Su Isranews è apparsa un’intervista ai Juwae, alcuni comandanti e militanti attivi dell‘insorgenza di Pattani.
Ci preme qui portare in primo piano questa notizia e lasciar perdere il rumore dei fischietti degli oppositori al governo Yinglcuk, guidati dal falso profeta Suthep, che affollano i giornali internazionali.
Se è vero che si chiede giustizia per le 90 persone uccise a Ratchaprasong nel maggio 2010 per ordine di Suthep e Abhisit, è anche vero ed importante che non si possono dimenticare che il meridione thailandese di Pattani è insanguinato in modo lampante da una guerra, esplosa nella cronaca durante il governo Thaksin, che ha fatto 5000 morti e migliaia di feriti.
Di questi morti in Thailandia quasi nessuno chiede giustizia e pochi si interrogano, come quasi nessuno chiede giustizia per i malay musulmani uccisi alla moschea di Krue Se e a Tak Bai dalle forze di polizia dell’allora governo di Thaksin.
E’ interessante notare quello che uno storico famoso thailandese, Nidhi Eoseewong, dice a proposito della accuse che non sono state mai rivolte a Thaksin per una sua incriminazione durante il recente dibattito sull’amnistia totale:
“Non voglio asserire che Thaksin Shinawatra sia innocente, poiché molti altri incidente ancora più significativi hanno avuto luogo mentre era primo ministro. Questi incidenti includono per esempio il massacro alla moschea Krue Se, il massacro a Thak Bai, gli omicidi extragiudiziali, la scomparsa di Somchai Neelaphajit ed altro….”
L’intervista candida ai Juwae,
L’agenzia Isra News di recente ha avuto un’intervista esclusiva con un gruppo di Juwae, termine malay equivalente per definire un guerriero, a condizione che non fossero svelate le loro identità. Ne seguono dei brani di questa intervista.
I Juwae dicono che le ragioni che hanno spinto loro e altri guerrieri separatisti meridionali a prendere le armi contro il governo erano due: la prima è che la loro madre terra, che era chiamata Patani, fu occupata dallo stato siamese decenni fa e poi i musulmani malay meridionali sono stati trattati ingiustamente.
Loro spiegano che la lotta armata contro lo stato thailandese non è iniziata nel 2004 come equivocato largamente. E’ cominciata anni prima fino al 1948 quando la battaglia di Dusong-ngor scoppiò tra le forze armate thailandesi e i malay musulmani del posto con la conseguente scomparsa forzata del capo spirituale Haji Sulong, padre dell’ex parlamentare di Pattani Den Tohmena.
Secondo il racconto di questi militanti armati, Haji Sulong non fece ricorso alla violenza nella sua lotta contro il governo allora. Fece una richiesta di sette punti al governo per scomparire subito dopo senza traccia. Si pensa sia stato sequestrato ed ucciso.
Poi ci fu il caso di sei cittadini di un villaggio uccisi dalle forze governative, nel 1975, sul ponte di Kortor che si estende attraverso il fiume di Pattani Sai Buri. Fortunatamente sopravvisse un ragazzo di 14 anni che portò la notizia agli altri abitanti con una conseguente protesta di massa contro il governo.
I malay musulmani nel profondo meridione, oltre alle ferite fisiche, sono stati soggetti ad ingiustizie sociali e al soffocamento dei diritti e delle libertà, dicono i Juwae. Fino a tempi non troppo distanti, mai un musulmano è stato nominato governatore di una delle tre provincie più meridionali, o di un capo distretto o preside di scuola, o segretario dell’ufficiale distrettuale.
Nel campo dell’educazione i malay di Patani erano costretti ad un’istruzione obbligatoria che mirava all’assimilazione dei malay nella società thailandese e al modo di vita thailandese.
“Fu questa la ragione per cui tanti genitori musulmani inviavano i loro figli alle scuole islamiche.” dicono i Juwae che accusano il governo per non essere stato capace di migliorare la qualità di queste scuole islamiche impedendo quindi a chi si diplomava da queste scuole ad acquisire una qualificazione per ottenere un lavoro nella burocrazia governativa.
I separatisti non vogliono colpire i docenti o i monaci per uno scopo politico, ma restano colpiti perché tirati sul campo di battaglia dal governo dicono i militanti Juwae. “Tutti i separatisti che siano del PULO, del BRN o di altri gruppi non hanno come obiettivo la gente di ogni giorno, specialmente monaci o docenti poiché è contro i principi islamici”
Ma in alcune istanze i docenti erano colpiti poiché viaggiavano insieme con le forze della sicurezza. Se non si stazionano le truppe nei templi o nelle scuole, i monaci e i docenti sono al sicuro. Inoltre secondo loro alcuni docenti erano anche informatori del governo per cui erano feriti o uccisi dai separatisti. E citano il caso di un docente che aveva fatto da informatore del governo: “C’era un docente che fece un disegno di alcune armi, chiedendo ai suoi studenti cosa fossero e se i loro genitori ne avessero alcune a casa. Alcuni giorni dopo la casa di uno studente che ammise che suo padre aveva una di queste armi fu assaltata dalle forze di sicurezza”.
In alcuni casi afferma questo militante questi docenti erano stati avvisati in anticipo di smettere di fare gli informatori della polizia con avvisi scritti oppure sotto forma simbolica, deponendo davanti alle loro case, due uova e del riso come ai funerali.
Sul ruolo di Thaksin Shinawatra, ex primo ministro in esilio estremamente odiato a Bangkok, dicono che lui fu strumentale nel convincere i gruppi separatisti specialmente il BRN ad unirsi ai colloqui di pace. I Juwae dicono che i gruppi separatisti avevano stabilito tre precondizioni che il governo doveva accettare se si dovevano tenere dei colloqui di pace.
Le condizioni erano che lo stato thailandese doveva dichiarare chiaramente che il processo di pace era il solo mezzo per risolvere il conflitto nel meridione e che il processo doveva essere aperto. Secondo la Malesia doveva assumere il ruolo di mediatore e in ultimo che il processo doveva coinvolgere tutti i gruppi separatisti.
I Juwae dicono che erano stati colti di sorpresa dal fatto che il governo del primo ministro Yinglcuk Shinawatra avesse accettato le condizioni, facendo notare che i precedenti colloqui erano sempre stati tenuti segretamente a porte chiuse tra il governo al tempo del premier Abhisit e il presidente Gustury Mahgota presidente del New PULO con la ONG internazionale HDC come facilitatore.
Secondo l’intervista, all’inizio i Juwae non si fidavano di Thaksin ma decisero comunque di unirsi ai colloqui per paura di “perdere l’ultimo treno”.
Alla domanda della ragione per cui la Malesia agiva da facilitatore, spiegano che la Malesia è il prossimo vicino della Thailandia ed è il solo paese che sa del conflitto nel meridione. Inoltre la stessa Malesia è stata anche toccata dal conflitto. Ammettono però che la Malesia ha degli interessi diretti nel conflitto come le altre parti. “Ma beneficiamo di più se è coinvolta la Malesia nel ruolo di mediatore.”
I Juwae non accettano l’affermazione che i gruppi separatisti fossero stato costretti a firmare l’accordo di pace con il governo a Kuala Lumpur il 28 febbraio affermando che colloqui segreti si erano tenuti l’anno prima con lo stesso Thaksin.
Secondo loro tutti i gruppi separatisti erano liberi da ogni controllo da parte malese facendo notare che alcuni gruppi, sebbene fossero stati invitati ai colloqui, rifiutarono di firmare gli accordi di pace.
Alla richiesta della presenza di osservatori come testimoni dei colloqui di pace, i Juwae ammettevano che erano preoccupati che il governo non possa mantenere l’accordo citando colloqui precedenti quando i negoziatori del governo affermavano di non essere autorizzati dal governo ad entrare nei colloqui.
Secondo i Juwae l’incertezza politica potrebbe porre un ostacolo ai colloqui di pace ma cionondimeno i colloqui devono andare avanti indipendentemente dal partito che vince le elezioni e governerà.
Loro puntualizzano che le politiche dei governi passati e attuali verso l’insorgenza meridionale è sempre stata la stessa, di puntare sulla strategia militare come strategia guida. Suggeriscono di porre il problema dell’insorgenza del meridione sull’agenda nazionale cosicché il problema resterà vivo indipendentemente dal partito che giunge al potere.
I Juwae dicono di non essere contenti con i media nazionali che definiscono i separatisti come banditi. Ammettono che è possibile che, tra le loro fila nel passato, ci possano essere stati dei banditi “ma oggi molti di noi sono istruiti e specialisti in tanti campi. Meritano di essere chiamati banditi?”
I Juwae per la prima volta affermano che ci sono solo tre gruppi separatisti che sono ancora attivi, il BRN, PULO e BIPP.
I funerali di un Juwae, uno dei 13 militanti uccisi
Era di qualche giorno fa la notizia che un attacco dei separatisti malay musulmani nel profondo meridione della Thailandia era stato respinto dalle forze di sicurezza, con 16 morti a carico dell’insorgenza, grazie ad una intelligence che ha permesso di preparare l’imboscata perfetta.
Ora grazie forse anche a questo successo, si comincia a dire che la legge del decreto di emergenza sarà sostituita da una legge più malleabile, la legge di sicurezza interna, e che alcuni notabili musulmani diventeranno consiglieri del ministro dell’interno per il profondo meridione thailandese. Gli attentati comunque non si fermano e lo stillicidio dei morti e dei feriti continua.
A farci pensare e a far pensare soprattutto la Thailandia è un video postato da studenti anonimi di Pattani sui funerali di uno dei sedici militanti uccisi nel distretto Bacho di Narathiwat, Maroso Jantarawadee.
Ci rimanda, col racconto degli articoli che seguono, ai due massacri che hanno aperto questa fase dell’insorgenza nel meridione thailandese, quello di Tak Bai e della moschea di Krong Se. Entrami i massacri hanno visto le autorità coinvolte tutte assolte, nessuna responsabilità dei governi.
Soprattutto ci rimanda una cosa che non si vuol vedere: militanti sono persone che hanno il rispetto delle popolazioni locali e che si muovono liberamente perché nessuno li andrà mai a denunciare.
I separatisti hanno un dolore profondo nei loro cuori. Bangkokpost
Un video di appena due minuti del funerale di alcuni dei 16 separatisti uccisi dopo il fallito attacco alla postazione dei marines a Bacho nella provincia di Narathiwat è stato messo su Youtube a due giorni dall’attacco. Col titolo “Regno dei guerrieri per 16 martiri” mostra un grosso gruppo di musulmani malay che seguono il funerale tenuto al cimitero mentre tanti di loro cantano “Allah è grande”
Questo video ha provocato una grande rivolta tra i thailandesi buddisti che sentono che i morti sono assassini di gente innocente e non eroi come percepito dalle famiglie ed amici musulmani. Si è detto che il video è stato caricato da un gruppo di studenti di Pattani che sono ora ricercati dalle autorità. Mi chiedo quali accuse si possono loro affibbiare.
Ma il video ha detto una cosa che è davvero la reale causa di preoccupazione per le autorità responsabili della restaurazione della pace. Ci sono molte persone che credono che i separatisti morti sono “eroi” e che loro ed i loro compagni lottano per una giusta causa.
Se si vanno a vedere le storie delle vittime morte si nota che molti di loro furono coinvolti nell’incidente del 25 ottobre 2004 a Tak Bai che finì tragicamente con la morte di sette manifestanti uccisi dalle forze di sicurezza. Altri 78 di loro morirono soffocati mentre erano trasportati dai camion dal sito di protesta ad un campo militare vicino Pattani. Alcuni di loro furono arrestati e poi rilasciati.
Il presunto capo del gruppo di separatisti era Maroso Chantharawadee, uno dei manifestanti a Tak Bai secondo sua madre Jehma Jehnee.
In un articolo apparso su Pattani Forum e riapparso sul sito di ISRA News Agency, la Signora Jehnee ha detto che suo figlio Maroso fu tra i manifestanti arrestati e trasportati nel campo di Ing Kayuth a Pattani. Come altri manifestanti arrestati aveva le mani legate e fu costretto a stare colla faccia verso il basso sul camion in cima ad altre persone. Ma lui riuscì a liberarsi le mani e a liberare le funi dagli altri manifestanti. Per tutto il viaggio al campo furono pestati e colpiti con i fucili. Maroso disse alla famiglia che provava un grande dolore nel cuore ed era profondamente arrabbiato poiché non aveva fatto nulla di sbagliato. Dopo quel giorno di Tak Bai Maroso era diventato un’altra persona.
Maroso era prima ricercato per un attacco bomba nel suo villaggio quando morirono vari soldati, e dopo era stato implicato in altri incidenti violenti nella regione. Un altro separatista, Saudi Ali passò due anni e mezzo in carcere dopo Tak Bai. Masakree Sasa si è rifiutato di consegnarsi, nonostante le suppliche della sorella Farida, perché non si fidava che le autorità gli avrebbero fatto un processo giusto. Chiaramente la vicenda di Tak Bai ha lasciato una ferita profonda nella comunità malay musulmana nel profondo meridione che sente che dopo nove anni la giustizia resta una chimera dal momento che nessuno è stato ritenuto responsabile per quelle morti. Molti di loro hanno quel dolore dentro di loro, mentre altri si sono uniti all’insorgenza.
Lanciare la propria rabbia contro chi piange i propri morti ed onorare i separatisti caduti non cambierà il modo di pensare di chi sostiene l’insorgenza. Nè l’arresto di chi ha caricato il video su Youtube sarà di aiuto nel convincere la gente dei musulmani locali che è importante vincere la guerra contro l’insorgenza. Il “processo di guarigione” esteso alle famiglie dei separatisti morti da parte del governo è un tentativo nella giusta direzione, sebbene sia stato interpretato male, quando fu annunciato dal ministro Chalerm. Sebbene non sia pagata nessuna ricompensa per le morti dei loro amati, le famiglie hanno bisogno di aiuto e comprensione sulle ragioni di queste morti.
Come parte di questo processo, i figli di Maroso, che guidò l’attacco fallito sulla base dei marine e che è ritenuto l’omicida del maestro dell’insegnante musulmano nella scuola di Bacho, riceveranno sostegno nell’istruzione per poter continuare nei loro studi. Perché aiutare la famiglia dell’omicida di un insegnante? Alcuni possono fosse giustificare il gesto. Ma dovremmo condannare i figli per i crimini commessi dal padre? I bambini indipendentemente dai loro genitori hanno bisogno di istruzione perché così non seguano le orme dei loro genitori.
Le forze di sicurezza hanno vinto una battaglia a Bacho che darà un colpo all’insorgenza. Ma per vincere la guerra c’è ancora tanta ma tanta strada da fare. E per cincere questa guerra, è necessario per prima cosa vincere la fiducia e la comprensione dellagente della regione, specie le famgilie dei separatisti.
Ma in nove anni dal massacro di Tak Bai è diventato chiaro che il solo uso della forza non è la soluzione al conflitto anche se per il momento la forza è necessaria. Un dialogo di pace sembra il giusto modo di affrontarlo ma la grande domanda è chi parlare dal momento che gli insorti non hanno un chiaro capo.
Nella morte si vede un altro lato dell’insorgenza, nationmultimedia
I genitori di Maroso hanno dovuto attender quattro ore davanti all’ospedale di Narathiwat in attesa del corpo del figlio, poiché il comandante della IV armata ed altre personalità volevano vedere le sembianze di questo capo appena trentunenne. Maroso era uno dei sedici separatisti uccisi nello scontro a fuoco con i marines nel distretto di Bacho, quando 50 separatisti sono caduti nella trappola, avendo le autorità saputo in anticipo dell’attacco pianificato.
Per le autorità Maroso era un militante, che aveva perso la via intrappolato in un movimento armato che abbraccia una storia distorta e falsa dell’Islam. Aveva oltre dieci mandati di cattura ed era latitante da cinque anni. Ma per la famiglia e i suoi vicini era una persona responsabile che amava profondamente la moglie ed i bambini.
“Si assicurava che i nostri figli ed io vivessimo confortevolmente. Costruì la casa con il suo lavoro di commerciante di bestiame.” dice Rusanee, moglie di Maroso e madre di una ragazza di sedici ed un bambino di un anno e mezzo. “Comprò a nostra figlia un computer e le parlava di come avrebbe voluta vederla crescere da donna istruita e pia, e avrebbe voluto che studiasse all’estero”
“C’era stato anche il momento in cui volevano che si consegnasse tanto che presero suo fratello più giovane pensando che lo avrebbero convinto a consegnarsi” dice sua madre.
Il suo funerale ha attratto una grande folla ed è stato un momento molto forte. Giovani e vecchi facevano la coda per vedere il suo corpo avvolto in un manto bianco. Sullo sfondo c’era un canto costante di “Allah è grande”
Nonostante l’elevato numero di solati nella regione Maroso e gli altri ricercati si aggiravano alquanto liberamente soprattutto perché la comunità locale non li avrebbe consegnati. Le autorità dicono che la gente ha paura, ma i residenti dicono che i militanti fanno parte della comunità. Come i separatisti, condividono alcuni dei sentimenti e della sfiducia storica nei confronti dello stato thailandese.
Che Mah Che Ni dice che la vita del figlio è cambiata drasticamente dopo il massacro di Tak Bai nel 2004 che portò alla morte di 84 dimostranti disarmati, la maggioranza dei quali morti soffocati nei camion. “Fu uno dei ragazzi accumulato uno sopra l’altro sul camion dei militari. “ dice Che Mah. Il massacro che non vide mai la punizione di alcuno, ha radicalizzato un’intera generazione di musulmani malay in una regione già fortemente piena di contese ed è diventata parte di una narrazione locale che nutre la giustificazione per prendere le armi nel movimento separatista.
Qualche anno dopo Tak Bai, Maroso e Rusanee si sposarono. Lei dice che sapeva benissimo cosa andava incontro e comprendeva i rischi. Provarono a vivere e lavorare in Malesia, ma ritornarono quando lei attendeva il loro primo figlio. Di ritorno a Bacho Maroso cominciò di nuovo quello che aveva lasciato. Quando le si chiede delle sue attività di separatista, Rusanee ha risposto: “Ognuno sa di cosa si tratta”.
Maroso fece visita a sua moglie ed ai figli tre volte nel mese scorso e le telefonò prima dello scontro a fuoco a pochi chilometri dal villaggio. “Mi disse che sarebbe tornato a casa e di non aver paura.”
Maroso è tornato, ma da morto. Seppellito come un martire, shahid, secondo la tradizione islamica. “Era qualcosa che voleva da sempre” dice Rusanee che è fiera del marito e lo ringrazia per le cose che ha. Lei dice di non pentirsi di nulla.
In un certo senso la morte di Maroso è stata una benedizione. Almeno, ha detto la moglie, non c’è più da preoccuparsi se fosse stato preso vivo.
“Era certo che sarebbe stato torturato con severità se lo avessero preso vivo”.