Nella discussione sulla riconciliazione e la pacificazione in Thailandia, una delle grandi dispute capace di spaccare il paese e riportarlo sull’orlo della guerra civile, è quella dell’amnistia, a cui sono legate troppe cose contrastanti: riportare Thaksin in Thailandia senza alcuna macchia, dare giustizia a chi ha sofferto e al paese, punire chi ha commesso le atrocità degli anni che vanno dal 2006 al presente. Ma tutti comunque negano l’amnistia a chi è accusato di lesa maestà.
Il come farla questa amnistia è sempre stato un problema per gli obiettivi, per i grandi centri di potere coinvolti come i militari, e per la forte contrapposizione in parlamento. Per molti il problema si riduce alla figura che spacca come quella di Thaksin.
Una delle bozze che apparivano più interessanti era quella del parlamentare del Puea Thai, Worachai Hema, che proponeva l’amnistia per i militanti di tutti i colori accusati, a vario titolo, per le manifestazioni ed i fatti che partono dal 2006, anno in cui Thaksin fu cacciato con un golpe dei militari, al maggio 2012 quando ci fu la repressione di Ratchadaprasong, senza però toccare quelli accusati di lesa maestà. Sia magliette rosse che gialle, ma escludeva i capi di entrambe le frazioni ed i militari ed i politici coinvolti.
La novità è che ad agosto è stata scelta proprio la bozza di Worachai per essere discussa e poi approvata nel tumulto del parlamento e delle strade causati dal partito democratico e dalle magliette gialle.
L’amnistia richiede tre passaggi nel parlamento thailandese. Al secondo passaggio di qualche giorno fa il vice presidente della commissione parlamentare, Prayuth Siripanich del Puea Thai, propone e fa approvare un cambiamento della proposta di amnistia che include in questa proposta tutte le persone accusate di reato da un’organizzazione o da gruppi di persone, dopo il golpe del settembre 2006 fino al momento dell’approvazione.
Dopo il golpe del 2006 i golpisti istituiscono un comitato di indagine sulle proprietà per indagare i membri del governo Thaksin accusati di corruzione. In seguito alle indagini molti politici vengono condannati a cinque anni di allontanamento dalla politica e Thaksin stesso è condannato a due anni di carcere per abuso di potere in uno scandalo di natura fondiaria in cui era implicata la moglie. Successivamente a febbraio 2010 la corte suprema ordina il sequestro delle proprietà di Thaksin del valore di oltre due miliardi di dollari. Nel frattempo Thaksin è fuggito nel Dubai.
Oltre Thaksin da questa amnistia dovrebbe godere anche Pracha Maleenot, ministro di Thaksin, recentemente condannato a 12 anni per aver fatto acquistare 315 automezzi e 30 barche per i pompieri per un prezzo che superava di 50 milioni di dollari il prezzo di mercato. L’uomo è probabilmente all’estero.
E’ certo comunque che tanti corpi dello stato istituiti dalla giunta che destituì Thaksin sono fortemente politicizzati e ostili all’ex premier che, nel caso dell’amnistia, si troverebbe privo di capi di imputazione e ritornerebbe in possesso dei suoi mezzi finanziari finora bloccati.
Uno scenario di questo tipo promette una forte opposizione in parlamento, dove comunque è minoritaria rispetto al Puea Thai, e nelle piazze da parte di un mondo che da sempre è ostile, per varie ragioni, a Thaksin.
Nel campo invece dell’opposizione del Partito Democratico, l’ultima notizia è quella che l’ex premier Abhisit e il suo ministro dell’interno dell’epoca Sutep sono stati formalmente incriminati dal la magistratura per il loro ruolo nella repressione di Rachadaprasong che portò alla morte di 92 persone e al ferimento di migliaia di manifestanti. Abhisit permise ai militari l’uso delle armi da fuoco con munizioni vere nella repressione, mentre Sutep al tempo dirigeva il comitato di sicurezza per l’ordine pubblico che implementò poi la repressione. Nessun militare invece risulta colpito da alcun ordine né al momento indagato. In altri post su questo blog si è già parlato delle indagini del DSI che in tutti i casi chiedeva l’incriminazione di Abhisit e Sutep come responsabili della morte di tanti manifestanti.
Anche a loro ovviamente se l’amnistia è approvata tal quale cadrebbero i capi di imputazione e non andrebbero più in tribunale a rispondere. Il partito democratico ha denunciato la pressione del Puea Thai e del governo affinché accetti l’amnistia così come è e l’uso che il governo fa della stessa per costringere il partito democratico ad accettarla. Di conseguenza i due ex ministri hanno fatto sapere che non accetteranno mai questo scambio e sono pronti ad andar avanti in tribunale fino alla fine.
Da parte sua i militari col loro generale Prayuth hanno fatto capire che non vogliono l’amnistia per il semplice fatto che hanno fatto il loro dovere, quanto loro chiesto e non hanno perciò colpe da lavarsi. E se ci sono colpe sono pronti ad andar in tribunale a difendersi.
Una cosa strana, almeno come l’ha definita lo stesso Abhisit, è che i due non sono stati incriminati in quanto ministro e primo ministro e per la loro funzione ed autorità, quanto nella loro capacità individuale secondo altri codici.
Dal punto di vista delle forze sociali la situazione è alquanto complicata. Le famiglie dei caduti a Ratchadaprasong sono contrari alla stessa amnistia, come la sorella di Fabio Polenghi perché non fa entrare minimamente i responsabili materiali degli omicidi, cioè le gerarchie militari ed i militari stessi.
La UDD, cioè il fronte unito per la democrazia contro la dittatura, le magliette rosse, invece sono contrarie a questa riscrittura ed hanno emesso una dichiarazione che sostiene tra l’altro di mantenere fermo il proprio impegno al sostegno alla forma originale della proposta di amnistia del Deputato Worachai Hema che dà il perdono ai prigionieri politici di tutti i colori soltanto. Le eventuali divergenze nascono dal fatto che secondo alcuni l’amnistia deve essere prioritaria e fare uscire i prigionieri politici senza aspettare cambiamenti costituzionali. Altri pensavano al cambiamento della costituzione, ma dopo tre anni tutto l’UDD appoggia la proposta originale di Worachai.
Inoltre il problema chiave è chi riceverà l’amnistia. Thaksin secondo l’UDD è stata una vittima del golpe e delle conseguenze e dovrebbe ricevere giustizia togliendo dalla costituzione quelle norme che sono seguite al golpe, cioè l’articolo 309 che garantisce l’amnistia a chi ha fatto il golpe (alcuni dei golpisti partecipano pure all’attuale maggioranza !) in quanto atti costituzionali come lo sono gli atti compiuti dalla commissione che ha permesso la condanna a Thaksin a due anni di carcere.
Ma quando si parla di Magliette rosse si parla di un arcipelago complesso. Gli appartenenti a Red Sunday di Sombat Boongamanong hanno vociato il loro dissenso rispetto alla proposta di amnistia accusando il Puea Thai e Thaksin di aver tradito le speranze dei loro votanti, come hanno fatto i familiari delle vittime. Il vero problema, come lo si è visto rispetto al problema della lesa maestà dove le magliette rosse sono state pressoché assenti, è che questo gruppo è piccolo e limitato con pochissima forza di contrattazione rispetto al Puea Thai.
La grande maggioranza delle magliette rosse avrebbe per altro annunciato, per bocca di un parlamentare eletto nel Puea Thai, che non sarebbero scesi in piazza contro il governo nonostante la legge lasci liberi Abhisit e Sutep.
Secondo l’analista Saksit Soyasombut, “E’ ovvio che il Puea Thai vuole incassare su una grande scommessa politica e si aliena quelli che vogliono cedere la giustizia per le morti del 2010, che era anche una delle promesse della campagna elettorale che portò il governo di Yingluck al potere in primo luogo”.
E per maggiore sicurezza il Puea Thai ha ordinato a tutti i parlamentari, compresi quelli eletti dalle magliette rosse, di presenziare alla seconda votazione del 2 novembre e di votare in favore della amnistia.