Il concetto di sicurezza umana è una cosa alquanto nuova causa della concentrazione esagerata sulla sicurezza dello stato-nazione.
La costruzione del discorso della “sicurezza” in Birmania è arbitraria, poiché è stata forgiata e riforgiata secondo i differenti interessi di potere della elite birmana. Lo stato diventa equivalente alla nazione. Quindi la sicurezza della nazione è uguale alla sicurezza del regime. Gli studiosi spiegano questo attraverso il paradigma della sicurezza centrata sull’agente, secondo cui la sicurezza è una componente essenziale della sovranità assoluta e pietra angolare dell’interesse nazionale. Ponte la sicurezza dello stato nazione al centro dell’analisi.
Da questo punto di vista lo stato è sempre preoccupato del bisogno di proteggere la sovranità nazionale e l’integrità del territorio nazionale dai nemici stranieri e nazionali. Internamente la stabilità politica e l’ordine sociale è imperativo. La priorità è stata di assicurare la sicurezza assegnando ai militari un ruolo primario nella salvaguardia dello stato nazione.
Nel caso della Birmania, vari fattori sono responsabili per l’esistenza della centralità dello stato nella sicurezza. Dalla memoria amara della colonizzazione britannica, la guerra civile lungo tutto il periodo della guerra fredda, fino alle infinite insorgenze etniche, il discorso della sicurezza nominava lo stato come la più importante delle istituzioni capaci di difendere il paese. Questo spiega perché il governo militare in Birmania era resistito effettivamente perché la giunta affermava di proteggere la sicurezza nazionale; eppure quello che esattamente proteggevano restava oscuro.
Maung Zarni disegna un quadro di insieme utile nell’esplorare la relazione tra sicurezza umana in Birmania e nella versione occidentale. Discute che ci sono tre discorsi di “sicurezza” adottata dall’occidente. Esse sono: sicurezza nazionale, sicurezza globale e sicurezza umana. Mentre i primi due tipi di sicurezza hanno ottenuto molta attenzione dai governi occidentali essenzialmente a causa dei loro interessi coinvolti, l’ultima è stata spesso ignorata anche quando proponevano i diritti umani in Birmania.
La difesa occidentale della sicurezza in Birmania si è pesantemente accentrata sugli interessi esterni nella durata del regime e il modo in cui tale regime ha generato l’impatto sulla sicurezza globale. Zarni pone l’enfasi: “La sLa sicurezza umana o centrata sull’uomo segue a grande distanza nella decisione politica occidentale. Questa realtà è opposta alle discussioni pubbliche dove l’onnipresente retorica dei diritti umani maschera il suo stato inferiore”.
Con la fine della guerra fredda, giunse anche lo spostamento della politica di difesa dell’occidente verso la situazione politica birmana. La repressione brutale sui manifestanti per la democrazia nell’agosto 1988 e il rifiuto del risultato elettorale nel 1990 che videro il trionfo di Aung San Suu Kyi e del suo partito NLD influenzarono in parte il cambiamento della posizione occidentale verso la situazione dei diritti umani in Birmania.
Tuttavia il cambiamento è stato per lo più cosmetico. L’emergere di Aung San Suu Kyi come icona della democrazia che lotta per la democrazia e la protezione dei diritti umani serviva perfettamente come punto di riferimento nella nuova politica di sostegno dell’occidente. Ma in realtà, l’occidente investiva in modo tremendo nel mantenere i suoi interessi fondamentali nel Medio Oriente e nel Nord Africa. Strategicamente gli USA volevano entrare nelle guerre nel Medio Oriente per proteggere i propri interessi, politici o economici.
Nel frattempo nel 2005 gli USA si riferivano alla Birmania/Myanmar come “l’avamposto della tirannia”. Nonostante fosse etichettata come nemica della democrazia la Birmania non è stata mai percepita come interesse fondamentale degli USA.
Riaggiustando in parte la propria posizione, il governo americano ha messo in atto una difesa occidentale liberale per protestare contro la situazione della sicurezza umana da impallidire in Birmania, resa possibile poiché la Birmania era uno dei luoghi dove l’occidente si sentiva di poter permettersi di applicare i suoi valori liberali mentre perseguiva i suoi interessi fondamentali altrove. In altre parole, la difesa della sicurezza umana era permessa per dominare le discussioni politiche birmane e la copertura dei media poiché gli altri interessi occidentali lì non erano considerati molto importanti. L’occidente allora impose sanzioni contro il regime birmano realizzando che la chiusura dei canali di comunicazione con la Birmania non avrebbero colpito i propri interessi strategici globali.
Infatti le sanzioni divennero il segno della politica occidentale sulla Birmania, inizialmente sostenuta da Aung San Suu Kyi stessa. Le sanzioni erano anche giustificate non solo per il persistente governo militare ma anche per la terribile situazione di sicurezza umana nel paese. In risposta il regime intensificò la sua politica repressiva diretta alla sua gente creando una insicurezza umana persino più devastante. Per tanto tempo le sanzioni si erano dimostrate futili.
I cambiamenti dentro Myanmar allo stesso tempo coincisero con la politica innovativa di Obama verso l’Asia. Ancora una volta il nuovo panorama politico nella regione costrinse gli USA a riaggiustare la sua attenzione sul regime birmano piuttosto che la durissima situazione dei diritti umani nel paese. Il nuovo concetto della politica statunitense verso la Birmania è ora un concetto pragmatico, entrar in contatto col regime e incoraggiare la sua democratizzazione con investimenti ricchi dagli USA per facilitare, almeno così si suppone, l’apertura economica dopo tanti anni di durezza economica del paese.
La politica di ingaggio col governo di Thein Sein è ora un prodotto della politica USA sull’Asia in relazione alla Birmania. Gli USA non hanno più bisogno di dissidenti e di capi in esilio per legittimare la sostanza della sua politica verso la Birmania. Insieme con Suu Kyi, l’amministrazione Obama ha reinventato la Birmania la cui vecchia immagine come avamposto della tirannia è stata rimpiazzata da un’immagine di amico di affari. Nel rispondere all’apertura del processo della Birmania, Washington ha cercato di creare un ambiente sicuro per i capi a Naypyidaw essenzialmente per fare affari insieme e allo stesso tempo allontanare il paese dall’influenza cinese.
Togliere le sanzioni, ingaggiare l’elite birmana, prestare più attenzione alla riconciliazione politica del paese e promuovere i diritti umani sono ora parti di un nuovo gruppo di politiche nuove designate a dare il benvenuto alla transizione politica birmana ed ad assicurare gli interessi USA nel processo.
In apparenza l’ammirazione americana della democratizzazione della Birmania e naturalmente della sua difesa dei diritti umani nel paese con cura svela un punto fermo etico dell’amministrazione Obama. Ma la vera essenza del nuovo cambio della politica americana è stata centrata su commercio e la sicurezza, stanca delle minacce della vecchia elite militare e nel frattempo bisognosa di ingaggiare economicamente il nuovo regime a proprio beneficio degli USA.
Questa considerazione di realpolitik, o in termini più diplomatici, questo pragmatismo, domina infatti l’occidente in termini del suo nuovo approccio agli sviluppi della Birmania.
Comunque il pragmatismo pone un dilemma all’occidente. Ha bisogno di essere pragmatico per afferrare ogni opportunità che emerge nel processo di transizione. Ma nel fase ciò potrebbe compromettersi la sua promozione dei diritti umani e del sostegno alla sicurezza umana.
Come nel passato, il punto di vista centrale della sicurezza dell’Occidente oscurò la sua serietà ad affrontare le istanze di sicurezza umana. Oggi mentre l’occidente trova che è importante restare pragmatici nel gestire le sue relazioni con la Birmania le sue preoccupazioni sulla mancanza di sicurezza umana sono sminuiti. Il fatto che la situazione atroce della sicurezza umana persiste ancora oggi in Birmania è un testamento di inefficienza del nuovo approccio da parte dell’occidente.
Pavin Chachavalpongpun, PRACHATAI