Il partito democratico, dopo aver mostrato l’intenzione di bloccare le elezioni, ha mostrato un sostegno aperto ai militanti feriti che si sono scontrati fortemente con la polizia davanti allo stadio dove si teneva la registrazione dei partiti.
La Commissione elettorale nel frattempo, composta per altro da persone elette dal potere realista contrario a Yingluck, ha espresso più volte la necessità di spostare le elezioni per il clima acceso che è nel paese. In alcune province meridionali, dove i democratici sono maggioritari, non ci sono state registrazioni di candidati anche per il blocco lì realizzato. Nelle altre parti del paese la situazione invece è normale.
Giungono notizie di un’esecuzione sommaria, nelle ore della notte, da parte di persone armate con fucili M16, di guardie dei manifestanti. Uno sarebbe il morto e ci sarebbero altri tre feriti.
Il comandante delle forze armate Prayuth continua a dire che il golpe non è né escluso né imminente, ma la situazione lo renderebbe inutile e forse troppo costoso per il paese in termini di vita umana. I militari, fedeli a tutti tranne che al governo democraticamente eletto, continuano a stare alla finestra.
Il clima politico tocca anche gli occidentali che a vario titolo vivono e lavorano in Thailandia e che si esprimono a vario titolo sulla situazione del paese. Alcuni giornalisti sono stai oggetto di contatto fisico con alcuni manifestanti, altri sono stati minacciati e comunque si sente una xenofobia già apparsa in passato secondo cui chi non è thai non può capire il paese e il rischio che la Thailandia corre. Su un articolo apparso su Prachatai, Pravit Rojanaphruk scrive:
“Agli inizi del mese un Thai di buona istruzione, Pathonpong Charoenwut, scriveva questo messaggio molto diffuso in inglese sulla sua pagina Facebook. ‘Ad alcuni cari espatriati che vivono nel REGNO della Thailandia, ripensate prima di postare tutte le lamentele che dicono di come siate infastiditi dal traffico causato da una folla o da come siete stufi di questo paese. Per essere chiari, nessuno vi chiede di stare, nessuno ha bisogno di voi, e senza di voi stiamo bene se non meglio. Siete voi che scappate dalla disoccupazione, dai problemi e dalle perdite…Siate rispettosi per favore e attenti prima di scrivere qualcosa che mostra i vostri casini che ricordano a voi e a noi che eravate dei PERDENTI. Triste ma senza sorprese lo siete ancora….’
La versione thailandese acclusa a quella deliziosa in inglese era in fatti più volgare, dove si paralva degli stranieri usando un termine che è riservato agli animali, bang tua…
‘Stanco delle magliette rosse straniere’ aveva aggiunto in un commento… ‘stanco da tanto tempo. Andate a morire… non minaccio nessuno’
Non è una cosa isolata. Il corrispondente della BBC Jonathan Head ha detto che mentre faceva il proprio lavoro tra i manifestanti, uno gli gridò: ‘Sono tutte menzogne’. Alcuni manifestanti hanno anche detto ‘religiosamente’ a Head che le magliette rosse sono drogate dalla propaganda.
E non sono solo le magliette rosse ad essere dei creduloni. Un editore thailandese di viaggi ha di recente usato la parola credulone per descrivere la stampa estera nel proprio articolo.
Il comandante supremo del PDRC Suthep Thaugsuban ha anche avvisato la stampa estera a non valutare la situazione secondo i loro sentimenti e cultura occidentali. I farangs, o gli occidentali come ci si riferisce in Thailandia, sono considerati o creduloni o comprati da Thaksin e Yingluck se non sono sostenitori del PDRC.
Ultima accusa simile è stata lanciata a Thomas Fuller del The New York Times per aver distorto la situazione del paese. Nessuna prova è stata mai portata per provare che gente come Head o Fuller, che lavorano per rinomate organizzazioni giornalistiche, siano stati pagati da Thaksin o da Yingluck.
Questi corrispondenti esteri, al contrario di altri legati a Bangkok, fanno sempre interviste di norma alla gente delle province e non confondono mai Bangkok per la Thailandia nel suo complesso, indipendentemente da quanti ‘milioni’ sono i manifestanti in piazza nella capitale…
CNN, BBC… e tutte le grandi testate occidentali del mondo contro il PDRC e i manifestanti ultra nazionalisti con le loro bandiere che sentono di combattere per una causa impossibile. Rafforza il loro senso di importanza e fa della loro causa qualcosa di santo, del tipo la Thailandia contro il resto del mondo maligno capitalista occidentale.
Con un ‘nemico’ immaginato più grande della realtà si sentono ancora più arrabbiati, più uniti e impegnati. Ma a cosa?
Non vedo mai la xenofobia come una ricetta per una democrazia ed un’uguaglianza genuine, benché lascerò quella conclusione al buon giudizio anche se presumibilmente credulone dei lettori thailandesi e stranieri.”
Qui di seguito presentiamo l’intervista al giornalista Pravit Rojanaphruk fatta dal giornalista Rodion Ebbighausen per Deucthe Welle.
Sono due mesi ormai che la Thailandia è immobilizzata da una crisi politica mentre l’opposizione domanda al primo ministro democraticamente eletto, Yingluck Shinawatra, di dimettersi dall’incarico (di primo ministro pro tempore).
Deutche Welle: Sono due mesi da quando la tensione politica ha cominciato davvero a riscaldarsi in Thailandia. Vede un qualche segno che uno dei gruppi politici possa uscirne vittorioso?
Pravit Rojanaphruk: Credo che la soscietà thailandese sia pesantemente divisa e che sia l’opposizione che il governo siano potenti quasi in modo uguale. Sin dal golpe del 2006 che cacciò il premier Thaksin Shinawatra nessuna delle due parti è stata sconfitta completamente. Il golpe comunque non è riuscito a porre termine all’influenza politica di Thaksin.
DW: Vede la possibilità di un qualche compromesso tra opposizione e governo?
PR: C’è sempre una possibilità di compromesso, ma entrambi gli schieramenti al momento sembrano non voler neanche parlarsi. Forse ci potrebbe essere un accordo dopo che un grande danno si è compiuto. Sei persone sono state già uccise in un periodo di due mesi dall’inizio delle proteste, e non escludo che ce ne possano essere altre.
DW: Ma il rpimo ministro ha detto che le elezioni anticipate potrebbero aiutare ad allentare la tensione?
PR: E’ un’offerta che i maniestanti hanno rigettato.
DW: Ha il governo un qualche spazio di manovra in questa situazione?
PR: C’è poco spazio davvero. Credo che la prospettiva più probabile è che ci sarà ulteriore danno per la società thailandese ed alla fine entrambi gli schieramenti sentiranno la pressione da parte di chi non appartiene a nessuno dei due schieramenti di raggiungere un compromesso. Ma ci vorrà del tempo.
DW: Sia il Re che i militari non sono ancora intervenuti nel conflitto. Ci sono indicazioni che potrebbero farlo in un prossimo futuro?
PR: I militari interverranno solo se la situazione diventasse incontrollabile. C’è stata violenza ma non è diffusa. La ragione della riluttanza dei militari ad entrare in questo conflitto è perché sache ci sono milioni di sostenitori del governo che si opporranno a tale intervento. Quando i militari fecero il golpe nel 2006 non esisteva un movimento a sostegno di Thaksin. Se provassero a ripetersi sarebbe impossibile governare il paese. Solo se ci fosse una aperta guerra civile, i militari farebbero qualcosa. Ma non risolverebbe la questione principale. Per quanto riguarda il Re, è troppo fragile e debole per entrare in questa faccenda. C’è una grande ansia tra i manifestanti antigovernativi perché sono fedeli al re e sono preoccupati del futuro della monarchia nel paese. Una delle ragioni per cui tanta gente si è riversata nelle strade per cacciare Yingluck e sfidare l’influenza di Thaksin sul governo della sorella è perché credono che Yingluck e Thaksin siano antimonarchici e sono preoccupati per quello che potrà accadere dopo la morte del re.
DW: crede che le elezioni anticipate previste per febbraio prossimo potrebbero portare pace e stabilità alla Thailandia?
PR: C’è una piccola possibilità. Se un gran numero di persone non va a votare, sarà messo in dubbio la legittimità del governo, e i manifestanti torneranno a chiedere le riforme. D’altro canto, ci potrebbero essere diffusi malcontenti in differenti parti del paese, come a Bangkok e nel meridione, dove l’opposizione è più influente, durante i giorni delle elezioni. E’ una situazione difficile. L’elezione in sé non è la soluzione. Sono cruciali il bisogno di un dialogo e di un compromesso.