Le piantagioni e le industrie di trasformazione dell’ olio di palma indonesiano sono diventate delle industrie strategiche per l’Indonesia.
L’olio di palma è il terzo prodotto d’esportazione maggiore e contribuisce in modo sostanziale alle entrate in valuta pregiata dando al contempo opportunità per agricoltori di piccola scala di partecipare a questo spezzone vibrante dell’agroindustria, contribuendo così allo sviluppo dell’economia rurale e all’impiego. Nel sudest asiatico l’olio di palma è una merce tradizionale che risale al periodo coloniale. Ma negli anni 80 la richiesta incredibilmente alta di questo prodotto, utilizzato come alimento, nella cosmetica e nei biocarburanti, ha condotto a piantagioni su scala industriale specie nelle isole del Kalimantano e Sumatra per il loro clima favorevole e il suolo fertile e argilloso.
Nel 2008 l’Indonesia rimpiazzò la Malesia come principale esportatore di olio di palma in seguito a vari programmi gestiti dallo stato, come la privatizzazione di piantagioni gestite dallo stato, per incrementare la produzione di olio di palma. Annualmente la produzione raggiunge i 25 milioni di tonnellate con sei milioni di ettari a piantagione: metà della produzione mondiale che comporta il 5% del PIL annuale lordo. Questo successo è da ascrivere anche all’apertura dell’industria all’investimento estero, con Malesia e Singapore tra i maggiori investitori. Attraverso investimenti singoli e imprese insieme a compagnie locali, i due paesi controllano più dei due terzi della produzione totale indonesiana di olio di palma.
Questo contesto fornisce una correlazione irriducibile tra gli investimenti malesi e singaporeani e i gli incendi nelle foreste causate dal metodo taglia-e-brucia tradizionale, a basso costo e conveniente, usato dai coltivatori per ripulire la terra per un veloce cambio di coltivazione. Quest’anno in particolare la nebbia di fumo proveniente da Sumatra ha causato anche un impatto maggiore sulla Malesia e su Singapore, in termini di perdita economica e potenziale pericolo per la salute a causa del pericoloso livello degli inquinanti raggiunto, con la Malesia che ha persino dichiarato uno stato di emergenza nello stato meridionale di Johor.
Così quando Malesia e Singapore hanno condannato gli agricoltori indonesiani sembravano non guardare il fatto che le imprese private loro giocavano un ruolo enorme nello scoppio della foschia. Responsabile di questo problema transnazionale è una crisi di buon governo.
L’Indonesia ha una legislazione che proibisce questo metodo di coltivazione di taglia-e-brucia. L’articolo 78 della legge forestale del 1999 afferma che chiunque sia trovato colpevole di bruciare foreste è soggetto ad una pena fino a 15 anni di carcere con multe fino a 520 mila dollari. Allo stesso tempo il Kalimantano centrale ha emesso nel 2008 un suo proprio regolamento che permetteva un incendio controllato da parte di piccoli agricoltori. Il ragionamento alla base è che un divieto completo colpirebbe in modo negativo i piccoli agricoltori e colpire la produzione di riso della provincia.
Una domanda da affrontare è come mai i gestori di ditte commerciali di olio di palma in Indonesia continuano a porre una minaccia all’ambiente ed all’economia regionale. Secondo uno studio di Helena Varkkey, la regionalizzazione del settore dell’olio di palma ha foggiato una coltura politica caratterizzata da un sistema di patronato molto forte e radicato. In debito verso una cultura simile di politica da patronato condivisa, la Malesia e Singapore si inserirono con successo nel giro di patronato esistente in Indonesia che opera anche in industrie fondamentali come l’olio di palma.
In questo settore, il sistema del patronato serve come una struttura essenziale ce coinvolge la produzione, il marketing e la distribuzione, mentre mette in rete attori significativi per facilitare la loro impresa attraverso meccanismi legittimi come il consorzio di olio di palma indonesiano. Questi consorzi di norma consistono di produttori locali, burocrati anziani e uomini di affari influenti che hanno creato legami stretti con i capi politici nazionali. Per esempio nel caso indonesiano, un politico influente gioca un ruolo fondamentale nelle decisioni chiave in un gruppo che gestisce una grande impresa di olio di palma. Queste decisioni potrebbero avere un grandissimo impatto sull’industria nazionale. Per le imprese estere, è imperativo creare dei legami con gli individui o le istituzioni potenti per entrare nel campo.
Varkkey spiega che varie compagnie malesi che sono nel campo dell’agroindustria dell’olio di palma sono investitori importanti con legami con autorità indonesiane.
Le imprese di Singapore, negli anni recenti, sono emerse come attori dell’industria indonesiana ed alcune di queste multinazionali sono diventate tra i più grandi produttori di olio di palma basati in Indonesia. Di norma, i loro consigli di amministrazione consistono di personalità di Singapore di rango elevato della politica e degli affari. Come esempio del sistema di patronato esistente, molte compagnie indonesiane hanno guadagnato benefici dal trattato di investimento malese indonesiano nel 1997 quando l’Indonesia prometteva di allocare 1 milione e mezzo di ettari di terra agli investitori malesi per lo sviluppo di olio di palma indonesiano.
Seguendo il sistema di patronato indonesiano, le imprese malesi e di Singapore hanno scoperto il bisogno di costruire relazioni con gli uomini forti locali e capi nazionali del paese. Dall’istituire società sussidiarie e guadagnandosi licenze per la produzione e diritti di proprietà per terre di piantagione, al nominare figure indonesiane influenti nelle proprie amministrazioni, le compagnie malesi e di Singapore hanno ulteriormente legato la politica da patronato con l’industria. Connessioni forti con i capi nazionali possono aiutare a lubrificare tutti i tipi di transazione.
I terreni torbosi sono adatti alla produzione dell’olio di palma e allo stesso tempo estremamente facili a prendere fuoco. Sotto queste condizioni particolarissime il governo indonesiano emise la legislazione del 1999 per poter controllare le proporzioni dei terreni torbosi usati per l’olio di palma indonesiano e per il divieto dei metodi taglia-e-brucia.
Spesso tale legge è ignorata semplicemente a causa delle protezioni offerte alle imprese dalle persone influenti dentro il governo indonesiano e per una mancanza di controllo di applicazione. Quindi le piantagioni preferiscono bruciare invece di un approccio meccanico più costoso e sconveniente di ripulire il suolo basato sull’uso di macchinari meccanici.
La Duta Palma indonesiana è una delle compagnie conosciuta per il suo cattivo passato di incendi illegali secondo la Varkke. E tanti politici restano in silenzio o mostrano indifferenza quando il fumo ha colpito Singapore e la Malesia a giugno, mentre qualcuno diceva a Singapore di smetterla di comportarsi da bambino.
Alcune agenzie statali indonesiane, come la commissione contro la Corruzione, lavora in modo stretto con una ONG, Indoensia Corruption Watch, in un certo numero di casi che coinvolgono compagnie estere e presunte ripuliture illegali di suoli. Ma i loro sforzi urtano contro un muro nelle corti indonesiane. Invece di agire in nome del buon governo, le corti scelgono di proteggere il potente nell’industria in cui hanno interessi particolari. Nel 2010 una piantagione indonesiana non nominata fu portata in tribunale, ma il processo fu bloccato prima che potesse giungere al livello superiore del processo.
Le intricate connessioni transfrontaliere dentro l’industria dell’ olio di palma creano una situazione bruttissima e ancora più importante una crisi del buon governo nel sudest asiatico. Nell’invocare la possibilità di fare i nomi di chi inquina e di trovare il capro espiatorio, Malesia, Indonesia e Singapore hanno iniziato un esercizio di retorica. In realtà tutte le parti stanno sfuggendo alla domanda reale, imbarazzati di dover parlare troppo a fondo nelle radici dei loro problemi condivisi.
Pavin Chachavalpongpun, insegna presso il centro per gli studi sul sudest asiatico dell’università di Kyoto. Tratto da The nation