Critica della monarchia thai: si spera che cambierà qualcosa

Il governo thailandese ha di recente riformulato la sua strategia comunicativa verso la critica della monarchia thai.

Sin dalla fine del 2017, non sono state fatte denunce di lesa maestà, una cosa che comunque non garantisce assolutamente il ritorno della libertà di parola. La discussone sulla monarchia è strettamente proibita secondo altri articoli del codice penale.

La lesa maestà è definita dall’articolo 112 del Codice Penale che stabilisce che commenti sul re, la regina ed il reggente sono punibili con sentenze di carcere fino a 15 anni. Nel decennio scorso la legge di lesa maestà fu usata largamente come un’arma per minare l’opposizione politica. Ma l’abuso della legge causò seri danni all’istituzione reale e la Thailandia fu criticata con forza dai gruppi dei diritti umani internazionali.

Il regno di Vajiralongkorn è accompagnato da un cambio enorme nell’uso della legge di lesa maestà.

Il critico thailandese Sulak Sivaraksa dopo aver incontrato nel 2018 Re Vajiralongkorn disse che fu l’iniziativa del re ad aver bloccato nuove accuse di lesa maestà.

“Aveva una cattiva immagine pubblica, lo riconosce. E’ molto preoccupato per la sopravvivenza della monarchia e se questo paese poteva essere davvero democratico. Credo che il re sia saggio. Vuole che la monarchia sia più aperta e più trasparente.”

E’ fortemente dubbio che il nuovo re aspiri alla democrazia; i critici della monarchia continuano ad essere perseguiti e a subire violenza dallo stato.

Imitando il comportamento di moderni autocrati dovunque, Vajiralongkorn è emerso come un “monarca sofisticato” che rimpiazza l’uso della barbara legge di lesa maestà con misure più dolci di manipolazione di informazione per controllare l’opinione pubblica su di lui.

Di conseguenza furono emesse nuove linee guida sulla gestione della lesa maestà da parte dell’Avvocatura Generale che deciderà se i casi di lesa maestà saranno portati davanti ai giudici. I pubblici accusatori non hanno più il potere di ordinare l’istruzione di casi di lesa maestà. Questo approccio morbido include la liberazione di alcuni prigionieri politici accusati di lesa maestà.

Nel 2019 all’interno della celebrazione della cerimonia di incoronazione del re vari condannati di alto profilo di lesa maestà ebbero il perdono reale.

Lui non è solo nel fare questa scelta. “Autocrati informati” simulano la democrazia convincendo la propria gente di essere fieri dei diritti umani piuttosto che terrorizzarli. Uno studio recente di Sergei Guriev e Daniel Treisman ha trovato che gli autocrati impiegano la repressione violenta molto meno spesso dei loro predecessori. Di conseguenza la Thailandia presta ora più attenzione a sfruttare la moderna tecnologia dell’informazione per chiudere le discussioni ritenute critiche della monarchia.

Una via è di trasformare la legge del crimine informatico per trattare le accuse di lesa maestà.

La legge del crimine informatico in vigore dal 2017 è esercitata per gestire elementi antimonarchici. Essa definisce i reati informatici e le pene relative e il cybercrimine in modo che impedisce a chiunque di criticare alcune istituzioni considerate importanti per la sicurezza nazionale, alcune delle quali coinvolgono la lesa maestà.

Spesso si usa l’articolo 14 comma 1 che dice che un atto che coinvolge l’importazione di un sistema informatico di dati forgiati, o per intero o in parte o falsi dati informatici, in modo che causano danni alla gente o a terze parti, deve essere punito con la prigione per non più di cinque anni, o ad una multa o ad entrambi.

I commenti e la critica della monarchia thai sono tradotti arbitrariamente in dati falsi con la violazione della legge del crimine informatico. Naturalmente in Thailandia provare la falsificazione dei dati sulla monarchia è essa stessa illegale. Inoltre l’articolo 116 del codice penale, la legge della sedizione, è usata anche contro i critici thailandesi.

TLHR, avvocati thai per i diritti umani, ha emesso una dichiarazione in cui si ammette che, sebbene le autorità siano riluttanti ad accusare secondo la legge di lesa maestà, le accuse secondo altre leggi continuano ad essere uno strumento importante per restringere la libertà di espressione ed eliminare il dissenso dalla società.

Ci sono molti casi di Thailandesi accusati di lesa maestà prosciolti dall’accusa ma condannati però per reati del crimine informatico.

L’altro metodo per controllare l’informazione è di bloccare i siti web. Una ricerca di OONI, Open Observatory of Network Interference, Sinar Project e Thai Netizen Network mostra che dal novembre del 2016 a febbraio 2017, sono stati bloccati 13 siti su sei differenti ISP, compresi sit di notizie e materiali di Wikileaks.

Nel 2017 fu riportato che Facebook e YouTube avevano bloccato l’accesso dalla Thailandia ad oltre 1800 pagine contenenti materiali antimonarchici. Oggi Facebook continua ad acconsentire alla richiesta del governo thai rimuovendo materiali e foto considerati di insulto alla monarchia thai.

Nel maggio 2020 lo scrivente creò un gruppo Facebook, Royalists Marketplace, come una piattaforma di discussione e di critica della monarchia thai. Finora ci sono oltre mezzo milione di utenti, cosa che allarma lo stato enormemente. Ancora si affida a misure dolci per gestire la critica. Una volta che c’è la denuncia di lesa maestà, la polizia fa visita all’accusato a casa o sul lavoro; parla all’accusato minacciandolo di mandarlo in carcere e alla fine costringendolo a firmare una dichiarazione dove si afferma che non posterà più commenti critici della monarchia. Nessun arresto però è stato fatto.

Questo cambio ad un approccio morbido è sofisticato ed per un certo verso, legittimo, poiché è stato sostenuto da uno sforzo collettivo di agenzie dello stato monarchiche, al di sopra del gruppo vigilante.

Da giudici e polizia, all’esercito e rappresentanti ufficiali della tecnologia informatica, servono tutti da difensori della monarchia, rendendo il nuovo processo legale tanto efficace quanto la legge di lesa maestà, ma senza che rimanga in vista la legge di lesa maestà.

Pavin Chachavalpongpun, The Diplomat

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