Mentre il Giappone possiede i mezzi e la forza per tenere le ambizioni territoriali cinesi sotto controllo, nazioni più piccole e meno armate come Filippine e Vietnam si sono dimostrate di gran lunga più vulnerabili.
Ora un’alleanza di sicurezza guidata dal Giappone potrebbe cambiare la dinamica regionale del grande contro il piccolo anche nel Mare Cinese Meridionale.
Sin dal 2010, le Filippine e Vietnam hanno incassato in modo vario i legami di sicurezza migliorati con gli USA per contrastare le positività crescente marittima della Cina, ma dopo tre anni dall’annuncio americano di essere il chiavistello dell’Asia Pacifico, resta ancora da vedere se il rinnovato impegno verso la Regione da parte americana è un deterrente credibile.
Oltre all’approfondirsi delle vicissitudini fiscali americane, un recente rimpasto nella amministrazione Obama che ha lasciato uscire gli architetti della strategia, Hillary Clinton e Kurt Campbell, ha posto questioni sul ritmo, l’intensità e la traiettoria dello spostamento politico di Washington.
Il nuovo segretario di stato John Kerry ha finora dato più priorità a risolvere la stasi in Siria, a impedire che l’Iran diventi una potenza nucleare e a riparare i legami strategici con una sempre più affermativa Russia sotto la seconda amministrazione di Putin.
Contro lo scenario dello spionaggio informatico cinese ai danni di entità civili e militari, il ministro della difesa Hagel ha posto l’attenzione più a contenere le tensioni sino-americane, compreso le misure di costruzione della fiducia con i capi militari cinesi, che a costruire le capacità militari dei suoi alleati del sudestasiatico.
Si attende che il consigliere sulla sicurezza Thomas Donilon, percepito come colui che presiede alla strategia americana, si faccia da parte prima della fine dell’anno facendo sorgere ulteriore incertezza sull’impegno strategico della seconda amministrazione Obama alla politica nella regione.
Il consolidamento del potere veloce e deciso del presidente cinese Xi Jinping, nel frattempo, è stato accompagnato da una scalata nella spinta diplomatica e paramilitare di Pechino nel pacifico occidentale, una assertività che ha lanciato nella regione ondate strategiche nella regione.
La nuova presidenza cinese, con la crescente spesa militare, con l’espansione delle sue capacità navali e il crescente nazionalismo popolare, sembra determinata a far valere le ambizioni territoriali cinesi nel Mare Cinese Meridionale per preservare la sua legittimazione tra crescenti problemi in casa tra i quali i segni d una economia che si indebolisce.
Filippine e Vietnam, prese tra un impegno americano incerto e la Cina esansionista, hanno opzioni limitate. Entrabi i paesi hanno cercato legami più profondi col Giappone in un momento significativo in cui il primo ministro Shinzo Abe guarda a rivedere l’orientamento strategico del paese peensando anche a cambi potenziali alla sua costituzione pacificista.
Entrambi i paesi si situano bene nella rete di allenza proposta da Abe “diamante di sicurezza” che mira a controllare l’ascesa cinese. Quell’accordo è percepito meglio nel momento in cui l’ex ministro degli esteri Vietnamita Le Luong Minh ha preso la guida dell’ASEAN e il primo ministro vietnamita Nguyen Tan Dung assume un ruolo attivo sulla risoluzione delle dispute nel mare cinese meridionale.
A giudicare dalle affermazioni dei presidenti filippino e vietnamita, come pure dal coordinamento crescente bilaterale e dall’approccio attivo diplomatico all’ultimo summit dell’ASEAN e al recente Shangri-La Dialogue, è chiaro che i due paesi cercano con urgenza rimedi multilaterali e regionali ai loro dilemmi prodondi nel mare cinese meridionale.
A causa del profilo sia regionale che economico in ascesa della Cina, molti vicini della regione hanno cercato di mantenere forti relazioni bilaterali con Pechino e trovare mezzi amichevoli per prevenire conflitto diretto sulle dispute territoriali. Questo spiega la presenza delle colombe della Cina dentro i circoli economici e diplomatici in luoghi come le Filippine e il Vietnam. Anche Tokio ha lavorato per evitare una rottura dei legami bilaterali con Pechino nonostante il duello crescente sulle isole Sensaku.
Tuttavia una serie di azioni di Pechino, in particolare l’ala paramilitare e la marina cinese, hanno fornito munizioni ai nemici duri della Cina nei paesi vicini che vedono pochi benefici nel far aperture alla Cina e credono fermamente nella necessità di misure di controbilancio coordinate e sostenute.
Nonostante una serie di offensive bilaterali positive da parte degli stati vicini, sembra che ci siano stati pochi cambiamenti nell’atteggiamento cinese. Giappone, Vietnam e Filippine hanno anche compreso i limiti dell’impegno americano per contenere la Cina, affrettando quindi interazione e cooperazione tra stati di simile mentalità stanchi di una improvvisa riconfigurazione del bilancio di poter e della regione.
Le prime speranze di correzioni multilaterali veloci e decisive sono finora andate deluse. La Cina ha rigettato totalmente la richiesta filippina di arbitrato internazionale sulla base della UNCLOS sulle dispute territoriali nonostante il sostegno pieno dell’Europa e degli USA. Nel frattempo misure multilaterali sotto gli auspici dell’ASEAN non sono riuscite a produrre un codice di condotta vincolante nelle acque della disputa lasciando i membri con una retorica vuota e non vincolante della DOC del 2002 nei mari cinesi meridionali.
Mentre le Filippine hanno velocemente affermato che l’ultimo summit dell’ASEAN hanno segnato un nuovo consenso nel risolvere le dispute, altri stati partecipanti hanno di conseguenza suggerito che non si era raggiunta nessuna posizione definita. Senza il consenso cinese non è chiaro come le parti in questione potrebbero accordarsi a stabilire i contorni rudimentali di un COC vincolante.
Nell’asserire con fermezza di avere sovranità “indisputabile” ed “inerente” sulle caratteristiche marittime in disputa, un linguaggio che mina ogni serio tentativo di disaggregare legalmente le dispute territoriali di vasto raggio, i militari cinesi hanno creato una narrativa di sostegno sul terreno attraverso quello che alcuni analisti strategici definiscono come la “strategia del cavolo”.
La marina cinese di recente ha inviato a sostegno imbarcazioni di sorveglianza a scortare i cosiddetti “pescatori” nelle isolette del mare cinese meridionale. Spalleggiati dalla forza militare cinese e da elementi paramilitari, i pescatori hanno ripetutamente e progressivamente fatto incursioni nelle zone esclusive economiche filippine e vietnamite.
Finora il Vietnam è stato il più attivo e consistente del gruppo nel contenere le tensioni con la Cina. Allo stesso tempo il ruolo americano fu annunciato ad Hanoi sotto la guida dell’ASEAN del Vietnam che includeva anche un riposizionamento forte sullo sviluppo di un codice di condotta vincolante.
Senza sostegno del Vietnam, le Filippine si sarebbero ritrovate isolate dentro un corpo regionale costituito di partner di commercio (Malesia, Singapore e Thailandia) e di alleati strategici (Cambogia e Laos) cinesi, rendendo così difficile a Manila spostare la scala in favore di una posizione dell’ASEAN viso a viso più attiva con la Cina. Conoscendo più di tutti i rischi posti dalle capacità militari cinesi, il Vietnam è stato all’avanguardia degli sforzi per contenere la posizione territoriale cinese battendosi per il sostegno regionale per la soluzione diplomatica delle dispute.
Con la nuova guida dello stagionato diplomatico Minh, l’ASEAN si è ricostituita piano piano dopo il fiasco del Summit in Cambogia che minacciò l’integrità del corpo regionale. Il Brunei che detiene la presidenza di turno, sembra aver risposto positivamente alle iniziative di Minh che hanno ottenuto sostegno considerevole dai membri fondatori come l’Indonesia.
“La tendenza di impegno accresciuto e competizione specie da parte delle grandi potenze non solo offre elementi positivi ma coinvolge anche rischi negativi che ci richiedono di prendere l’iniziativa e lavorare assieme” ha detto il primo ministro vietnamita Dung. “Per costruire la fiducia strategica abbiamo bisogno di seguire la legge internazionale, mantenere alto le responsabilità delle nazioni specialmente le grandi potenze, lavorare per migliorare l’efficienza dei meccanismi di cooperazione della sicurezza multilaterali.”
All’inizio di questo anno, il presidente vietnamita ha tenuto colloqui bilaterali fondamentali con presidente Aquino ai lati del summit, un chiaro segno di coordinamento bilaterale forte sulle dispute del mare cinese meridionale. Il Vietnam quindi gioca un ruolo centrale nell’istituzionalizzare un coordinamento più stretto tra stati simili dando peso ad un nuovo emergente “diamante della sicurezza” nella regione.
Richard Javad Heydarian, Asiatimesonline.com