Craig Reynolds, che scrisse il profilo delle opere e della vita di Jit nel suo libro “ Thai Radical Discourse: The Real Face of Thai Feudalism Today”, ha notato con saggezza nostalgicamente l’elusività di una stabile identità e le distorsioni della narrazione nella biografia come nella legenda. Molto della vita di Jit resta avvolta nel mistero. Persino le circostanze della sua morte tragica il 5 maggio del 1966 non sono interamente chiare. L’emozionante ballata di Jit, cantata dal gruppo dei Caravan, suggerisce che lui fu ucciso “sotto l’ombra di una grande aquila”. Se ne è parlato tanto, senza alcuna prova però, che le forze USA avevano una responsabilità nel dargli la caccia e in modo molto simile al destino di Che Guevara andò incontro al suo destino l’anno seguente.
Si è scritto che il capo villaggio dove fu ucciso Jit ebbe la propria ricompensa con un viaggio alle Hawaii, ma potrebbe benissimo essere che Jit fu ucciso durante uno scontro occasionale. Si dice che i monaci della foresta a Sakon Nakhon siano rimasti turbati dalla sua morte, non solo per la violazione di una vita, ma poiché lo scontro a fuoco ebbe luogo in una foresta protetta, ritenuta sacra e luogo di rifugio.
Venni a sapere della sua morte mentre studiavo il Sudest Asiatico alla Università Cornell, dove insegnavano studiosi come Benedict Anderson e Charnvit Kasetsiri. Quando in seguito andai a studiare il thailandese in Thailandia, scoprii la leggenda di Jit, come nel testo e nella canzone, come la rabbia degli studenti politicizzati, forse anche di più poiché il suo nome e le sue opere erano state in precedenza vietate.
Come laureando dell’Università del Michigan che ricercava la letteratura thailandese, andai a scuola privata da William Gedney che scoprii essere il traduttore con Jit del Manifesto di Carlo Marx. Gedney e Jit vivevano insieme nel Soi Ruam Rudee vicino all’ambasciata americana dove iniziarono la traduzione che guastò loro la carriera del classico del marxismo.
Erano passati trentanni dalla loro separazione e il profondo affetto per Jit era ancora evidente in Gedney. Un giorno durante la lezione Gedney era fuori di sé dall’emozione. Disse che stava camminando per una strada vicino all’università e vide uno studente molto somigliante a Jit, e lo innervosì. Vicino alla pensione, Gedney era un linguista molto rispettato con una vasta collezione di 14 mila libri. Un uomo tranquillo, aiutato molto nella socializzazione dalla radiosa moglie Choi che per caso era anche la migliore cuoca thailandese ad Ann Arbor.
Con l’aiuto di un amico la intervistai parlando degli anni che passò con Jit come membro della casa a Ruam Rudee. La trascrizione thailandese fu poi pubblicata dall’editore Suchart Sawatsiri a Lok Nagsue.
Talvolta si dice che Gedney ebbe una profonda influenza su Jit, ma era anche lui curioso di tale influenza e si domandò, ad alta voce, se fosse stata una discussione accademica arcana, con un altezzoso professore all’università Chulalongkorn, sulla traduzione migliore di una parola arcaica a segnare l’inizio dell’alienazione di Jit dal potere costituito.
La lite in cui Jit mostrò la sua formidabile conoscenza del Khmer era su una parola strada con due possibili letture, phok o phaok, un argomento riesaminato da Robert Bickner, un linguista dell’università del Wisconsin.
Un anno ancora più duro venne l’anno seguente quando Jit fu cacciato dai suoi colleghi e dalle autorità della scuola per il suo modo creativo e poco convenzionale ( e qui si legge comunista) di editare una pubblicazione universitaria. Lo scontro da arena presso la Chulalongkorn vide Jit sottoposto ad un rude interrogatorio pubblico da parte degli studenti di destra che lo invitavano sul palco a difendere la sua violazione delle sacre tradizioni nell’auditorium del campus. Ne conseguì che fu interrogato e buttato fuori dal palco a pugni.
Gedney ebbe cura di Jit durante il tormentato periodo quando gli amici si allontanarono per paura e l’impegno dell’università alla libera espressione cadde vittima di una mania anticomunista. Dopo il rigetto umiliante di Jit e la conseguente insinuazione che fosse un comunista Gedney decise di dare un’intervista al Prachipatai nel 1953 per chiarire le cose. Il tentativo di Gedney di difendere pubblicamente un amico che era stato abbattuto gli costò di essere buttato fuori dal paese qualche tempo dopo.
Non si vuol dire che uno di loro fosse comunista: il solo restare in piedi a difendere la libertà di parola in un uno stato vassallo della guerra fredda era radicale al punto giusto. Gedney fu militare durante la II guerra mondiale e i contatti governativi lo aiutarono ad approdare come traduttore a Bangkok. Ma le traduzioni che gli pagavano il fitto lo gettarono fuori di casa. Mi disse come era stato contattato da un tipo “losco, ombroso che somigliava a Jackie Gleason_Bird, il nome era Willis Bird” per fare traduzioni per l’ambasciata americana. Gedney accettò di tradurre il Manifesto in Thailandese se poteva avere un assistente. Ebbe il lavoro e Jit con esso.
Quella gemma del lavoro linguistico finanziato dagli USA fu rovinoso per entrambi, ad uno costò la galera e poi la giungla, mentre l’altro fu deportato in America.
Gedney si sentì così profondamente tradito dalla mano infida di Zio Sam persino dopo 30 anni che mi potette confidare che odiava vedere i professori, presso l’Università del Michigan e ovunque, prendere stupidamente soldi dal governo americano senza vedere ciò che si portavano con sé. Lui era uno dei migliori linguisti ma aveva idee politiche interessanti. Maturò durante il periodo della Depressione degli anni 30 e il periodo di sinistra del periodo lasciarono un segno su di lui. Un giorno iniziammo a parlare dell’invasione sovietica dell’Afghanistan e mi attendevo che l’avrebbe condannata ma lui le diede il benvenuto. “E’ tempo che si liberino di questi mullah e prendano qualche influenza civile. La gente ne ha bisogno”.
Il linguista di sinistra aveva grandi ragioni per essere amareggiato. Sentiva che la sua carriera era stata distrutta specialmente alla Yale e alla Ivy League, segnate dalla paranoia della guerra fredda.
Gedney mi disse come accadde che lasciò Bangkok. Ebbe un incontro con un poliziotto che mise la pistola sulla scrivania, lasciando la parola alla canna della pistola a suggerirgli che forse era meglio andarsene. Una intercessione tanto sperata di Kukrit Pramote non si materializzò, né l’ambasciata americana fu di aiuto. Gedney mise insieme i libri, sposò Choi adottandone i bambini e lasciò la Thailandia che chiaramente amava tanto il gennaio 1954.
La domanda di chi fu a radicalizzare chi è da tanto argomento per le dispute ideologiche. In un certo senso, è un peccato che la politica eclissò qualcosa di più prezioso, un’amicizia bellissima, profondamente intellettuale e di aiuto reciproco.
Philip J Cunningham, http://www.bangkokpost.com/opinion/opinion/349828/mystery-shrouds-the-real-jit-phumisak-story