La situazione politica thailandese, all’indomani del rigetto della proposta di legge dell’amnistia totale e della costituzione da cambiare, è molto critica.
La legge di amnistia, che di per sé ha creato delle frazioni all’interno delle magliette rosse e della base elettorale del Puea Thai, è giunta in una fase molto delicata del processo politico: l’interpellanza alla corte costituzionale di quattro parlamentari del Partito Democratico della bozza di modifica della carta costituzionale laddove si vuole trasformare il Senato in organo completamente eletto, mentre attualmente è metà eletto e metà nominato; il verdetto della Corte Internazionale di Giustizia interpellata dalla Cambogia sulla disputa di frontiera al tempio di Preah Vihar, una vicenda che agita sempre per diverse ragioni gli schieramenti nazionalisti dei due paesi.
Il clima tutt’altro che conciliatorio di questi anni in Thailandia già di per sé esplosivo, è stato rafforzato da forti manifestazioni di piazza della base del partito democratico e di chi in genere è a prescindere contro il ritorno di Thaksin in patria e contro il governo di Yingluck Shinawatra.
L’occasione è stata la presentazione della legge di amnistia completa che avrebbe dato la possibilità a Thaksin di rientrare senza rischio di essere arrestato e ritornare quindi sull’area politica.
La legge, ricordiamo, dava la completa immunità anche a tutti i responsabili dei disordini e delle violenze e della repressione costata la vita a 92 persone rafforzando il clima di impunità già in vigore da sempre nel paese. Militari, capi di governo, capi di opposizione, tutti tranne quelli condannati per lesa maestà.
Mentre le magliette rosse hanno subito visto in questa sentenza un tradimento di quanto promesso nella campagna elettorale e soprattutto un affronto a chi è morto in piazza lottando per la democrazia, il lato conservatore dell’arena politica ha colto l’occasione a volo per lanciarsi contro il governo Yingluck e provare a farlo cadere. Forti manifestazioni di piazza come da tempo il partito democratico non riusciva a fare hanno bloccato Bangkok, mentre il senato ha rigettato la proposta dell’amnistia.
Sul piano della modifica costituzionale, va subito detto che la Costituzione attuale della Thailandia è quella promulgata dai militari all’indomani del golpe contro il governo legittimamente eletto di Thaksin. Essa prevede, tra l’altro, l’immunità per chi ha fatto il golpe del 2006, un senato composto per metà da membri eletti e metà da membri nominati, prevede clausole che rendono possibili appellarsi alla corte costituzionale su qualunque legge, che possa minacciare l’esistenza della monarchia costituzionale e lo stato con il re come suo capo, con il rischio di dissolvimento del partito stesso.
Nella sentenza di oggi la Corte Costituzionale, che in precedenza si era già espressa per la modifica stessa della costituzione in toto ma solo per parti, ha riaffermato che la proposta di modifica costituzionale è anticostituzionale, perché un senato interamente eletto equivarrebbe ad “abbattere un regime democratico di governo con il Re come Capo dello Stato”. Questa decisione è stata voltata con 5 a favore contro 4 giudici contrari. Inoltre ha altresì accettato che nel senato non possano farsi eleggere familiari diretti di parlamentari nella camera bassa. Inoltre sono state evidenziate varie irregolarità di voto.
Impedire un senato completamente eletto è certamente indicativo della paura che ha l’elite thailandese del voto popolare che non è in loro favore, come provato nelle elezioni del 2011 che portarono Yingluck a capo del governo. Inoltre il partito democratico non riesce a vincere nelle zone popolari del paese del nord e nordest da quando è giunto alla ribalta politica del paese Thaksin Shinawatra. La sua base elettorale è per lo più Bangkok e varie parti del meridione thailandese, dove per altro ha vinto grazie alla divisione del Puea Thai in loco.
Come sostiene nel suo blog Siam Voices: “La Corte costituzionale ha fatto sapere con forza la propria opposizione ad una ‘dittatura della maggioranza’, cioè al Puea Thai del PM Yingluck che ha una larga maggioranza in parlamento, mentre vede il sistema dei controlli compromesso se il parlamento è totalmente composto da politici.”
Comunque la Corte per fortuna ha avuto il giudizio di non accettare lo scioglimento del Partito Puea Thai che ha proposto gli emendamenti stessi, pena un ritorno violento nelle strade, come già accaduto nel 2010. In questo caso, come alcuni temevano, sarebbe stato un golpe costituzionale.
Siam Voices sostiene: “Il verdetto di oggi mostra anche la pesante politicizzazione della corte costituzionale che non riesce a nascondere il suo disprezzo verso i rappresentanti eletti e il governo del parlamento, mentre la corte stessa non è assolutamente contro ogni tendenza o al di là dell’errore. Nel citare l’articolo 68 della costituzione del 2007, che fu stesa dai militari e approvata dopo il golpe del 2006, ha fissato un precedente che potenzialmente proibisce ad ogni governo eletto di fare un cambiamento qualunque alla costituzione, prolungando ulteriormente la polarizzazione politica che il paese soffre da allora”.
Ovviamente questa decisione ha rafforzato la polarizzazione politica del paese. Mentre Yingluck, che non sarà invitata a parlare presso le camere di commercio thailandesi per evitare manifestazioni pubbliche a lei ostili (sic!), ha evitato di manifestare la propria opinione in merito alla decisione della corte, ci sono le reazioni positive del partito democratico che avrebbe voluto la dissoluzione anche del Puea Thai. All’estremo opposto ci sono le reazioni delle magliette rosse che si sono radunate in uno stadio di Bangkok per ascoltare in diretta il risultato della deliberazione della corte.
Benché i numeri non erano quelli del 2010, la folla ha accolto con disapprovazione la notizia della corte provando, però, un po’ di sollievo quando la corte ha rigettato la richiesta di scioglimento del Puea Thai. Secondo Pravit Rojanaphruk su Thenation ,
“Nattawutt Saikaur, uno dei leader delle magliette rosse, ha detto che “è uno scontro tra le forze democratiche e forze esterne al sistema democratico” ed ha invitato le magliette rosse di tutto il paese a scendere su Bangkok per lottare mentre erano pronti ad annunciare nuove misure per proteggere il loro governo eletto del Primo Ministro Shinawatra. “Forse dovremmo avere l’opportunità di lanciare una rivoluzione popolare davanti a loro” ha detto Nattawut in riferimento alla campagna di protesta del Partito Democratico dall’altra parte della città che sembra godere finora una folla maggiore.
Un altro parlamentare del Puea Thai e capo delle magliette rosse Weng Tojirakarn ha fatto eco a Nattawut anche prima della lettura del verdetto quando ha detto che forse “si dovrebbero cancellare le forze reazionarie dal suolo thailandese.”
Tra i tanti manifestanti c’era un elettricista anziano che ha espresso, dopo la lettura del verdetto, la propria sensazione di essere stato imbrogliato. “Ci hanno detto di accettare prima la costituzione e poi di cambiarla. Ora non ce lo lasceranno fare” dice l’uomo riferendosi al referendum sponsorizzato dai militari sull’attuale carta costituzionale nel 2007.”
Mentre la questione della questione del tempio di Preah Vihear dopo la delibera della Corte Internazionale di Giustizia, che attribuisce il promontorio dove si erge il tempio alla Cambogia ma tace un’area circostante contesa, è ancora tutta da definire da entrambi i lati della frontiera, cionondimeno resta, appunto per questa indecisione, ancora tutta esplosiva e a rischio di sfruttamento da parte delle forze nazionaliste per altro contrarie a Yingluck.
La stessa Yingluck Shinawatra finora non ha ottemperato alle decisioni della corte internazionale che intimava il ritiro delle forze thai da alcune zone del promontorio.
Ultima ma non in ordine di importanza, è un’altra sentenza penale di un tribunale di Bangkok su un caso di lesa maestà contro un conduttore radiofonico nel 2005. La pericolosità di questa sentenza, avvenuta per altro in un periodo in cui le forze della elite stanno tentando una possibile spallata, sta nel fatto che il conduttore radiofonico si sarebbe espresso su un regno del passato remoto della Thailandia e non su alcuno della famiglia reale attuale. Si rammenta che in tutte le bozze di amnistia presentate gli unici a cui l’amnistia non si applica sono proprio i colpevoli di lesa meastà.
Traduciamo per intero l’articolo di uno studioso indipendente, David Streckfuss, apparso su Prachathai.
“Non ci sono stati molte sentenze di lesa maestà della Corte Suprema Thailandese che sono state date pubblicamente (l’ultima volta fu contro Veera Musikapong nel 1988) e perciò è sempre eccitante quando si solleva un po’ di più il velo sui misteri della giurisprudenza della corte suprema. Quest’ultima sentenza è stata ottenuta pochi giorni fa ed è alquanto eccitante e persino più allarmante. Le sue implicazioni sono tremende e forse può segnare il punto minimo del regime di lesa maestà in Thailandia. Ad un primo sguardo sembra uno molto cattivo ma diventa peggiore man mano che lo si guarda.
Il caso inizia nel 2005 quando un candidato non eletto di qualche elezione prova a tirarsi su in una radio pubblica che gestisce. Uno del pubblico lo ha appena chiamato chiedendogli come l’abbia presa, perché ha perso. Il conduttore biascicando parla di come sia necessario provarci nonostante i fallimenti, di essere contento di quello che ha fatto. Ad un certo punto inveisce contro gli ipotetici avversari in nome della dignità umana e dice:
Rifiuto, ma io rifiuto, ascoltatori, poiché la dignità umana in ogni cosa che pensiamo e che facciamo. Se faccio qualcosa liberamente penso liberamente, per le sorelle e fratelli, la gente lo fa. Ma se dobbiamo farlo e dobbiamo essere come se fossimo nel periodo del quarto regno, non lo faremo. Ascoltatori. Quel tempo è andato. Ma ora questa terra forse ha ancora che la pensa come allora. Potrebbero essercene. C’è ancora qualcuno.”
Benché abbia aggiunto qualcosa per chiarire, è ancora difficile dire da questa selezione o dalle cose precedenti cosa volesse davvero dire. A metterlo nei guai è il suo riferimento indiretto a Re Rama IV “ Ma se dobbiamo farlo e dobbiamo essere come se fossimo nel periodo del quarto regno, non lo faremo”. Per queste parole il conduttore fui condannato prima a quattro anni di carcere. La sentenza fu poi ridotta a due per la confessione e nell’aiuto dato a condannarlo. Poi la corte sospese la sentenza per due anni.
Nella decisione della corte inferiore emergono alcune cose. La prima è un riferimento breve al quarto regno. Non si sa quanto della trascrizione del suo parlato è parte dell’accusa. La sola parte che potrebbe collegarsi alla calunnia è il parlare della dignità umana e il riferimento alla libertà che sembra giustapporre contro il suo riferimento al quarto regno.
In qualche modo l’accusa costruisce il caso su un materiale molto scarso. Afferma ed il giudice aiuta che le parole dell’accusato implicavano “che la Sua anziana era, cioè del Re Rama IV, era una in cui si doveva essere schiavi, che non c’era libertà, cattivo governo”. Queste parole, una calunnia di tipo effimero, erano secondo il linguaggio della corte distruttive perché avrebbero potuto “far perdere fede alla gente in modo da causare disonore, disprezzo e odio verso il quarto regno”
Ma l’accusato non ha detto nulla sulla persona del re e l’articolo 112 vieta chiunque di diffamare il re, la regina o l’erede al trono. Riferimenti qui non cene sono.
Secondo c’è la bella domanda si chi fosse l’obiettivo dell’attacco. Negli annali della “Scienza del Traditore” c’è qualcosa definita tradimento costruttivo. Differentemente da un attacco fisico ad un membro della famiglia reale dove agente ed effetto si possono facilmente identificare, il tradimento commesso con le parole che chi costruisce l’accusa costruisca un sistema di significati, parole, che dopo la loro connessione equivalgano il tradimento. Ma in questo caso c’è stato molto da fare per l’accusa. Dal riferimento di poche parole improvvisamente l’accusato sembra, dalla reazione dell’accusa, aver fatto una critica completa ad un regno, con riferimenti a schiavi e servi e sitema di governo. E’ una testimonianza maestosa al potere dell’immaginazione umana, una costruzione contro l’accusato in cui poche parole sono state trasformate in una analisi dannata del feudalesimo thailandese.
Un altro aspetto di questa sentenza ha a che fare con il determinare chi fosse l’obiettivo. Se le parole dell’accusato non erano contro un re, allora cosa erano? Sono su alcune condizioni non specificate ma negative di un regno: si tratta piuttosto che di lesa maestà di lesa storicità.
Diciamo che era una critica al regno, sul sistema di governo e sulla mancanza di libertà. Quasi tutte le strutture feudali funzionavano. C’erano gli schiavi, i servi e qualcuno almeno sentiva il sistema dispotico.
Infine si badi che ci si sta riferendo ad una decisione della corte inferiore. Una decisione strana di una bassa corte è problematica ma il sistema dovrebbe aggiustare le follie. Ed infatti la corte di appello rigettò la decisione. Se tutto fosse finito qui saremmo stati tutti rassicurati. Ma l’accusa restò insoddisfatto ed è andato alla corte suprema. Quest’ultima inizia specificando che l’Articolo 112 non specifica esattamente di fatto a quale Re o regina o erede la legge si riferisce. Allora la corte connette il problema al concetto, sempre vago e sempre pericoloso, di sicurezza nazionale. Se qualche parola su un re precedente ha ricadute sull’attuale monarca, allora colpisce la sicurezza nazionale, nella cui sezione, dopo tutto, l’articolo 112 si trova. I thai si sono sempre sentiti connessi con i loro Re tenendoli in una posizione di venerazione. Specie per i Re della dinastia Chakri. La costituzione protegge il re, o forse ogni re del passato, dall’accusa di ogni sorta.
La corte ha detto: “Sebbene la diffamazione sia contro un re passato è ancora una violazione… la diffamazione di un re del passato inevitabilmente ricadrà il re attuale che ancora regna.”
Il re diffamato in questo caso era il bisnonno del re attuale. La corte sostiene che se la legge è ristretta al solo re regnante apre “un percorso verso il commettere la diffamazione” contro re del passato. Poiché ci sono riti ufficiali alla memoria dei re del passato, sono ancora importanti per i thailandesi di oggi. In conclusione “il disprezzo o la diffamazione dei re che sono già morti .. avrebbero un effetto negativo sui sentimenti della gente che porterebbe alla insoddisfazione e potrebbero colpire la sicurezza del regno.”
La corte suprema ha mantenuto la decisione della bassa corte. Ma si è rifiutata di accettare la richiesta di carcere fatta dall’accusa. L’accusato aveva mostrato rimorso per la sua scelleratezza e la non carcerazione gli darebbe l’occasione per redimersi e diventare un buon cittadino.
Sebbene tanti paesi proibiscano la diffamazione per i morti per una buonissima ragione questa legge anche in Thailandia è raramente se mai usata.
Comunque quando il regime politico e legale di un paese comincia a perdere l’equilibrio, ci si protende disperatamente verso i libri di legge per trovare qualche speciale creazione che ci sollevi dall’ansia. In Turchia nel 1951 una legge puniva ogni offesa o insulto alla memoria di Attaturk con la prigione fino a tre anni. Se si usava la forza enl fare l’insulto la pena era raddoppiata. Se commessa in pubblico o via stampa la pena era aumentata della metà.
La società britannica si è trovata di fronte a tale sfida. In un famoso caso di sedizione la Corona provò ad accusare uno stampatore che pubblicò un poema critico del e che era morto tre anni prima. La difesa ammise che certo il monarca al potere forse non la prendeva bene quando si criticava il predecessore.
Ma, per essere una “monarchia di gente libera”, il re deve “moderare i suoi sentimenti con attenzione alla propria situazione e non sentirsi toccato, come un privato cittadino da ogni rappresentazione del suo predecessore.” la difesa metteva in guardia che “se lo si ritiene una diffamazione perché è offensivo per il monarca al potere, c’è una fine per tutta la storia come pure la poesia .. sarebbe la più grande calamità per l’umanità se le bocche di tutte le persone devono essere chiuse quando egli muore”. Il caso risaliva al 1823 ed i giudici superarono il desiderio di proteggere un re morto e protessero invece il bene comune dando solo una multa all’accusato.
E’ un bel tributo agli storici che i governi turchi e thailandesi temano così tanto la storia. L’ortodossia storica che questa decisione della corte suprema prova così tanto a proteggere è antitetica ai valori democratici e allo spirito di inchiesta libera uguale e pubblica.”
Ultima domanda: ci sarà mai un posto per la Storia nei libri di testo thailandesi?