Da oltre due settimane decine di militanti islamici si confrontano contro le forze armate filippine a Marawi, nell’isola meridionale di Mindanao, dove la gran parte della minoranza musulmana vive. La battaglia acuta, che è insolitamente dura persino per gli standard di questa parte del paese dove il conflitto vive da decenni, indica che l’ISIS è anche un problema del Sudest Asiatico e che il governo filippino forse è l’anello più debole nell’affrontarlo.
Mentre il presidente filippino ha centrato le energie nel suo primo anno alla presidenza nel lanciare una campagna brutale contro spacciatori e tossicomani sospetti, una variegatacoalizione che sostiene l’ISIS costituita da exguerriglieri, studenti universitari, figli di famiglie politiche, convertiti all’Islam, è cresciuta fino a diventare una forza combattente di sorprendente forza continua.
Mindanao è casa di insorgenze molto forti, ma l’arrivo di questa coalizione, che è più ideologica con legami diretti gli islamici all’estero che ad ogni gruppo locale, segna il fallimento del governo nel comprendere come sia cambiata la natura dell’estremismo delle Filippine.
Sono attive a Mindanao ribellioni armate in favore dell’autonomia sin dagli anni 70. Il Fronte di Liberazione Nazionale Moro, MNLF, raggiunse un accordo di pace con governo nel 1996, ma le fazioni che non amarono parti di quell’accordo continuarono a lottare. Il Fronte di Liberazione Islamico Moro, MILF, un gruppo separatosi con 12 mila combattenti, iniziò i negoziati lo stesso anno raggiungendo quasi un accordo finale col il predecessore di Duterte. Ma il processo di pace crollò agli inizi del 2015 e, tranne poche iniziative del nuovo governo, resta bloccato.
Ai margini delle insorgenze sono periodicamente apparsi terroristi stranieri, i più noti sono quelli di Al Qaeda a metà degli anni 90, e poi quelli dell’organizzazione indonesiana di Jemaah Islamiyah. Nel 2005, quando il MILF cacciò un piccolo gruppo di questi uomini per perseguire i colloqui di pace col governo, questi si unirono ad Abu Sayaff, che nacque dalla costola del MNLF non accettando l’accordo con il governo.
Abu Sayaff, legato all’isola di Sulu, voleva uno stato islamico per i musulmani di Mindanao. Il gruppo divenne famoso per le attività di estorsione e rapimenti ma negli anni 2000 diede rifugio a terroristi stranieri.
Non c’era da sorprendersi che Isnilon Hapilon, uno dei leader del gruppo, sarebbe stato tra i primi militanti a dare fedeltà a Abu Bakr al-Baghdadi, il capo dello Stato Islamico, dopo aver dichiarato un califfato a Mosul nel 2014. Agli inizi del 2016 emergeva una nuova coalizione in favore dell’ISIS sotto la guida di Hapilon che univa gruppi lungo linee regionali ed etniche.
Il governo ha sdegnato la crescente minaccia. Appena dopo Duterte divenne presidente decise di distruggere Abu Sayaff per rispondere alla decapitazione delle vittime dei rapimenti. Infatti i rapitori non aveva legami alla fazione di Hapilon.
In parte perché il governo non riuscì ad apprezzare questo fatto, non è riuscito a vedere che allora la coalizione in favore dell’ISIS si era già estesa al di là dei confini classici di Abu Sayaff e che i loro capi erano più guidati dall’ideologia più che dal profitto.
Un’offensiva militare contro le forze di Hapilon a Basilan a metà 2016 riuscì solo a far muovere il quartier generale operativo nelle giungle di Lanao del Sur, a Mindanao Centrale. Marawi è la capitale della provincia.
Le bombe al mercato notturno di settembre 2016 a Davao, la città di Duterte, avrebbe dovuto essere una sveglia per il governo. Vari presunti colpevoli hanno detto dopo alla polizia che, mentre accettavano le istruzioni di Hapilon, l’operazione era stata pianificata e organizzata dai fratelli Maute che ha la sua base a Lanao del Sur. I fratelli Maute sono una nuova specie di estremisti: giovani, carismatici, che parlano l’arabo, istruiti nel medio oriente, che conoscono i social media e con vasti legami internazionali.
Questa famiglia estesa era parte della elite affaristica e politica di Marawi oltre ad essere legata per matrimonio con le alte sfere del MILF. Dal novembre scorso il gruppo Maute ha avuto numerosi scontri con l’esercito, prendendo per due volte la piccola città di Butig.
Queste operazioni militari non sono serviti da deterrente: I combattenti che occupano Marawi oggi provengono non solo da Lanao ma anche dalla coalizione più vasta dell’ISIS, compreso Basilan e l’estero. Alcuni delle persone uccise a Marawi sono nazionali malesi, indonesiani e sauditi.
Ad aprile 2014, prima della nascita del Califfato islamico a Mosul, tre malesi si unirono ad Hapilon a Basilan. Il più anziano era Abu Anas the Emigré che sembra sia stato in diretto contatto con il comando centrale dello stato islamico. Dopo la sua morte a Basilan nel dicembre 2015, Mahmud Ahmad, un tempo professore di studi islamici all’università della Malaya, prese il sopravvento come stratega, finanziatore e reclutatore, prima pe Hapilon e po per la coalizione. Si crede che ora si trovi a Marawi.
A metà 2016 mentre i viaggi attraverso la frontiera turca diventavano sempre più difficili, i capi dell’ISIS approvarono la Jihad a Mindanao. Lo scorso giugno, i media ufficiali del gruppo rilasciarono un video che mostrava un indonesiano, un malese ed un filippino invitare i propri compatrioti che non riuscivano ad andare in Siria ad andare nelle Filippine.
Sono apparse tante simili esortazioni pro ISIS sull’applicazione Telegram. La presa recente di Marawi, salutata con molta euforia dagli estremisti sui social media indonesiani e di altri paesi, porterà certamente ad altri stranieri ad andare nelle Filippine.
Ecco perché Duterte deve presentare una strategia per fermare l?ISIS nelle Filippine e la coalizione dello stato islamico che vada oltre le incursioni aeree e il sempre crescente uso della forza.
La legge marziale proclamata il 23 maggio potrebbe portare ad altri arresti e detenzioni, ma non riuscirà a raggiungere le radici della radicalizzazione: Il cattivo governo, sistema legale disfunzionale e povertà endemica. Le prigioni, sovraffollate e malridotte sono le prime fonti di reclute per i terroristi.
Il governo ha urgentemente bisogno di riportare in auge il processo di pace a Mindanao. Più rimane fermo, maggiore è il pericolo che la disillusione possa portare i militanti del MILF ad unirsi agli estremisti.
L’amministrazione Duterte ha finora risposto alle minacce della coalizione estremista con il tentativo di sconfiggerla militarmente. Troppo spesso tattiche dal braccio forte hanno solo fatto uscire altri militanti, per giunta col desiderio di vendetta. Il governo deve presentare una strategia comprensiva per risolvere i problemi sociali, economici e politici che hanno portato gli ideologi dello stato islamico ad avere un fascino forte su Mindanao.
Sidney Jones, NYT