Oggi è cominciato il Ramadan nel meridione Thailandese di Yala, Pattani e Narathiwat con la speranza, sorta negli ultimi colloqui di pace tenutisi a Kuala Lumpur, che almeno in queste mese sacro alla comunità musulmana si possa avere una attenuazione degli atti di insorgenza che dal 2004 hanno fatto oltre 5300 morti.
Durante quei colloqui furono fatte delle richieste prontamente respinte dal governo, per lo meno in via ufficiale, ma sicuramente ci sono movimenti che fanno capire che la realtà è ben più complessa e delicata, considerato il quadro ancora poco delineato dell’insorgenza, del peso del BRN sui comandanti sul terreno, del ruolo delle forze di sicurezza e sulla volontà di chi non sta nei colloqui.
In quei colloqui si ventilò la possibilità di una riduzione della violenza ma non fu segnato nessun accordo ed il BRN ha detto più volte che i colloqui tra il movimento di liberazione Pattani e i “colonialisti siamesi” possono ancora prendere vari anni prima di giungere ad una conclusione.
Nel frattempo continua a farsi sentire un’opposizione ai colloqui di pace attraverso vari manifesti e poster per le strade delle tre province meridionali in cui si definisce il “colonialismo siamese” come crudele, distruttivo, ingannatore e maligno” proprio il giorno prima dell’inizio del Ramadan.
Ma da parte thailandese non si dispera e sono in atto movimenti che sottintendono gesti di buona volontà. La figura religiosa musulmana riconosciuta dallo stato thailandese, Chularatchamontri, Aziz Phitakkumpon ha invitato il governo a ridurre le operazioni di sicurezza nelle tre province, appello che il presidente del NCS Paradorn ha invitato a seguire. Il portavoce della regione militare meridionale Colonnello Pramote ha detto che l’esercito non ritornerà nelle basi ma ridurrà le intensità delle operazioni come la ricerca dei militanti ed il controllo dei sospettati. “Le autorità non hanno mai adottato approcci violenti. Abbiamo portato avanti operazione strettamente sotto la legge e i principi dei diritti umani” ha detto Pramote, ad indicare che non si vuole allentare la rete di sicurezza o semplicemente che durante il Ramadan la vita deve essere sancita ancora dalla paura.
Un altro atto è stato il cambio di trattamento per detenuti accusati di far parte dell’insorgenza. In precedenza erano tutti in carcere lontano dalle province meridionali, prevalentemente attorno a Bangkok. Ora 54 di essi sono stati trasferiti in prigioni prossime alle loro famiglie in preparazione del mese santo del Ramadan.
In precedenza il Centro Amministrativo delle province della frontiera meridionale (SBPAC) aveva convocato i familiari dei detenuti e li aveva condotti a Bangkok per fare visita ai propri detenuti, cosa che la moglie di Kosem Jehloh, uno dei rappresentanti storici del PULO, ha gradito: “Raramente gli faccio visita a Bangkok. Alcune settimane fa il SBPAC ha portato i familiari dei detenuti per incontrarli, e ne sono molto grata.”
Kosem nel 2008 era stato scagionato da una corte penale di una serie di accuse come tradimento, separatismo, sabotaggio e istigazione alla violenza nonché di incendio per vari fatti tra il 1968 e il 1998. La corte di appello invece capovolse la sentenza condannandolo a morte nel giugno 2012, sentenza che poi è stata commutata col carcere a vita per la sua testimonianza che è stata considerata utile. Alla sentenza la famiglia ha fatto appello alla corte suprema ma gli è stata negata la cauzione e la moglie spera che Kosem possa essere trasferito in una prigione nel meridione per poterlo visitare.
La moglie di un altro detenuto, Matayeh Pohsa, è stata fortunata perché suo marito è stato trasferito nella provincia di Narathiwat, Chai Ai Rong, uno dei distretti più caldi della provincia. Mtayeh era stato condannato ad otto anni di carcere per aver istigato la gente a commettere nel 2009 atti terroristici, ma non ha fatto appello considerato che ha già scontato metà della pena.
Insieme a Kosem e Matayeh sono undici i prigionieri portati nelle province musulmane, mentre altri 43 già si trovavano in loco. In precedenza il ministero della giustizia aveva permesso un cambio di status nelle carceri di Songkla e Narathiwat per poter tenere prigionieri che devono scontare da 15 anni alla prigione a vita o persino alla condanna a morte. Le prigioni di Pattani e Yala dove si inviavano detenuti oltre i venti anni di carcere da scontare possono ora accomodare anche chi deve scontare da 15 a 30 anni di carcere. Simili cambi si sono avuti anche per altre prigioni delle tre province.
Il governo e il NCS sono chiaramente intenti a vedere se il BRN osserverà un cessate il fuoco durante il mese del Ramadan su cui il generale Paradorn dice che si è raggiunto un accordo secondo il quale il primo giorno del Ramadan sarebbe il primo giorno del cessate il fuoco. Le due parti si sarebbero scambiate le richieste specifiche nei giorni a seguire.
Secondo l’accordo se ci fosse una violazione del Ramadan le due parti entrerebbero in comunicazione entro le 48 ore attraverso la Malesia. Nel caso dell’insorgenza, lo stato thai chiederebbe come mai non è riuscito a contenere l’attacco e chi erano gli insorgenti in quel caso e come si sarebbe dovuto comportare lo stato.
Su quello che è passato negli ultimi colloqui nulla è chiaro. Si attendeva una conferenza stampa del BRN per chiarire i dettagli dell’accordo, ma la conferenza non c’è stata. Si pensa che la richiesta del BRN di non avere posti di blocco per questo periodo non sia stata accettata dai thailandesi che invece continuavano a chiedere di perquisire le persone individualmente.
A livello politico internazionale c’è stato invece un buon passo in avanti con l’incontro tra il presidente della OIC Ekmeleddin Ihsanoglu e Yingluck Shinawatra ad Istanbul, il primo in assoluto dell’OIC ed un capo di stato thailandese. Durante questo incontro il presidente dell’OIC ha promesso il proprio sostegno ai colloqui di pace ed ha invitato il governo thailandese ad accelerare la fase della costruzioni delle misure di fiducia tra le parti. Ha invitato ad affrontare le radici del conflitto con un approccio comprensivo in cui la popolazione locale assuma le proprie responsabilità dei propri affari locali e delle risorse nel pieno esercizio delle specificità linguistiche e culturali, ma nel pieno rispetto della costituzione e dell’integrità territoriale della Thailandia.
Salutando gli sforzi che la Thailandia sta facendo in cooperazione con la Malesia con questi colloqui iniziali di pace, ha invitato ad un dialogo costruttivo col BRN, “una delle fazioni di opposizione, per sviluppare un percorso che risolva i problemi attraverso il dialogo” nella speranza che si possano aggiungere altri attori e frazioni della comunità musulmana del meridione. Il presidente dell’OIC ha dato la propria disponibilità alla costruzione delle misure di confidenza come la costruzione di uno sviluppo della regione con finanziamenti della Banca di Sviluppo Islamica e di iniziative di dialogo.
Il primo ministro Yingluck, dopo aver mostrato i passi in avanti compiuti dall’amministrazione Thailandese, ha detto di attendersi un sostegno dell’OIC ai colloqui di pace. Ma la richiesta del BRN che l’OIC sia un osservatore dei colloqui di pace non è stata affrontata, segno di qualche ritrosia dello stato thailandese ed evitare una possibile “internazionalizzazione” della questione meridionale.
Certamente il capo del pannello di pace del BRN, Taib, aveva ragione nel dire che forse ci vorranno anni per arrivare alla pace. L’esperienza filippina è passata tra alti e bassi, da momenti in cui si pensava di aver raggiunto qualcosa di sostanziale, a momenti in cui si è ritornati alla guerra totale. Ci sono voluti decenni di morte e di guerra per arrivare al punto di fare quelle concessioni che l’altro può accettare. Forse in Thailandia si è soli all’inizio di una strada ancora lunga e irta di pericoli che può essere percorsa solo se entrambe le parti si rendono conto che l’unica vittoria è la pace ed il riconoscimento dell’Altro.