni delle ambasciate a Bangkok e rappresentanti di ONG hanno indicato l’accordo quadro per Bangsamoro dello stesso anno nelle Filippine come un possibile modello per la Thailandia.
La Malesia ha giocato un ruolo guida nel raggiungimento di quell’accordo, sebbene qualcuno indichi che i negoziatori del governo filippino sentivano la Malesia come favorevole verso il MILF contro le posizioni del governo.
Si sa che in Thailandia hanno seguito da vicino il processo di pace nelle Filippine. Ma a causa delle forti simpatie dei politici malay musulmani verso l’insorgenza nelle regioni restie del profondo meridione, i generali dei militari continueranno ad opporsi senza dubbio al dare potere di mediazione ad un etnico malay musulmano. Sia le fonti del governo Thailandese che analisti dicono che da parte Thailandese si vede nell’Indonesia un negoziatore più neutrale.
In tanti hanno detto che il movimento manchi d una voce unica per far innalzare i colloqui ad un livello più alto. In quello che un a fonte definì come un tentativo per facilitare una risposta più unitaria da parte malay, il 17 febbraio Chalerm nominò vari politici malay musulmani del gruppo un tempo forte Wadah come consulenti del governo.
Dai tardi anni 80 questo gruppo politico dominò i seggi parlamentari del profondo meridione fino al rinascere dell’insorgenza nel 2004 e persero il potere nelle elezioni del 2005. Vari personaggi militari hanno confidato di dubitare dell’influenza di questi esponenti del Wadah nel poter creare unità dentro il movimento separatista specialmente tra i duri più anziani che continuano a sostenere il sogno dell’indipendenza.
Ma di fronte ad una comunità internazionale sempre più sostenitrice di un processo formale di pace, ed un vicino al meridione molto vicino all’agenda nazionalistica dei ribelli ed un continuo stallo militare, la Thailandia potrebbe non avere altra scelta se non di iniziare un dialogo formale con l’insorgenza. Dei cartelli spalleggiati dai militari che riconoscano quella realtà di sicuro non saranno messi subito per la martoriata regione
Jason Johnson No clear signs in southern Thailand