Sono passati poco più di due mesi dalla ascesa alla presidenza della repubblica di Noynoy Aquino dopo un voto plebiscitario.
Sulle caratteristiche umane e politiche di Noynoy, sulle problematiche della nazione filippina, sulla sete di giustizia e di un governo pulito si sono aperte molte discussioni dentro e fuori le Filippine.
In questo articolo viene proposto il punto di vista di un giornalista americano Shawn W. Crispin apparso su AsiaTimesOnline che analizza le attese, le promesse e le speranze della povera gente contro lo sfondo della dura realtà filippina.
Il fenomeno Aquino dovrà pur finire
Sullo storico lungomare di Roxas Boulevard, a Manila, sventolano le bandiere gialle con i ritratti dei compianti genitori del Presidente Benigno Aquino, Ninoy e Corazon Aquino.
Una delle ironie della politica filippina è che le grandi speranze di cambiamento sono sempre così fortemente associate alla morte e alla delusione. Sulla bandiera che porta il ritratto del padre assassinato si legge: «Vale la pena morire per i filippini»
L’ascesa alla presidenza di Noynoy Aquino nella prima metà di quest’anno deve moltissimo ai tempi della morte per causa naturale della madre. La scomparsa dell’ex presidente Corazon Aquino, percepita da moltissimi filippini come un politico cattolico modello e di rara moralità, ha fatto scatenare un’ondata di dolore pubblico che Benigno e chi ha diretto la campagna elettorale ha potuto indirizzare ingegnosamente in messaggi di speranza e di cambiamento.
Sin dalla sua entrata in carica, Aquino ha sottolineato il bisogno di riforme profonde e, grazie al suo buon nome di famiglia, ha restaurato un minimo di fiducia pubblica nel governo, dopo la gestione piena di scandali della Gloria Macapagal Arroyo. Ha anche avuto momenti da bei tempi andati con i media mentre i titoli dei giornali economici salutavano «l’effetto Aquino» su una maggiore confidenza dei consumatori e del mondo degli affari.
Ma quanto può durare questo tempo dei doni? Le Filippine devono molto per i propri spunti culturali e politici agli Stati Uniti, uno dei suoi vecchi colonizzatori. In molti modi l’esuberanza di Aquino che ha percorso la nazione ricorda quella dei primi giorni della storica salita al potere di Barack Obama nel 2008.
A Washington l’euforia è scomparsa con le rivelazioni secondo cui Obama stesse più favorendo che punendo le grandi banche e le compagnie d’assicurazione che condussero la nazione alla crisi finanziaria ed economica, e che abiurasse alla promessa di campagna elettorale di moderare il costoso avventurismo militare americano dopo aver assunto il potere di comandante in capo.
In modo disperato i Filippini hanno bisogno di una nuova era di un governo morale, capace di dare una luce di riforma all’oscurità di una corruzione endemica, di culture di violenza ed impunità, e di un ostinatamente alto tasso di disoccupazione e povertà. E’ un elemento di profonda tristezza che il prodotto di esportazione principale delle Filippine sia il lavoro, ammontante al 25% della forza lavoro attiva piuttosto che manifatture o innovazioni prodotte in patria.
Mentre le spese collegate alle elezioni e il miglioramento della situazione mondiale ha diretto una crescita economica del 7,3% nel primo quadrimestre, la disoccupazione cionondimeno è cresciuta di mezzo punto fino a 8% ad aprile, sottolineando la sfida di creare abbastanza lavoro da tener testa al rapido sviluppo demografico.
I tassi di povertà e fame auto-valutati sono scesi a Marzo, ma il 43 % delle famiglie filippine si considera più povera e il 24% secondo le stime statistiche soffre la fame.
Come notava la World Bank in un suo rapporto, il nocciolo della piattaforma elettorale di Aquino si poggiava sul miglioramento del buon governo e sulla riduzione della corruzione per ridurre la povertà, mentre queste elezioni hanno generato una grande speranza di riforme che affrontassero i ben noti colli di bottiglia strutturali, specialmente la corruzione, la cui percezione è stata stabilmente in crescita negli anni passati come riportato da vari indici internazionali.
Cionondimeno, diplomatici e altri osservatori di internazionali di lungo corso sono scettici sulla possibilità che Aquino di usare il suo forte mandato elettorale e la sua storia politica famigliare per ottenere un sostanziale cambiamento politico, sociale ed economico. Privatamente gli assistenti di Aquino non vedono di buon occhio la caduta di popolarità di Obama ed esprimono la preoccupazione per le simili forti aspettative che circondano il loro governo riformista.
Diversamente da molti altri paesi del sudest asiatico, dove i retaggi o le realtà del comando militare hanno portato ad una sovra-concentrazione del potere centrale sulle regioni periferiche, le Filippine in modo provato soffrono di una mancanza di autorità centrale. I clan politici familiari governano intere province come dei feudi e spesso trattano i bilanci del governo locale come finanza personale, un fenomeno denominato in modo appropriato «anarchia delle famiglie» dal professore Alfred McCoy.
Questa anarchia ha prodotto come risultato il massacro di Maguindanao dello scorso anno, dove un clan politico con la sua propria milizia ha assassinato i familiari di un’altra famiglia in un’orgia di violenza locale legata alle elezioni producendo 57 morti. Gli accusati, membri del clan degli Ampatuan, assicurarono i voti nella regione per il presidente uscente Arroyo nelle elezioni del 2004.
Il massacro evidenziò il bisogno urgente di un’autorità più centrale sulle tante aree provinciali prive di legge e dedite alla violenza, dove la polizia, i giudici e i funzionari locali aiutano piuttosto che controllare gli abusi dei clan potenti. In molti casi di omicidio nella nazione, la corte suprema ha spostato i processi a Manila per la percepita mancanza di indipendenza dei giudici e dei tribunali locali.
Mentre l’Europa condanna circa il 90% dei sospetti assassini e gli USA circa il 60%, la percentuale si abbassa nelle Filippine al 10% secondo il programma di aiuto alla giustizia delle Filippine della Comunità Europea.
L’assenza di legge, compresa la nascente violenza e i rapimenti degli stranieri, ha ostacolato la capacità della nazione ad attrarre capitali stranieri e il turismo verso le sue aree interne impoverite ma ricche di risorse e di bellezza. A dispetto della tendenza de centralizzatrice, i governi locali spesso derivano la maggior parte delle risorse dal governo nazionale, fino al 90% nelle province, 70% nelle città e 86 % nelle municipalità.
Una indagine recente di Asia Foundation poneva la questione della trasparenza dei bilanci concludendo che «molto lavoro resta da fare per migliorare i sistemi pubblici di rivelazione dei governi locali».
Si notava che le informazioni sui bilanci, le spese e i rapporti finanziari non sono ancora accessibili al pubblico. Per limitare gli abusi e restaurare il governo della legge nelle province, Aquino avrà bisogno di mostrare una forte capacità di comando finora mai mostrata. Negli anni in cui è stato Deputato o Senatore ha mancato di dimostrarsi legislatore autorevole, e la gente vicina col suo stile di gestione dice che lui ha ereditato più la reticenza della madre che l’eloquenza e la tendenza al confronto di suo padre Ninoy.
Questo è stato chiaro per qualcuno durante la gestione da dietro le quinte della recente crisi degli ostaggi a Manila che è finita con la morte di molti turisti stranieri per un ufficiale di polizia scontento e della sua diplomazia maldestra nel dopo crisi che ha lanciato, in modo non necessario, tensioni bilaterali con la Cina, il più grande assistente ufficiale allo sviluppo della nazione.
Se rimane fedele alla sua retorica riformista, Aquino presto si troverà a lavorare a muso duro con i sistemi politici, legali e di applicazione della legge che di fatto sono rotti, specialmente a livello provinciale e locale, dove la sua promessa elettorale ha avuto una risonanza più profondamente.
Il caso del massacro di Maguindanao, che i l suo governo definisce come una cartina al tornasole, per il sistema giudiziario, durerà probabilmente per manovre legali più dei suoi sei anni di governo. Un vecchio diplomatico di stanza a Manila suggerisce che l’affrontare i clan della provincia non sarà sufficiente per soddisfare le attese popolari e che Aquino deve sfidare «la folla di De LaSalle e UP», un riferimento chiaro agli ex allievi politicamente e commercialmente influenti delle due prestigiosissime università per conseguire delle riforme genuine.
Alcuni credono che l’elitè di Manila potrebbe raggiungere un consenso sotto Aquino e dare il loro aiuto alla riforma per modernizzare la burocrazia e l’economia e nel processo aumentare la fetta della torta economica che ora dominano. Se la storia è una guida, metterli insieme attorno a misure che promuovano giustizia sociale, redistribuzione delle ricchezze e diritti umani incontrerà una dura resistenza.
Poiché Aquino nasce da una famiglia ben educata con interessi nella proprietà fondiaria e negli affari privati, in modo simile alla ex presidente Arroyo, il suo impegno nella giustizia e nella riforma è ancora incerto. Benché il periodo di presidenza di sua madre sia visto in modo nostalgico, lei mancò di conseguire le riforme cruciali della terra e della ridistribuzione delle ricchezze.
Mentre entra nel palazzo presidenziale un’altra generazione di Aquino, malgrado l’euforia e la promessa, c’è il rischio reale che la disperazione sopravviva alla speranza e che ancora una volta i filippini si siano inchinati davanti ad un falso messia.