La Cambogia continua a meravigliare il mondo con il suo ricco ma nascosto patrimonio artistico e storico del suo passato, sepolto da secoli nella folta giungla ancora scampata alla deforestazione selvaggia del suo territorio, come a Preah Kulen.
Il centro di ricerche di archeologia dell’Università di Sydney, sfruttando la tecnologia laser Lidar, ha scoperto una città antica della Cambogia che deve essere sfuggita, fortunatamente, ai tanti saccheggiatori che da decenni si aggirano per le campagne cambogiane. Sepolta nella giungla di una montagna coperta dalla nebbia e dall’umidità, solo questa nuova tecnica montata su un elicottero. ha permesso di far ritornare alla luce la città ed i templi, ancora non toccati dai saccheggiatori, della città di Mahendraparvata che si pensa sia la città che ha fondato Angkor nel IX secolo dopo Cristo.
Questa tecnologia era stata già usata nel 2009 per mettere in luce la coltivazione a terrazzo e la ret di strade della antica città Maya di Caracol nel Belize, e poi anche a Stonehenge e in altri siti archeologici europei.
Quello che gli archeologi hanno riportato alla luce sono molti templi mai scoperti prima e le prove di un sistema di canali antichi, sbarramenti e strade che costituiva Mahendraparvata. A Fairfax Media si deve la registrazione della scoperta dei primi cinque templi dopo una ricerca che ha visto il passaggio in una giungla disseminata di mine, di fiumi gonfi e paludi in una spedizione verso il monte Phnom Kulen a 40 chilometri da Angkor Wat nella Cambogia nordoccidentale.
Mahendraparvata è esistita 350 anni prima di Angkor, rinomato nel mondo che cattura almeno due milioni di visitatori all’anno.
Quello che ha colpito gli archeologi è vedere 36 rovine, già conosciute e registrate per tutta la montagna, ora legate da un dedalo di strade, sbarramenti, piscine e templi suddivisi in blocchi circolari regolari della città, grazie alla tecnologia Lidar che ha permesso di rimuovere tutta la ricresciuta giungla che aveva nei secoli ricoperto e nascosto questo tesoro, nonostante le ripetute ricerche sul campo.
Chi ha guidato nel suo percorso accidentato la spedizione è un ex soldato dei Khmer Rossi, Heng Heap, che vive in un villaggio proprio al centro dell’area scoperta e che dell’area conosce quasi ogni segreto. “Sapevo che c’era qualcosa lì, ma non sapevo che esistesse tutto questo”. Il suo villaggio era un tempo una delle roccaforti dei Khmer Rossi, eppure nessuno ha mai sospettato della ricchezza di questo luogo che negli anni 90 ha vissuto tutto intorno la deforestazione.
Uno dei capi della spedizione, Damian Evans che dirige il Centro dell’Università di Sydney, parla di importanti conseguenze e anche implicazioni rispetto alla società di oggi.
“Dai dati di immagine vediamo un paesaggio che era stato completamente spogliato di vegetazione. Una teoria che studiamo è che il grande impatto di questa deforestazione e la dipendenza dalla gestione delle acque ha portato alla fine di una civilizzazione, diventando così troppo di successo fino a diventare non gestibile.”
Evans aggiunge che non si conosce ancora bene quanto fosse stata vasta Mahendraparvata e che la ricerca in realtà copriva ancora una area ristretta. Una ricerca più approfondita richiede interventi finanziari a sostegno. “Forse quello che vediamo non è la parte centrale della città e quindi c’è tanto lavoro da fare per scoprire l’estensione della civilizzazione”.
Jean Baptiste Chevance, francese ma direttore della Fondazione Archeologia e Sviluppo, di base a Londra, anche lui capo della spedizione, ha detto che si sapeva da varie fonti storiche che un grande guerriero Jayavarman II aveva una capitale sulla montagna ma di cui non si riusciva a capire il quadro complessivo. “Sappiamo dai nuovi dati che la città era connessa da strade, canali e sbarramenti”. Per anni Chevance ed il gruppo di lavoro hanno attraversato la zona, le sue strade, le strutture senza però riuscire a penetrare quel grande segreto custodito dalla vegetazione intricata.
Ora di certo si apre una nuova era di studio sia per gli archeologi che gli storici nella speranza che quelle ricerche ci possano tornare utili in termini di conoscenze di uno dei più grandi imperi e civilizzazioni che ha dominato l’area per almeno sei secoli, o di sfruttamento turistico futuro. Si spera anche che sapere come Mahendraparvata sia scomparsa forse ci aiuterà a comprendere che la deforestazione selvaggia, che colpisce tutto il sudest asiatico, forse deve essere fermata per salvare l’odierna civilizzazione.
Articolo basato sui seguenti articoli di Lindsay Murdoch apparsi su theage e Sydney Morning Herald
Dal sito della Archeology and Development Foundation traduciamo il seguente testo:
Phnom Kulem è sempre stato di grande significato archeologico, culturale e religioso. E’ un importante luogo di pellegrinaggio per i Cambogiani ed uno delle poche restanti foreste tropicali del nordovest cambogiano.
Per i cambogiani, Phnom Kulen è famoso per le sue cascate e i luoghi santi. Le cascate e il tempio Preah Ang Thom con il suo Buddha gigante attrae centinaia di visitatori al giorno che diventano migliaia nelle celebrazioni annuali. Per chi è interessato alla storia di Angkor si suppone che essa sia la culla dell’antico impero Khmer perché fu a Phnom Kulen che Re Jayavarman II proclamò l’indpendenza da Giava nel 802 dell’era cristiana. Era conosciuta durante l’era di Angkor come La Montagna del grande Indra, Mahendraparvata.
Per sottolineare il suo valore ambientale ed assicurare la protezione, nel 1993 oltre 37 mila ettari della montagna furono proclamati area protetta, Parco Nazionale di Kulen. Rappreseenta anche la fonte del fiume Siem Reap che scorre per l’intera Angkor. Nel 2012 l’UNESCO raccomandò che Kulen fosse inclusa nel sito di salvaguardia mondiale di Angkor.
I siti turistici più famosi di Kulen sono il fiume dei Mille Lingas, la statua grande del Buddha come pure l’elefante in pietra di Srah Damrei. Esistono però tanti altri templi e grotte rifugio meno conosciuti ma altrettanto importanti. Ed esistono inoltre grotte naturali che ospitano resti di vari siti preistorici per tutto l’altopiano.
Phnom Kulen, nonostante le sue caratteristiche affascinanti, si trova di fronte a molte sfide quali la popolazione crescente, le mine che ancora disseminano il suo terreno e il diboscamento illegale.