La metafora usata da molti esperti di politica indonesiana è quella del Wayang Kulit o del teatro delle ombre cinesi, adattato ai grandi poemi epici indiani del Ramayana e del Mahabharata
A maggio di quindici anni fa, fu rovesciato il regime del presidente indonesiano Suharto a seguito di tante proteste guidate dagli studenti.
Nel caos violento che pose fine al lungo regno brutale del dittatore, si verificò un’ondata ben organizzata di violenze, stupri e assassini di cinesi nella maggiori città dell’arcipelago, come Giacarta e Surakarta. Fu il battesimo di sangue della nuova democrazia indonesiana.
Oggi quella violenza contro i cinesi sembra un ricordo lontano, a causa del fallimento delle indagini sugli attacchi e sull’incriminazione dei responsabili, ma è chiaro a tutti che le minacce alla sicurezza nazionale sono nascoste sotto la superficie. Tra le forze che minacciano la stabilità della terza democrazia al mondo, che si prepara alle prossime elezioni politiche del 2014, ci sono la confusione sulle forze armate indonesiane e sulla sua missione (anche conosciute come TNI tra i tanti acronimi che circolano); la debolezza del potere civile dello stato; le tensioni etniche, religiose e razziali; la criminalità che cresce; le paure di cospirazione e la capacità dei media di ingigantire i si-dice.
Una metafora, usata da molti esperti ed osservatori per descrivere la politica indonesiana, è quella del Wayang Kulit o del teatro delle ombre cinesi, adattato sui grandi poemi epici indiani del Ramayana e del Mahabharata.
Qui il dalang, o il mastro burattinaio, siede dietro uno schermo. Nascosto dalla vista, manipola tante marionette di cuoio colorate e bellissime e finemente tagliate. Gli ascoltatori siedono dall’altro lato e osservano solo le ombre, e non le marionette stesse, che il dalang con perizia sistema sullo schermo. L’arte è una metafora spirituale per l’incapacità umana a comprendere totalmente il mondo del divino, secondo l’insegnamento induista e buddista, che erano, misti con l’animismo, la fede dell’Indonesia prima dell’arrivo dell’Islam.
Per noi il Wayang Kulit è utile per avvicinarci alla politica indonesiana, come se ci sia sempre un gioco più profondo ed un mastro burattinaio, con cospirazioni reali o immaginate che sino la vera realtà incomprensibile ai meri mortali.
L’ultimissimo dramma delle marionette è iniziato con vari momenti di violenza scioccante nella normale e tollerante Yogiacarta, conosciuta e amata nell’arcipelago per i suoi abitanti educati e calmi, per le sue università e il sultano Hamengkubuwono X che gode di autonomia considerevole e che è patrono delle arti tra le quali c’è il wayang kulit.
Le manifestazioni del Wayang Kulit hanno sempre la scena della battaglia. Gli spettatori iniziali sono spesso sorpresi dalla capacità dei mastri burattinai di talento a rendere una guerra delle ombre. Nella nostra storia la violenza inizia con una violenza da bar. Alle due e mezza di notte del 19 marzo un gruppo di uomini picchia, scalcia e uccide a morte un certo Heru Santoso presso Hugo’s Café, un nightclub presso lo Sheraton Hotel, famoso per le droghe, la prostituzione e l’alcol a fiumi. Sebbene l’Indonesia abbia la più grande popolazione musulmana al mondo e la birra, immaginarsi poi gli alcolici forti, sia difficile da trovare nei piccoli minimart di Giogiacarta, Hugo’s Café e qualche altra grande discoteca offrono all’elite facoltosa, molti dei cui figli dei nuovi ricchi di Giacarta inviati a studiare in strutture private costosissime ma non rigorose, tante bottiglie di whisky da 150 dollari.
Al suo arrivo la polizia fermò i soliti sospetti. Nessuno si dimostrò sorpreso di sapere che i quattro uomini arrestati provenivano tutti da Nusantara Timor (NTT), l’isola più piccola, povera e arida dell’arcipelago meridionale. I giavanesi del posto associano gli abitanti di NTT col crimine organizzato. Qui il volto pubblico della mafia è spesso la figura del preman, un termine ricavato dall’olandese che si può tradurre come criminale e si applica agli uomini che danno i muscoli per le imprese criminali maggiori che gestiscono il giro della droga e dei parcheggi sulle grandi strade.
Spesso i preman lavorano come buttafuori presso nightclub e bar. Importante è che i giavanesi considerano gli NTT, criminali o meno, come dei forestieri. Di pelle più scura e capelli ricci, dalla lingua che non è l’indonesiano ma uno dei 700 dialetti indonesiani, cattolici o protestanti perché convertiti dai portoghesi o dagli olandesi loro colonizzatori vari secoli prima, i giovani uomini NTT sono segnati dalle differenze religiose, etniche e linguistiche e percepiti dal più grande gruppo etnico indonesiano, i giavanesi, con sospetto.
La trama si arricchiva man mano che emergevano più dettagli sugli accusati e la vittima. A conferma dei pregiudizi giavanesi, tutti i sospettati provenivano da NTT ed uno, Hendrik Benjamin, conosciuto come Sahetapi Diki Ambon, aveva avuto legami ai preman e precedenti per stupro ed assassinio. Sorprendentemente comunque un altro sospettato Yohanes Juan Manbait era un poliziotto di Giogia. Mentre i rapporti e le dichiarazioni ufficiali sono vaghi e contraddittori, Juan era stato chiaramente prosciolto dalla accusa di traffico di metanfetamina, usata dappertutto nel sudestasiatico, ma aveva potuto mantenere i gradi.
Anche la vittima era importante. Heru Sentosa era un sergente nel Kopassus, l’elite dei berretti rossi delle unità speciali indonesiane che gode legami stretti ai vecchi generali e alle figure politiche come il presidente Yudhoyono e il candidato dell’opposizione Prabowo Subianto. Storicamente Kopassus giocò un ruolo fondamentale nei massacri anticomunisti del 1965 e nelle operazioni contro l’insorgenza a Timor Este ed Aceh.
Queste rivelazioni hanno fatto sollevare molti sospetti dal momento che le tensioni tra TNI e la Polizia (POLRI) erano già ad un punto di rottura. Una settimana prima a Sumatra, un numero imprecisato di soldati aveva lanciato un assalto ad un posto di polizia dopo che un ufficiale aveva ucciso un membro del TNI causando ferite e bruciando la stazione di polizia. L’ufficiale del POLRI è stato quindi ritenuto colpevole di omicidio e ha ricevuto una condanna di 12 anni (ma senza una parola sui soldati che hanno lanciato l’attacco). Le autorità di Giogia ebbero paura di una azione di vendetta simile. Eppure qualcuno ordinò che i prigionieri fossero spostati dalla prigione centrale della polizia alla prigione di Cebongan nella periferia di Sleman. Il capo burattinaio resta anonimo.
Questi scontri tra TNI e POLRI sono indicativi di una più grande questione di violenza nazionale. Il regime del Nuovo Ordine di Suharto pose sotto uno stesso comando la polizia e le forze armate con la polizia come partner minore. Il TNI assunse un ruolo potente nella politica nazionale in seguito ad un fallito colpo di stato di un piccolo gruppo di ufficiali dissidenti, lontanamente associati al partito comunista indonesiano, che uccise sei generali importanti del paese.
Chiedendo la vendetta per le morti dei suoi superiori il Generale Suharto assunse il comando e incoraggiò una campagna popolare di violenza contro i militanti del partito comunista indonesiano e le organizzazioni vicine. Mentre c’era violenza da parte di gruppi studenteschi e religiosi, il TNI e specie i Kopassus, giocarono un ruolo guida nell’omicidio di un numero di comunisti che va da 500 mila ad un milione tra la fine del 1965 e il 1966.
Per giustificare la sua funzione ed istituzionalizzare il governo militare, Suharto promosse l’ideologia del Dwifungsi (Funzione duale) che chiedeva al TNI un ruolo attivo nella politica, sui problemi sociali, le faccende economiche, oltre che a proteggere la nazione. Il risultato che ne conseguì fu che i militari non solo soppressero le minacce alla sicurezza nazionale come gli scioperi dei lavoratori, le rivolte separatiste di Aceh e Timor Est, i radicali islamici e il movimento studentesco, ma misero dei loro rappresentanti in Parlamento. I militari del Dwifungsi istituzionalizzarono la corruzione, gestirono segmenti dell’economia usando la forza per eliminare i propri rivali di affari. Le basi militari proliferarono e la presenza del TNI si sentì in tutto l’arcipelago di oltre 17 mila isole. Col ritorno alla democrazia nel 1998, il nuovo governo chiarì che l’esercito doveva ritornare nei propri campi e essere attenti alla difesa delle frontiere.
Nel frattempo POLRI fu posta sotto controllo civile col mandato della sicurezza interna. Questo non è accaduto. Quando la polizia ha provato ad affermarsi, i loro più grandi ed equipaggiati rivali li hanno schiacciati giù.
Erao queste le ombre che danzavano sui muri della prigione di Cebongang questo marzo facendo impaurire tante persone. Accadde la notte del 23 di marzo quando almeno undici uomini, vestiti di nero ed armati di tutte le armi migliori del momento e dei sistemi di comunicazione migliori, si fecero strada con la forza nella prigione di Cebongang.
All’inizio, quando affermarono di essere poliziotti che volevano interrogare i sospettati, fu negato loro l’ingresso, ma poi minacciarono di far saltare l’edificio con l’esplosivo e le guardie impaurite li fecero entrare, finendo poi picchiati e incatenati. Mentre uno degli incursori cronometrava il tempo, il resto del gruppo si mise alla ricerca dei sospettati. Dopo che furono uccisi, si dice che gli altri prigionieri furono costretti quindi ad applaudire e a ringraziare gli assassini. Uscendosene, il gruppo per cancellare le proprie tracce distrusse il sistema di sorveglianza e rimosse la registrazione video. Il tutto durò appena 15 minuti. Non ci volle una conoscenza nelle questioni militari per comprendere che era un colpo da professionisti.
Le immagini vivide del bagno di sangue scioccarono Jogiacarta e l’Indonesia tutta. Chi era il dalang, il mastro burattinaio, che ordinò, organizzò e finanziò gli assassini? Teorie cospiratorie e dicerie erano forti anche sui social media. Era una guerra tra bande dei preman? Uno scandalo della droga? Era una mera vendetta o persone che sapevano troppo e dovevano essere messe a tacere? Avrebbe portato questo ad altri scontri tra POLRI e TNI? Le autorità militari negarono il coinvolgimento di soldati. I ministri dei diritti umani e della giustizia visitarono il luogo ed iniziarono le indagini. I cinici fecero spallucce dicendo che erano cose solite, la sola differenza è che il pubblico scoprì la verità sui social media. Il sultano opinò che l’intera tragedia fosse dovuta a conflitti etnici e invitò a dormitori multi etnici e multiculturali per una migliore integrazione della città. I giornali riportavano attacchi contro giovani NTT a Giogia.
Quindi il 29 marzo il capo delle forze armate Pramono Edhie Wibowo tenne una conferenza stampa sul normalmente calmo venerdì santo (L’Indonesia osserva le festività più importanti di tutte le religioni dell’arcipelago). In un incredibile giro degli eventi il pubblico riuscì ad avere un’idea di quello che accadeva dietro lo schermo, mentre i generali cambiavano le prime dichiarazioni di diniego del TNI e affermavano che gli assassini erano davvero membri attivi di Kopassus.
Nella più completa incredulità i generali finirono per vantare gli uomini. Wibowo, figlio del generale ritenuto il comandante più efferato nell’esecuzione dei massacri anticomunisti del 1965, vantò gli uomini per aver vendicato la morte di un loro capo. Sostenne che loro incarnavano i migliori elementi di moralità militare come la lealtà, la coesione e la disciplina. Annunciò anche che si erano consegnati volontariamente ai loro superiori e che quindi sarebbero andati incontro alla corte marziale.
Il processo fu tenuto dalla polizia militare della divisione Diponegoro con poche notizie pubbliche sui sospettati e con condanne che coprivano l’attacco ma non gli omicidi. Con vaghe dichiarazioni del TNI e POLRI furono trasferiti presso altre città. Mentre gli osservatori dei diritti umani e cittadini preoccupati gemevano per la frustrazione e i governi australiano e americano esprimevano profonda preoccupazione per la faccenda, molti si chiedevano se i soldati avrebbero davvero visto la giustizia. Altri sostenevano che i militari si ponevano al di sopra della legge.
Sui social media si ravvivò del sostegno verso gli assassini, salutati come eroi che salvavano la città dalle minacce criminali degli alieni, e molti commenti contenevano un razzismo implicitp ed esplicito verso gli abitanti NTT. Gli omicidi della prigione di Cebongan furono paragonati favorevolmente agli omicidi Petrus degli anni 80, vale a dire “tiratori misteriosi”, che videro esecuzioni sommarie di migliaia di preman sospetti i cui corpi erano buttati in pubblico per terrorizzare i loro amici.
In opposizione sono cominciati ad apparire questo mese esempi di arte di strada a Giogia. Qui gli artisti di graffiti celebrati e famosi della città mettevano sullo stesso piano le guardie di Kopassus e le vittime preman, avvisando tutti noi ad essere attenti ad entrambi i gruppi di uomini armati.
Questo marzo la pazzia ha portato insieme tante delle sfide alla sicurezza e alla stabilità nazionale indonesiana. Queste tensioni si ingrandiranno soltanto mentre la nazione entra un anno elettorale con un elettorato profondamente diviso e poche figure politiche che godono di un sostegno vasto. Mentre tanti delle marionette sono sotto custodia in una base militare, il dalang resta misteriosamente nascosto dietro lo schermo lasciandoci vedere solo le ombre che lui desidera farci vedere. Forse l’ombra più rabbrividente per la giovane democrazia è quella gettata oltre tre decenni fa di governo militare e di violenza extra legale sotto il generale sorridente Suharto.
Michael Vann, Thediplomat