Quale è il futuro della Malesia, paese multiculturale e razziale, sia sul piano economico, politico e sociale?
Il centro di gravità dell’economia globale da qualche tempo ormai si sta muovendo verso oriente, verso l’Asia.
La crisi finanziaria attuale ha accelerato quel processo. Le economie dell’Asia, condotte dalla Cina, cercano di stimolare la domanda interna ed accrescere il commercio nella regione. Mentre scende l’appetito globale per la moneta e le azioni americane, è probabile che larghi flussi di capitale a rischio cominceranno a muoversi di nuovo verso i mercati emergenti nei prossimi mesi. Le destinazioni principe saranno India e Cina, ma le nazioni del Sudest Asiatico sono anche ben messe per beneficiare di quel flusso di capitali globali per quanto la loro storia economica può dire.
I due migliori stati saranno Indonesia e Vietnam. La prima ha un suo mercato, risorse naturali e una storia di liberazione, mentre il Vietnam ha una forza lavoro vasta e industriosa che sta migliorando molto rapidamente.
Filippine e Thailandia, nonostante i loro problemi politici, rimangono importanti per i loro mercati interni, mentre Singapore, da centro finanziario della regione, beneficerà di ogni possibile incremento economico della regione. Quest’anno si ha anche un’implementazione completa dell’AFTA e di altri trattati. Si può essere cautamente ottimisti sulla base di crescita del commercio e degli investimenti.
Tra le maggiori nazioni dell’ASEAN non ho incluso nella mia lista di ricettore degli investimenti la Malesia, perché la Malesia è uscita fuori dalla mappa dei tanto desiderati investimenti esteri. Senza i vantaggi dei costi e della scala del Vietnam e dell’Indonesia né le capacità di Singapore, la Malesia è fermamente catturata in una trappola da entrata media e sembra essere scomparsa dai radar degli investitori esteri. Potrebbe sembrare strano che questa nazione nel cuore del Sudest asiatico, ricca di risorse naturali straordinarie, culturali ed umane, e un tempo faro per il mondo in via di sviluppo, sia divenuta marginale.
Voglio discutere come questo sia successo, e riflettere su cosa questa storia possa insegnare sui grandi problemi di preoccupazione comune. Altri membri dell’Asean potrebbero essere preoccupati che una nazione un tempo all’avanguardia nel portare avanti le iniziative regionali si trovi ad un incrocio per il proprio futuro.
Le elezioni generali del marzo 2008 segnarono uno spartiacque nella politica malese. La coalizione governante Barisan Nasional ha perso la sua solita maggioranza dei due terzi nel Parlamento, e cinque stati sono passati all’opposizione, compresi gli stati forti economicamente come Selangor, Perak e Penang. Se paragonato a quanto succede in altre democrazie parlamentari, si potrebbe trovare questa situazione non degna di nota. Se visto contro la storia politica del paese, l’intero panorama politico è cambiato in una notte.
E’ scomparsa l’invincibilità dell UMNO (partito a maggioranza relativa) che ha dominato la scena politica malese sin dall’indipendenza. La credibilità politica dell’UMNO-BN è stata più di un insieme di partiti politici legati alla razza. Nei decenni passati, è stata riscritta la storia, creata una mitologia, il partito abolito e reinventato per rafforzare la necessità e l’inevitabilità di un governo condotto da UMNO.
La formula della condivisione del potere comune (consociazionalismo) su cui, Il Barisan Nasional e i suoi predecessori si erano fondati, aveva cominciato a vivere come un accomodamento politico, un compromesso nella costruzione di una nazione, un passaggio lungo una via ad una più completa unione dei nostri cittadini. A cinquant’anni di distanza si è ossificata nella forma di un eterno contratto razziale, un modello replicato ad ogni livello della vita nazionale. I risultati elettorali hanno sprofondato questo modello e il regime costruito su di esso, nella crisi.
La gente è spesso più avanti dei propri governi. E’ interessata anche ad altre cose che non sono l’identità politica. Incapace di dare una risposta alla fine della formula del Barisan Nasional mentre la gente chiede qualcosa in più di una politica etnico religiosa, il partito al governo sembra reagire affossandosi ancor di più in cause razziali meschine prive di un futuro. Questa risposta disperata è autodistruttiva in modo cumulativo.
Mentre UMNO è rifiutato dai suoi elettori, i membri del partito inseguono sempre più fermamente problemi razziali credendo di puntellare la loro “base”. Si sbagliano sulla natura della loro base. Nel fare così diventano più estremi e lontano dagli elettori ordinari di ogni razza e religione la cui preoccupazione principale non è l’identità razziale o religiosa, ma ha a che fare più con temi quali la corruzione, la sicurezza, l’economia e l’istruzione.
Un esempio è la posizione dell’UMNO sulla controversia attuale sul termine “Allah” usato da non musulmani. In un momento importante, il partito islamico PAS sostiene una posizione più plurale e moderata, mentre UMNO si sta affossando in una posizione dura, intollerante che non ha uguali, per quello che ne so, nel mondo musulmano. Sta agitando sentimenti comuni e il governo che dirige sta assumendo una politica basata sulla “sensibilità” piuttosto che sui principi. La questione sembra avere più toni razziali che religiosi, per non parlare dei principi costituzionali.
In una società multirazziale complessa, un partito ed un governo la cui risposta primaria alle aspettative pubbliche è radicata in qualcosa di elastico come le sensibilità piuttosto che in una risposta che si fondi sui principi, in qualcosa che si rifà ad un sentimento piuttosto che alla costituzione, è un partito già a corto di fibra morale e di attitudine da leader. La vita pubblica è comportamento e scelta dei principi più che il sentimento. Islam in particolare chiede che le nostre azioni siano guidate da un’adesione assoluta alla giustizia per tutti piuttosto che al guardare dentro verso una vaga sensibilità di gruppi particolari, quantunque politicamente importanti possano essere. E’ dare quello che è giusto piuttosto che proteggere sensibilità arbitrarie. Se i sentimenti divergono da quello che è giusto allora è tempo di mostrare di saper essere dei leader.
“Sensibilità” è quello a cui si rivolgono politici meschini. Sollecitano le folle con questo strumento, crescono il risentimento ed aiutano la riscoperta di altre sensibilità. Questa è la strada verso la rovina. Una nazione è fatta di cittadini tenuti insieme da un concetto comune di giustizia e non di folle che hanno soddisfazione per stati emotivi politicizzati.
Come esempio del nostro declino, in un momento recente della nostra storia il governo stesso cominciò a parlare il linguaggio delle sensibilità. Nella controversia se i cristiani possano usare il termine Allah il governo parla di fare attenzione ai sentimenti, quando invece avrebbe dovuto parlare di quello che è giusto fare. Questo è quello che il governo fa quando un sistema politico e la sua dirigenza si sono distaccati dal governo della legge.
Si muove da un problema all’altro, ostaggio ai margini delle sensibilità. Piccole questioni minacciano di scoppiare in conflitti razziali. Il governo di una società multirazziale che non riesce ad erigersi al di sopra dei sentimenti è chiaramente troppo debole, o troppo interessato, per tenere insieme la nazione. Ha perso la credibilità e la legittimazione. Il regime è in crisi.
Il deterioramento del nostro ordine politico non è giunto improvvisamente o isolato. E’ parte di un più generale disegno di declino della democrazia e del governo della legge nelle molto più nuove democrazie. Molte società postcoloniali che iniziarono con istituzioni democratiche hanno visto la democrazia crollare verso una dittatura. Penso alla Nigeria, al Pakistan, al Kenia. Quello che non è stato detto è che sotto l’apparente continuità e per due decenni la Malesia ha vissuto in pace lo stesso processo.
Sotto la superficie c’è stata una rottura decisiva col sistema federale, costituzionale e democratico su cui ci si era fondati e che sola conferisce legittimazione. Quello che l’ha rimpiazzato è stato un autoritarismo basato sulla personalità. La politica era fissata ai desideri personali del leader, che vuol dire che in aree come l’economia o la politica estera, la nazione va diretta secondo l’entusiasmo particolare e le persecuzioni del leader particolare.
Il potere si è consolidato e il governo costituzionale è ritornato indietro. Il risultato è stata una recessione all’autoritarismo e alla centralizzazione del potere, favorita dalla corruzione del partito al potere la cui ideologia, che aveva messo insieme il nazionalismo malese con una preoccupazione nazionale costante, si è volgarizzato fino ad una politica facilmente manipolabile di risentimento di gruppi.
UMNO iniziò nel 1946 come un partito nato dalla base che comandava l’idealismo della mia generazione. Dopo il 1987 si è trasformato completamente in una macchina di patronato. La partecipazione al partito è diventato il biglietto per il guadagno personale, attraendo opportunisti e pochi di buono, mentre la brava gente rimaneva completamente da parte. Per qualunque organizzazione questa è una spirale di morte.
La sfida dell’UMNO e della Malesia oggi non è semplicemente riformare ma restaurare, non semplicemente di democratizzare ma ridemocratizzare perché non stiamo costruendo dall’inizio ma provando a riprenderci dal declino di istituzioni fondamentali una volta eccellenti.
Ci sono implicazioni regionali alla crisi malese. La formazione della Federazione della Malesia nel 1963 precipitò un conflitto regionale a cui, in parte, la formazione dell’ASEAN nel 1967 volle dire soluzione. Ora in una situazione chiara di erosione del governo della legge, gli accordi che strutturarono le relazioni federali dello stato in campi quali la distribuzione degli introiti del petrolio sono casualmente ignorati. La Malesia è una federazione di entità sovrane, ma una conseguenza dell’autoritarismo è stata che è stata diretta come se fosse uno stato unitario. Dobbiamo reimparare ad essere una federazione.
Proviamo a fare qualche conclusione.
Nel campo del governo le scorciatoie vanno bene per un po’, ma sul lungo termine vanno in conflitto con le potenzialità costituzionali di uno stato. Stimoli limitati all’economia sono difficili da valutare quando il 40% della finanziaria nazionale proviene da una sola fonte che non dà un rapporto dettagliato pubblico o al Parlamento.
Quello che è chiaro è che non c’è una base sicura per una crescita di lungo termine senza un ritorno ad istituzioni forti, alla trasparenza e al buon governo. Le sfide dello sviluppo economico, della costruzione di una nazione e dell’integrità delle istituzioni sono legale ancora di più in una nazione complessa come la Malesia.
Il successo delle misure collaborative dell’ASEAN dipende dalle nazioni fondanti che fanno da guida, ed è nell’interesse di ognuno che queste nazioni abbiano forti istituzioni democratiche e il governo della legge. Quando le nazioni mancano di buon governo e trasparenza, le economie nazionali vacillano, le politiche nazionali passano da una crisi ad un’altra e e la nazione si chiude, incapace di intraprendere costruttivamente col mondo reale e con i propri vicini.
Il successo economico delle economie dell’ASEAN negli anni 90 si basava in parte sulla superiorità delle strutture istituzionali rispetto a quelle dell’Europa dell’EST del Sudamerica. Agli inizi Malesia e Singapore giocavano dei ruoli guida nell’ASEAN. Ultimamente, il ruolo della Malesia è diminuito, mentre è accresciuto quello indonesiano. Non è un caso che questo è il risultato delle buone riforme e della democratizzazione in quel paese e del fallimento di ogni processo simile in Malesia. A lungo termine, la riforma e la democratizzazione devono andare insieme perché ci sia un o sviluppo economico sostenuto.
L’attuale primo ministro ha fatto alcuni gesti di aiuto verso la liberalizzazione dell’economia e del conseguimento di politiche più multirazziali. Tali iniziative comunque devono fare qualcosa in più del rimuovere la superficie rispetto a quello che è necessario fare. C’è bisogno fondamentale di riforme che includono come minimo:
a- Una revisione dei sistemi partito che impedisca a partiti esclusivamente razziali di competere alle elezioni. Questo inaugurerà una nuova era di politiche post razziali.
b- Restaurare l’indipendenza del sistema giudiziario e della libertà dei media
c- Una guerra totale alla corruzione, la radice di tutti i mali nella costruzione della nazione e dello sviluppo economico
la collaborazione economica maggiore a cui aspiriamo nell’ASEAN richiede che si ponga attenzione alle condizioni interne in ogni nazione che la renda possibile Spero questa sia un argomento adatto da assumere.
Tengku Razaleigh sul futuro della Malesia