Mentre la Thailandia, in relazione alla recente proposta di amnistia totale, comincia a riavvolgersi attorno alla divisione del paese tra chi è contrario e chi sostiene Thaksin, resta ancora inquieta e violenta la situazione nel profondo meridione di Yala, Patani e Narathiwat, dove ogni giorno continua lo stillicidio di violenze.
Del possibile ritorno al tavolo di pace tra stato thailandese e BRN si è annunciata come data un giorno di dicembre con un ritardo causato dalla necessità del BRN di coordinarsi con i gruppi sul terreno. Ai prossimi incontri parteciperanno altri due gruppi, PULO e BIPP, mentre un altro gruppo molto attivo sul campo Ronda Kumpulan Kecil (RKK) potrebbe rientrare in un momento successivo. Questo è quanto fa sapere lo stato thailandese attraverso il NSC, consiglio di sicurezza nazionale.
Nel frattempo su ISRANEWS.ORG si legge nell’articolo “Nove anni dopo l’incidente di Tak Bai“: “Il 25 ottobre è stato il nono anniversario della strage di Tak Bai vicino Narathiwat in cui 85 malay musulmani morirono, la gran parte per soffocamento dopo essere stati ammassati l’un sull’altro per cinque ore sui camion che li portavano alla base militare di Ingkayuth.
Tutti i processi sono terminati e le famiglie delle vittime e dei feriti hanno ricevuto un risarcimento che varia da caso a caso. Inoltre altri 58 hanno sostenuto un processo che poi li ha assolti ed hanno ricevuto il loro risarcimento, insieme ad altri 766 che sono stati detenuti senza processo. Altri 514 non si sono presentati per ricevere il risarcimento.
In totale lo stato thailandese ha pagato oltre 640 milioni di baht, oltre i,5 milioni di euro come risarcimento per quanto accaduto a Tak Bai senza però che questo abbia minimamente aiutato a sanare le ferite inflitte nelle menti di tante vittime e delle loro famiglie lasciandoci invece delle cicatrici profonde.
Nell’intervista ad una donna che fu presente a Tak Bai, Yuwareeyor Menaa racconta come quell’evento di 9 anni fa resta ancora indelebile come l’incubo più agghiacciante mai vissuto. Era incinta di tre mesi quando andò a vedere che succedeva alla stazione di polizia a Tak Bai. “C’era così tanta gente e mi avvicinai per poter osservare, e non riuscii neanche ad uscire perché furono chiuse tutte le uscite. Avevo paura per il piccolo che avevo in grembo.”
Insieme ad altre 50 donne fu intrappolata dentro il recinto quando la protesta diventò violenta con vari colpi di arma da sparo contro la folla. Poi alla fine furono rilasciate e portate a casa dalla polizia.
Ma gli uomini tra i quali c’era suo marito furono trasportati a Ingkayuth nel distretto Nong Chik di Patani. Preoccupata della sicurezza di suo marito, la donna ritornò al campo il giorno dopo per trovare suo marito e le fu detto che era stato portato in una prigione. La donna passò dalla prigione di Pattani e Yala ma il marito non c’era. Alla fine lo rintracciò nella prigione di Narathiwat e si sentì risollevata che almeno era vivo.
Il marito è Aware che fu tenuto in custodia per 16 giorni prima di essere rilasciato su cauzione. L’accusa contro di lui, comunque, fu lasciata cadere dopo due anni di processo.”
Una piccola nota della proposta di amnistia porta la data di inizio dell’amnistia al 2004. Pochi sanno il perché in quanto l’amnistia, nella bozza originale di Hema Worachai, era stata considerata in relazione alle vicende del 2010.
Ma il 2004 è anche la data di inizio della insorgenza malay musulmana e questa amnistia avrebbe voluto sanare tutto anche nel meridione thailandese. La giornalista del Bangkokpost, Sanitsuda Ekachai scrive:
“Se Thaksin crede che può riportare tutto agli inizi nel profondo meridione estendendo il poter della sua amnistia completa per coprire anche l’insorgenza meridionale allora si sbaglia proprio.
Se non altro ogni tentativo di perdonare le forze di sicurezza che sono coinvolte nella violenza di potere sarebbe considerato dalla gente del posto come uno schiaffo in faccia.
“Se fanno una amnistia del genere, rafforzerà ancor di più la sfiducia della gente che lo stato è ingiusto e accrescerà il nostro dolore” dice Yaena Salaemae, una personalità riconosciuta a Tak Bai. Suo figlio era stato arrestato durante il massacro di Tak Bai ma fu uno dei fortunati. Sei furono trucidati nella repressione stessa, altri 78 con le mani legate dietro furono ammassati come sardine in camion chiusi durante il trasporto al campo militare. Ma morirono asfissiati durante il trasporto.
Dopo anni di battaglie in tribunale, la corte suprema, quest’anno, ha riconosciuto che la morte fu causata da asfissia prosciogliendo perciò le forze di sicurezza di ogni crimine. Credo si possa comprendere la rabbia dei parenti ed il risentimento dei cittadini musulmani del meridione thailandese. Per loro il verdetto di Tak Bai è solo una prova in più dell’ingiustizia dello stato che corre profonda nel sistema. L’amarezza di Tak Bai è anche sostenuta dal fatto che nessun ufficale coinvolto nella sanguinosa repressione della moschea Krue Se durante il regime di Thaksin è stato mai messo sotto accusa.
Considerata la profonda indignazione contro l’ingiustizia di stato, dare un’amnistia alle forze di sicurezza, polizia e militari, per i loro abusi di potere, non solo per Tak Bai e Krue Se. ma anche per le altre violenze di stato dal 2004 è perciò uguale a mettere del sale sulle ferite.
Rafforzerà anche la sfiducia nelle autorità dello stato” dice Yaena “Per noi significa che l forze di sicurezza possono fare quello che vogliono perché sanno che se comunque se la caveranno”….
Secondo la legge tutti gli individui o gruppi di individui che violano le vite, la salute e i diritti degli altri riceveranno l’amnistia se la situazione è causata dai conflitti politici. I corpi dello stato che hanno gestito la violenza politica dal 2004 al 8 agosto del 2013 beneficeranno della legge.
Angkhana Neelapaijit è stata tra i primi a gridare allo scandalo contro gli sforzi del governo per perpetuare la cultura dell’impunità nel profondo meridione. Suo marito, lavvocato dei diritti umani Somchai fu sequestrato e presumibilmente ucciso. Un gruppo di poliziotti coinvolto nel sequestro fu assolto.
Ci sono tanti casi simili di sequestro e scomparse forzate nel profondo sud. Se chi li ha commessi può farla franca con l’accusa di omicidio, come vivremo?” dice Angkhana definendo l’amnistia un grave violazione della dignità e dei diritti dei cittadini musulmani meridionali.
E se gli insorti e i sospetti ottengono anche l’amnistia?
Yaena Salaemae è ferma nell’affermare che il governo della legge deve essere rispettato per restaurare la pace. “Chi commette un crimine deve essere punito. Tutti devono essere uguali d fronte alla legge. Il problema ora p l’abuso generalizzato della legge dalla gente al potere. Gente innocente è arrestata. Processi penali costosi e lunghi impediscono ai poveri di avere giustizia.”
Oltre alla riforma del sistema giudiziario, i malay musulmani chiedono il rispetto per il loro modo di vivere e maggiore decentralizzazione. “Dare una amnistia da sola non aiuterà se le radici dell’ingiustizia restano le stesse. Al contrario la situazione peggiorerà quando la gente vede che chi li ha commessi resta impunito.”