La situazione a Sabah si è fortemente deteriorata dopo gli scontri che hanno causato almeno 12 morti tra fedeli del sultanato di Sulu e forze malesi a Sabah. Si hanno notizie di altri scontri a fuoco che si vanno diffondendo in altre zone della regione di Sabah con la morte di cinque poliziotti malesi e di un imam e quattro suoi figli sospettati di aver dato ospitalità ai militanti filippini.
A Sabah è forte la presenza di filippini, o Tausug, che provengono dalle province meridionali di Mindanao come Tawi Tawi, Sulu, Basilan e si considerano a Sabah come a casa propria. La paura è che il conflitto possa esplodere e diffondersi in altre zone di Sabah, nonostante il blocco navale filippino che cerca di impedire l’arrivo a Sabah di altri militanti filippini. E’ noto infatti che molti combattenti della MNLF sono tra i filippini che sono andati a Sabah e combattono lì con tecniche di guerriglia apprese in tanti anni di lotta a Mindanao.
Un militare filippino ha detto ad un giornale: “Dalle mie esperienze passate di combattimenti a Sulu e Tawi Tawi non puoi provocare e colpire i Tausug senza ricevere delle vendette più violente”. Se non ci sarà qualche azione di mediazione, tutta la pace a Mindanao rischia di finire male. Si spera che il governo filippino si muova in modo accorto.
Di seguito un articolo di Glenda GLoria sugli antecedenti tra FIlippine e Maesia su Sabah
Sabah, Merdeka ed Aquino, di Glenda Gloria, The rappler.
Si può capire la Mindanao Musulmana senza guardare alla Malesia? Forse no. Questo austero vicino ha immischiato le sue mani in maniera alquanto saggia: nutrire una ribellione filippina da un lato e aiutarne la fine dall’altro.
Sabah è stata di casa a migliaia di musulmani che un tempo lottavano per l’Indipendenza sotto la dittatura di Marcos. Era il loro rifugio quando i militari continuavano a colpirli con le bombe e le mitraglie a Mindanao. Sabah era sempre parte della loro comunità reale ed immaginaria. Prima che il colonialismo disegnasse confini superficiali in quella parte di mondo, i musulmani di Sabah, Tawi tawi e Sulu costituivano una comunità che liberamente commerciava beni l’un con l’altra, si facevano visita senza intoppi e parlavano la stessa lingua. L’imperioso sultanato di Sulu regnava su queste isole.
Perciò mentre Manila con costanza ha tenuto la rivendicazione di Sabah nel dimenticatoio, la realtà è che per molti filippini, Sabah è stata per tanto tempo la loro. Sono cresciuti su quell’isola, si sono sposati, hanno allevato i figli e hanno iniziato gli affari lì. Circa 65 mila filippini hanno il passaporto come “rifugiati politici” a Sabah. Nella capitale di Kota Kinabalu, chiesi una volta ad un ex membro del MNLF perché avesse scelto di vivere lì. “E’ terra nostra. Questi sono miei fratelli” rispose. Si chiamano tra loro Suluks non filippini.
Nel momento più alto della campagna secessionista negli anni 70 e 80, i ribelli musulmani cercavano rifugio a Sabah dove stendevano piani per mettere in ginocchio i militari di Marcos. Nella sua giungla lussuriosa si esercitavano le giovani reclute nelle tecniche di guerriglia. Mentre Nur Misauri girava per il medio oriente per raccogliere soldi per il suo movimento, i suoi giovani comandanti tenevano riunioni clandestine a Sabah per disegnare la guerra contro Marcos.
Ma questo porta ad una domanda: perché la Malesia ha tollerato questo ed ora non riesce a tollerare un gruppo sgangherato di vecchi soldati asserragliati a Lahad Datu?
La risposta non sta in Sabah o Sulu o Tawi Tawi, ma in un altro luogo che mantiene i segreti di un’operazione speciale pasticciata per invadere Sabah: l’isola di Corregidor.
Nel marzo del 1968 i militari filippini uccisero le reclute musulmane che avevano addestrato per invadere Sabah, una parte della caccia avventurosa di Marcos in quel periodo. Il disegno clandestino aveva il nome di Oplan Merdeka, Operazione Libertà.
Addestrati in una unità commando dal nome Jabidah, il nome della donna bellissima nell’immaginario musulmano, furono reclutati dalle province musulmane di Sulu, Tawi Tawi e Basilan. Gli ufficiali guidati da Eduardo Martelino, insegnarono loro i rudimenti della guerra sulle isole dormienti di Simumul a Tawi Tawi. Una città pittoresca, Simumul, è la sede della prima moschea nelle Filippine costruita nel XIV secolo. E anche ad un soffio da Semporna, un’isola appena fuori da Sabah. Lo scorso mese fu a Simumul il luogo dove i seguaci del Sultano di Sulu si preparava a salpare per Sabah ed iniziare il confronto.
In quei tempi, Simumul non aveva l’ambiente per un addestramento rigoroso. Quindi i militari imbarcò le sue reclute in quell’isola desolata a forma di girino che è Corregidor. Con la promessa di una paga mensile le reclute attesero pazientemente lo stipendio da mandare alle famiglie. Non venne mai lo stipendio, dando così inizio ad una demoralizzazione generalizzata che culminò in una petizione rivolta a Marcos.
L’esercito doveva risolvere il problema ma la situazione era segnata. I giovani musulmani si ammutinarono contro i loro ufficiali istruttori e Operazione Libertà stava per essere smascherata. Il governo nel panico ordinò di metter tutto a tacere per sempre in quello che fu conosciuto come il massacro di Jabidah. Pochi sopravvissero, compreso chi avrebbe poi raccontato la storia, ma tanti vennero uccisi, i loro corpi bruciati prima di essere buttati in mare dalle forze di elite dell’esercito dall’elicottero presidenziale. Il senatore che fece le sue proprie indagini e spinse per un’inchiesta del senato di alto profilo sul massacro e sull’operazione libertà non era nientemeno che Ninoy Aquino, il padre del presidente Aquino.
Il massacro di Jabidah fu la scintilla che accese la ribellione musulmana e cambiò la Malesia per sempre.
Altri tempi allora. Le Filippine erano più avanti dei suoi vicini ed era nella posizione migliore per reclamare Sabah. La Malesia sembrava un obiettivo facile in quel momento con la federazione malese che era appena nata nel 1963, Singapore che da poco se ne era andata e l’Indonesia diventava un vicino problematico. La Malesia prese a cuore la vicenda di Jabidah, promettendo che non sarebbe stata più vulnerabile per i suoi vicini. Sabah cominciò ad avere l’attenzione che meritava con progetti ed un budget grande da spendere.
Per scontentare Marcos, la Malesia diede il benvenuto ai ribelli del MNLF tra le sue braccia fino ad armarli e fornire loro un santuario. Alla fine i ribelli si integrarono nella società Malese senza che cuasasse questo tanti problemi alla società multietnica malese. Poiché, mentre Marcos lanciò le sue forze per sconfiggere i ribelli musulmani, il premier Mahatir intraprese un percorso più sofisticato: scoraggiare l’estremismo islamico mobilitando e spendendo risorse di stato per permettere il fiorire di un Islam moderato.
Le frontiere porose non permettevano alla Malesia di impedire l’entrata di Filippini alla ricerca di lavoro che ad un certo punto raggiunse il numero di 400 mila filippini senza documenti a Sabah. Non sarebbe stato un problema se non fosse stato per la crisi finanziaria del 1997 che costrinse la Malesia a deportare lavoratori filippini ed indonesiani. Nel 1999 la città di Zamboanga accusò il colpo nella testimonianza di qualche centinaia di filippini riportati in patria su navi commerciali.
La situazione richiedeva la cooperazione bilaterale. Ma il presidente del tempo Estrada aveva già deciso di spalleggiare l’oppositore di Mahathir del momento, Anwar Ibrahim, cosa che mise a dura prova i legami eccellenti tra le due nazioni sotto la presidenza precedente di Ramos.
La situazione peggiorò di nuovo nel 2000 quando i banditi del gruppo di Abu Sayaff sequestrarono dei turisti sull’isola malese di Sipadan, portandoli a Sulu, guadagnando milioni di dollari di riscatto. Dopo quell’incidente la Malesia cacciò 700 filippini da Sabah negando però che fosse una misura di vendetta per l’azione del gruppo di Abu Sayaff.
E poi qualcosa accadde nel 2001 durante il governo Arroyo. Il vecchio amico della Malesia, Misauri, finì nei guai. Misauri litigò con Arroyo e incitò la rivolta a Sulu. Quando i militari si mossero contro di lui, Misauri contava sull’appoggio di un vecchio amico per evitare la galera, così almeno pensò. Scappò su una barca in Malesia, a Sabah.
Appena dopo aver raggiunto le spiagge di Jiamperas fu arrestato e detenuto dalla polizia malese e fu deportato nel 2002 nelle Filippine dove rimase detenuto per un po’ con l’accusa di aver guidato una rivolta a Sulu. La Malesia dimostrò la propria considerazione per Misauri e quanto fosse cosciente della sua priorità più importante: cooptare un altro movimento ribelle che rischiava di essere adescato dall’Islam radicale. Quindi la decisione di ospitare i colloqui di pace tra il governo filippino e il MILF. Il passato offriva poche lezioni a tutti gli attori coinvolti nella vicenda di Sabah.
Prima lezione è il trauma di Merdeka. Entrare via Simunul e ravvivare la vicenda di Sabah mediante un confronto prolungato è semplicemente inaccettabile per la Malesia.
Seconda lezione è la saggezza di mantenere la vicenda di Sabah dormiente per ora. Persino il meschino Marcos alla fine abbandonò la sua forte caccia di Sabah cercando invece l’espansione della voce filippina nel sudestasiatico. Nel 1977, durante un summit a Kuala Lumpur, Marcos annunciava la sua intenzione di lasciar perdere la richiesta di Sabah nello spirito della cooperazione regionale. Non andò mai oltre l’impegno vocale a causa delle critiche dei politici. La presidenza di Corazon Aquino non ravvivò la richiesta, ma neanche perseguì la ricerca di relazioni con la Malesia. Fu solo nel 1993 quando si ebbe la prima visita di un presidente Filippino in Malesia con Fidel Ramos che intraprese una rotta più sfumata spingendo per il corridoio economico BIMP-EAGA e convertire quello che era un retrobottega dell’Asia orientale in un centro di affari.
L’amministrazione Aquino di ora ha un piano per quest’area?
Terza lezione è il fatto che il Sultanato di Sulu, che ha diritti di proprietà su Sabah, è sempre stato aperto ad un accordo. Ma gli eredi in combutta non riuscivano ad accordarsi sul come fare. Sotto Corazon Aquino, fonti di primo livello dissero che la Malesia offriva al Sultanato almeno 70 milioni di dollari come accordo. Ma un politico che affermava di essere uno degli eredi protestò facendo perdere il tempo dell’accordo. Sotto l’amministrazione Ramos la Malesia chiese alle Filippine di persuadere gli eredi ad accettare l’istituzione di una fondazione “finanziata generosamente” che avrebbe assistito le comunità musulmane a Mindanao, secondo l’allora governatore della ARMM Parouk Hussin. Non fu raggiunto nessun accordo.
E’ questo qualcosa che si dovrebbe ricercare nell’attuale processo di pace che è favorito dalla Malesia o fuori di tali parametri?
Quarta è la lezione fondamentale che un governo responsabile ha bisogno di risolvere alla fine: dovrebbe abbandonare del tutto le sue richieste su Sabah? Sotto Ramos il ministero degli esteri senza far rumore spingevano per stabilire un consolato a Sabah per poter fare un resoconto sui filippini che lì vivevano o che lavoravano. La Malesia accettava l’idea e entrambe le nazioni sottoscrissero un accordo. Ma dopo ulteriori studi da parte dell’ufficio legale del ministero, l’accordo fu lasciato. Un consolato implicava che la richiesta di Sabah dovesse essere abbandonata.
Molti nel governo ancora usano l’idea che Manila dovrebbe usare Sabah come mezzo di negoziazione con la Malesia per favorire il benessere dei Filippini che lì vivono. Ma altri esperti ritengono irrealistico perseguire quella richiesta. Per alcuni diplomatici, Manila dovrebbe abbandonare la pretesa poiché questo a privato i cittadini filippini di avere un servizio consolare pieno in quella zona. Vi siete mai chiesti perché il nostro governo non aveva molte informazioni in relazione allo stallo? Non abbiamo una presenza lì.
Quinta lezione è la realtà che mentre la richiesta di Sabah è sepolta, molti filippini considerano Sabah cosa propria. Frutta essere sensibili questo. Sabah non è un’istanza accademica o politica. Si tratta di una rete sociale profondamente radicata nel passato. Confrontarsi con la saggezza politca convenzionale colla retorica del sultano tradisce una scarsa apertura mentale. Come ha provato il recente passato, il sultano di Sulu non è stato mai noto per mosse eccezionali. Il fatto che la situazione abbia raggiunto una fine sanguinosa mostra la estrema mancanza di attenzione e sofisticazione da parte del governo, una cosa che accade quando si è distratti dai rumori della politica.
Cosa si può fare per porre fine allo stallo?
Forse il governo dovrebbe impedire che un possibile candidato alla presidenza (leggi Roxas) parli di Sabah come se avesse della credibilità per farlo. E poi fare il lavoro tranquillo preferibilmente mediante qualche canale informale.