Durante una camminata recente lungo Siam Square, il distretto icona delle compere e dell’intrattenimento, osservavo una giovane e benestante donna mentre gioiosa sfregiava quello che restava di un’insegna del Quartier Generale della Polizia. Nella stessa piazza balenavano sugli innumerevoli schermi piatti le facce degli oratori che predicavano l’odio verso il governo. I bidoni dell’immondizia erano stati ricoperti con fotografie dell’attuale primo ministro e del fratello Thaksin. Questi erano solo i segni più visibili di una tensione politica di tanti anni che è ripresa a bollire a novembre.
Prima del 2001, i primi ministri thailandesi apparivano e scomparivano con frequenza prevedibile. Erano eletti dalle province, ma prontamente cacciati dall’elite di Bangkok, vale a dire militari, burocrazia la rete che circonda la monarchia e gli interessi affaristici importanti. Il sistema si appellava all’elite di Bangkok e gli elettori provinciali di routine non riuscivano a mettersi insieme per sostenere collettivamente i propri interessi. Poi tutto cambiò con l’arrivo sulla scena politica di Thaksin, un miliardario delle telecomunicazioni.
Egli viene da Chang Mai, la capitale culturale della Thailandia del nord. Prima di diventare quello che è, era un ufficiale di polizia. Prima di qualunque altro politico riconobbe il valore di adeguare il proprio messaggio alle richieste degli elettori. Fu il primo a fare uso delle tecniche moderne elettorali e di marketing, e fu uno dei primi a riconoscere che la chiave per il successo elettorale sarebbe stato la cattura del voto nelle zone popolose del nord e del nordest, residenza di un segmento a rapida crescita della popolazione thailandese, i villaggi urbanizzati.
Sebbene gli abitanti di questi villaggi siano registrati nella provincia, essi passano gran parte del proprio tempo nelle aree industriali di Bangkok e nei settori dei servizi; allo stesso tempo le zone rurali si vanno rapidamente urbanizzando. La provincia è venuta verso la città e a città verso la provincia. Thaksin scoprì che gli abitanti dei villaggi urbanizzati non volevano più lavorare nelle risaie, potendo ingaggiare per questo i più economici lavoratori birmani e cambogiani. Invece sognavano di inviare ai college i loro figli, scegliendo anche di sbattersi per fare due o tre lavori. Thaksin si mise all’opera per convincerli con un sistema di salute virtualmente libero, rinvio del debito e fondi di sviluppo della comunità. I risultati furono che i suoi partiti hanno vinto vittorie decisive in tutte le elezioni generali del paese del decennio scorso.
La vecchia elite non prese questo successo alla leggera. Agli inizi del 2006 Thaksin si trovò di front ad una serie di accuse di corruzione e di abusi di diritti umani. Molti dei suoi alleati gli si rivoltarono contro dando inizio alle proteste delle magliette gialle contro il suo governo ed in difesa della monarchia, i sui sostenitori credevano che l’ascesa di Thaksin fosse una sfida alla posizione reale. Questi eventi che furono relativamente pacifici misero in moto una sequenza sconcertante di manifestazioni politiche “colorate”, elezioni, interventi giudiziari e macchinazioni militari che continuano tutt’oggi.
Lo stesso Thaksin fu cacciato in un golpe militare nel settembre 2006 mentre era all’assemblea generale dell’ONU a New York. I tribunali dissolsero il suo partito politico e lo misero al bando insieme ai suoi alleati principali per cinque anni. Tanti elettori non furono ingannati: una versione riveduta e corretta del partito di Thaksin vinse con agio le prime elezioni del dopo golpe portando al potere un sostituto, Samak Sundaravej. La corte costituzionale allora cacciò Samak sull’accusa bizzarra di aver presentato illegalmente uno show di cucina in televisione. Le corti abolirono il partito di Thaksin ancora una volta e questa volta l’opposizione che aveva perso le elezioni del 2007 istituì un governo. Le magliette rosse legate a Thaksin occuparono parte della Bangkok centrale da marzo a maggio 2010, e si scontrarono con una repressione militare che comportò oltre 90 morti.
Le tensioni tra le forze contro e a favore di Thaksin scemarono le elezioni di luglio del 2011 in cui la sorella più giovane di Thaksin, Yingluck Shinawatra, fu eletta primo ministro. Dal carattere pragmatico e dai toni calmi, Yingluck confuse i suoi critici con una tendenza al compromesso. Si dimostrò capace di lavorare bene sia con i vecchi avversari del fratello che con il palazzo e le forze armate, facendo in seguito persino la funzione di ministro della difesa. Sotto la sua guida le fazioni raggiunsero un accordo: sarebbe rimasta al potere fintanto che non voleva far approvare questioni sensibili, come la sacrosanta monarchia o l’esagerata finanza militare. Un’altra condizione implicita era che Thaksin, che ora vive a Dubai, non ritornasse in Thailandia. Fu un accordo tra Yingluck e il potere che non fu mai fatto pubblicamente, ed escludeva tacitamente il partito democratico e il movimento delle magliette gialle.
Fino alla seconda parte del 2013, tutto sembrava filare liscio e, per lo meno alla superficie, la Thailandia sembrava tornare alla normalità. Poi accaddero due cose che distrussero quell’accordo. Primo, Yingluck fece il suo primo calcolo politico sbagliato, quando la notte del 1 novembre membri dei suo partito approvarono nella camera bassa del parlamento una legge di amnistia per i reati politici che erano accaduti tra il 2004 e il 2013. La legge, che trovò l’opposizione non solo del Partito Democratico ma anche di molti sostenitori governativi, avrebbe aperto la strada al ritorno in Thailandia di Thaksin. In precedenza a questo episodio Yingluck era parsa essere più fedele a se stessa nel prendere le distanze dalle mosse più aggressive di Thaksin per assicurarsi il perdono reale. Ma il dibattito dell’amnistia fece capire che alla fine dei conti era grata a suo fratello. Sebbene con prontezza avesse cassato la legge, la sua credibilità era finita.
Seconda cosa, riconoscendo che non avevano alcuna possibilità di vincere le elezioni, gli oppositori di Thaksin rividero la loro strategia. Laddove il vecchio primo ministro del partito democratico Chuan Leekpai aveva fatto campagna elettorale negli anni 90 sotto lo slogan “credo nel sistema parlamentare”, nel dicembre 2013 tutti i parlamentari del partito si dimisero dal parlamento e si diedero alla politica di strada che avevano sempre professato di biasimare. Il già vice primo ministro Suthep assunse la guida di un nuovo movimento riunificato contro Thaksin , il PDRC, che includeva le magliette gialle. Il PDRC mobilitò grandi manifestazioni nella bangkok Centrale attirando gran parte del suo sostegno dalla classe media urbana. Secondo un’indagine della Asia Foundation quasi due terzi dei dimostranti avevano entrate superiori ai 1000 dollari al mese, una buona paga per gli standard thailandesi.
L’attuale polarizzazione non è del tutto su Thaksin. Non è stato lui a cambiare la Thailandia, quanto piuttosto lui ed i suoi partiti hanno identificato e capitalizzato la trasformazione socioeconomica, uno spostamento nelle aspirazioni degli elettori che erano in corso da almeno due decenni.
Gli abitanti dei villaggi urbanizzati sono fortemente stanchi del continuo paternalismo della capitale e dei suoi cittadini. Il PDRC continua ad insistere che Thaksin manipolò milioni di provinciali non istruiti e poco sofisticati per catturare il loro voto, per cinque volte di seguito. I partiti di Thaksin, come tutti gli altri partiti thailandesi, avevano speso senza dubbio grandi quantità di denaro per vincere le elezioni, ma non si può comprare così un successo elettorale. Lo si può amare o odiare, Thaksin è semplicemente il più popolare politico thailandese del momento.
Oggi il PDRC invita alla riforma e alla fine della corruzione. Ma il partito democratico si è opposto consistentemente a tutti i modi delle riforme politiche nei due decenni scorsi: la fondamentale costituzione del popolo del 1997 fu approvata solo dopo che il capo del partito democratico Chuan Leekpai andò via dal potere. E la richiesta di Suthep di un’assemblea di persone dei diversi gruppi occupazionali ha tutto l’aspetto di un ritorno all’autoritarismo, non un processo di riforma democratica. Inoltre è una profonda ironia che ora Suthep si reinventi come un capo contro la corruzione: nel 1995 in modo spettacolare buttò giù il proprio governo dopo aver presieduto un programma di riforma agraria, secondo cui gli amici del suo partito a Phuket ricevettero la terra che era intesa per gli agricoltori di basso reddito. Lui ha negato ogni malefatta.
Yingluck ha risposto alle proteste indicendo un’elezione anticipata per il 2 febbraio. Il Partito Democratico le boicotta, e forse il voto potrebbe essere rinviato. I manifestanti hanno già impedito il voto anticipato del 26 gennaio. Ed un capo della protesta è stato ucciso a Bangkok, la decima persona dall’inizio delle proteste.
In queste condizioni un’elezione risolverà pochissimo senza un accordo tra le fazioni rivali. Tutti devono accettare che riforme ed elezioni sono necessarie, mentre non lo sono golpe e qualunque altra forma di violenza. Eppure, mentre la legge e l’ordine si infrangono, un simile accordo sembra lontanissimo. Le forze armate, che in primo luogo giocarono un ruolo centrale nel permettere la nomina di Yingluck a primo ministro, sembrano assumere ora il ruolo di intermediario. I generali, riluttanti a lanciare un golpe convenzionale, che ne farebbero nella provincia il parafulmine dello scontento popolare, proveranno prima a trovare un terreno di mezzo costringendo il partito di Yingluck a sottoscrivere un processo vero e proprio di riforma politica ed a offrire concessioni salva faccia che permetta al PDRC di rallentare la propria protesta.
La classe media frustrata di Bangkok potrebbe avere qualche momentanea gratificazione nel colpire Yingluck, ma in questo modo negano profondamente la realtà politica: gli abitanti dei villaggi urbanizzati sono il futuro del paese e non spariranno. Thaksin è una figura latamente disturbante come lo sono alcune figure del movimento contro di lui. Piuttosto che chiamare vendetta e castigo, i manifestanti hanno bisogno di cercare un compromesso prima che la violenza prenda altre vite e diventi scontro aperto sulle strade di Bangkok.
Thai Takedown, Letter From Bangkok, di Duncan McCargo.