Doveva essere la Marcia di un milione di persone oggi a Manila per protestare contro la insita corruzione del Pork Barrel del sistema politico filippino.
Sebbene i numeri non siano quelli, è stata comunque la più grande manifestazione da quando Aquino è stato eletto nel 2010 su una piattaforma contro la corruzione che ha raccolto manifestanti di tutte classi sociali e che dimostra come ha detto un manifestante su Twitter “I filippini sono ora una popolazione moderna e questa manifestazione ne è la prova che non possiamo essere più presi in giro dai nostri capi”.
Erano presenti cittadini della classe media, uomini di affari, gente ordinaria, gente della chiesa. Ad un certo momento è resuscitato e si è presentato l’ex capo della Corte Suprema Renato Corona che però, dopo aver avuto le interviste della stampa, è stato costretto ad allontanarsi perché non accettato. Un tempo troppo breve è passato dalla sua messa sotto accusa perché la gente dimenticasse chi fosse.
Manifestazioni simili si sono però avute in tante altre parti delle Filippine a testimoniare come la rabbia e lo scontento non sia solo di Manila e che la protesta rappresenta solo l’inizio di qualcosa di nuovo per il panorama filippino.
Se a portare questa grande folla in piazza sono stati vari articoli dei media sullo scandalo di vari politici che si sono appropriati di oltre dieci miliardi di peso di fondi destinati agli elettori, è vero anche che la corruzione e lo sdegno che esso crea sono diventati troppo grandi.
E a rafforzare questo sdegno è stata la politica dello stesso presidente Aquino che all’inizio ha difeso il PDAF, la gestione dei fondi pubblici, sebbene non i corrotti, per poi cambiare idea e dirsi d’accordo per abolire il PDAF specificando però che sarebbe accaduto per l’anno 2015, mentre l’anno 2014 dovrebbe vedere una gestione tutta diversa dei fondi che peraltro saranno fortemente accresciuti.
Quello che è in gioco è la possibilità dei politici di controllare i progetti che per molti è inaccettabile: i parlamentari devono fare la legge e non scegliere i progetti e finanziarli perché diventa un modo per finanziare il sistema del patronato-cliente fondamentale alla politica filippina.
Ma la discussione è ancora forte e le opinioni contrastanti anche all’interno di uno schieramento contro la corruzione. Portiamo qui un articolo di un altro commentatore, Cielito Habito, che risponde un po’ a quello di Randy David apparso qui recentemente.
“Addio PDAF, conosciuto come pork barrel del congresso. Dopo la recente affermazione di Aquino sul problema, è stato dichiarato che sebbene in un modo attenuato, “il PDAF per come lo si conosce cesserà di esistere”. Molti avevano sperato che ce ne saremmo potuti completamente liberare. Ma dall’affermazione del governo è chiaro che i legislatori non saranno confinati a fare quello per cui sono eletti che è fare l e leggi, e lasciare l’identificazione dei progetti e la loro esecuzione a chi appartiene: al ramo esecutivo. Per quello esistono i governatori, i sindaci, i capitani del Barangay insieme agli uffici locali e regionali delle agenzie nazionali a vari livelli.
Il professore Randy David afferma che l’autorità dei legislatori sulla finanziaria è confinata al rivedere le proposte proposte dall’esecutivo, analizzando e dibattendo la sua visione generale, le priorità e non permettendo appropriazioni ingiustificabili. Non è estesa al livello di allocazione di specifici progetti sul terreno tanto da dare discrezione di assegnare denaro per i loro miseri progetti, contraenti, beneficiari. Questa è la ragione per cui suona strano quando si razionalizza il PDAF in modo da “permettere ai vostri rappresentanti di identificare progetti per le vostre comunità che le unità di governo locale non possono permettersi”. Devo ancora trovare chi crede che “i nostri rappresentanti” siano ben preparati a identificare progetti appropriati per le nostre comunità degli ufficiali esecutivi citati prima, o delle comunità stesse.
David nota che sarebbe la reale ragione proprio la riluttanza del presidente a togliere il PDAF integralmente. “E’ un sistema esplicitamente inventato per accomodare i politici nel loro ruolo di patroni.. in assenza di un forte sistema di partiti politici, il potere di rilasciare o detenere cifre del PDAF, o in qualunque delle sue forme passate e future, offre all’esecutivo un’opzione forte nel trattare con il congresso.” Alla fine il vero ragionamento sul PDAF è politico piuttosto che sostanziale. Non deve essere questo preso in luce negativa; il sostegno politico del congresso è dopo tutto fondamentale per l’efficacia del buon esecutivo che prova a spingere per riforme giuste.
Mettendo da parte le giustificazioni politiche, l’efficace allocazione delle risorse per bisogni prioritari delle nostre comunità non hanno bisogno di essere costretti dalla grandezza della porzione di tasse assegnate al governo locale tanto da necessitare la chiamata al legislatore del luogo.
Gli RDC, consigli di sviluppo regionale, sono organi collegiali che mettono insieme le agenzie regionali, i rappresentanti locali e i rappresentanti non governativi, e devono per legge aiutare a rendere prioritarie le allocazioni della finanziaria nazionale per affrontare i gap di risorse nazionali e locali.
In teoria le RDC come anche i LDC, consigli di sviluppo locale, dovrebbero poter definire molto meglio di ogni politico i bisogni prioritari a livello di base e le richieste finanziarie conseguenti. Nella pratica attuale però ho sentito membri del RDC esprimere la propria frustrazione che i propri esercizi di priorità della finanziaria negli anni avevano poche conseguenze, escluse da amministrazioni con attitudine di governo dall’alto. Nel frattempo i consigli locali di sviluppo sono raramente riuniti e mobilitati specialmente dove gli esecutivi locali non sono attenti a condividere la responsabilità del buon governo con i loro veri “capi”, la loro base popolare.
Eppure questo non giustifica tirare per la cravatta i legislatori e far fare loro quello che non compete. Abbiamo ora un governo che sembra largamente fidato per fare le cose giuste. Se non altro, quello che il presidente Aquino e l’esecutivo devono fare con più vigore è assicurare che questi meccanismi per il governo partecipato siano fatti lavorare per come devono. Ed un aspetto critico è la finanza di partecipazione che il governo ora persegue attraverso l’approccio da Finanza dal Basso.
Si cita molto il Brasile per la sua sperimentazione in questo campo con il primo completo processo di finanza di partecipazione in Porto Alegre a cominciare nel 1989. Il processo si ha ogni anno con una serie di assemblee di vicinato, cittadine e regionali dove i residenti e i delegati eletti identificano e votano sulle priorità di spesa per l’implementazione. Circa 50 mila residenti di varie estrazioni economiche e politiche e sociali, su una città di un milione e mezzo di abitanti, prende parte al processo di finanza di partecipazione mentre il loro numero cresce. Il processo si è diffuso a 140 città del Brasile ed a tante altre cittadine del mondo. Gli approcci internazionali cambiano secondo i contesti locali ma aderiscono al modello fondamentale di Porto Alegre.
Tornando qui nelle Filippine, il ministero della finanza ha lavorato con la Commissione contro la povertà, il ministero degli interni e dello sviluppo sociale per mettere in atto la Finanza dal Basso. In una circolare memorandum congiunto, le quattro agenzie adottano la Finanza dal Basso come meccanismo per assicurare l’inclusione di richieste di finanziamento per i bisogni di sviluppo di circa 1233 città e municipalità nelle proposte di budget di importanti agenzie nazionali. Il processo invoca la saggezza collettiva di ogni partecipante compresi e specialmente quelli nelle comunità interessate direttamente.
Tra il dare una continuata discrezione ai legislatori per identificare i progetti prioritari e ingrandire la scala dell’approccio di Finanza dal Basso a livello nazionale per affrontare gli stessi obiettivi, l’ultimo rappresenta l’eredità. Ben venuto Finanza dal Basso, addio PDAF? Si può solo sperare.”