La zona di confine tra Malesia Filippine e Indonesia è un epicentro per quello che si può definire arbitraggio terroristico nel Sud Est Asiatico
Le isolette, ben definite, danno ai conflitti una certa attenzione ed intensità, basti pensare all’Irlanda del Nord, Cipro, Timor Est. Non ci viene di pensare all’isola Sebatik, appena fuori della costa nordorientale del Borneo. Ma è una delle poche isole al mondo divise in due da un confine internazionale. Una linea diritti innaturale, tirata dall’Olanda e dal Regno Unito nel 1891 separano le rivali Indonesia e Malesia.
Di conseguenza i suoi abitanti vivono una strana esistenza transfrontaliera. Qualcuno si sveglia in una camera da letto indonesiana e pranzano nella cucina malese. I cittadini di entrambe le nazioni usano il dollaro malese per commerciare nella città più vicina, Tawau, nello stato malese di Sabah. Entrambi furono presi nel mezzo di un conflitto internazionale che si è svolto in piccole dispute locali e in un caso davanti alla Corte di Giustizia del L’Aia.
Fu sulla base del confine di Sebatik che l’Indonesia reclamò le piccole isole ad est di Ligitan e Sipadan. Il reclamo malese su queste isole si basava sulla custodia delle tartarughe locali secondo l’ordinanza del 1917 di Conservazione delle Tartarughe. Nel verdetto del 2002 che aveva implicazioni per i diritti delle riserve di gas e petrolio vicine, la ICJ accettò l’argomento delle tartarughe, dando la sovranità dell’isola alla Malesia: un vicino che cospira per prendersi il patrimonio storico stesso dell’Indonesia.
A complicare la faccenda, le Filippine vantano anche di avere la sovranità su Sebatik e il suo interno ed aveva cercato di intervenire nel caso di Sebatik sulla base che il Borneo del Nord è una regione storicamente governata dal Sultano di Sulu.
Un ricordo non accetto giunse nel febbraio del 2013 quando un gruppo di uomini armati filippini, autodefinitosi Forze di Sicurezza Reali del Sultanato di Sulu e Nord Borneo, uscì fuori dal XIX secolo per andare nella città dell’olio di palma malese Lahad Datu sulla costa di Sabah.
L’incursione fu debellata facilmente dalla sicurezza malese, ma il fatto gettò una nuova luce su un fatto curioso: la Malesia dall’accordo del 1963, aveva pagato in silenzio agli eredi del sultanato di Sulu nelle Filippine ogni anno 5300 Dollari malesi per il suo possesso continuato di Sabah, un pagamento che il governo malese rifiutò di chiamare “affitto”.
Questi echi di un passato coloniale non sono solo distrazione accademiche. Parlano di una realtà geopolitica continua che rende il confine Malesia, Indonesia Filippine un ambiente unicamente permissivo per terroristi ed altri attori che, alleati del IS o di Durul Islam, non si definiscono “non stato”.
E’ un ambiente che rende la zona di confine un epicentro per quello che si può definire arbitraggio terroristico nel Sud Est Asiatico.
In economia, il significato più semplice di arbitraggio si riferisce alla pratica di comprare beni in un mercato per venderlo ad un prezzo maggiore in un altro. Sebbene la strategia chieda un costo di transazione, è uno a basso rischio finché l’arbitraggista comprende i prezzi in entrambi i mercati, un limite di informazione. Teoricamente in un modello che assume l’arbitraggio, i prezzi discrepanti devono convergere poiché l’arbitraggista sfruttano la discrepanza per un facile guadagno finanziario.
Nella regione i terroristi transnazionali entrano in un arbitraggio triangolare per sfruttare le differenze geopolitiche tra Indonesia, Malesia e Filippine. Invece che essere motivati dal profitto, cercano di ordinare le scarse risorse per gli attacchi contro i loro nemici ideologici. Nel fare così si affidano alla loro conoscenza dei costi differenti di mobilitare risorse attraverso una regione diversa, la frammentata geografica di arcipelaghi del sudestasiatico marittimo, e dell’incapacità dei tre grandi stati dell’arcipelago di cooperare per abbatter le opportunità di arbitraggio.
La maggioranza dei gruppi militanti non sono agili arbitraggisti o imprenditori. Ma nella storia transfrontaliera del Jihadismo della regione si scopre che i militanti transfrontalieri importanti possiedono una conoscenza specialistica delle “condizioni di mercato” nell’arcipelago e dei legami di cui abbisognano per accedere. Come la figura del ex militante di JI Abu Tholut, tali militanti fortemente operativi conoscono, meglio di chiunque, tutte le vie di passaggio e delle zone oscure che connettono Malesia, Indonesia e Filippine.
I terroristi tentano due tipi principali di arbitraggio: il fattore di input e il normativo. L’arbitraggio da fattore di Input avviene quando i terroristi fanno leva sulle differenze geografiche nella distribuzione di fattori necessari per produrre un attacco.
A causa della diversità del Sudestasiatico marittimo, gli arbitraggisti che saltano da un’isola all’altra per esempio possono trovare che il costo per acquistare armi è più basso nelle Filippine meridionali (ma maggiore in Indonesia), il costo del viaggio internazionale è minore nella Malesia peninsulare (ma maggiore altrove), ed l’accesso ad obiettivi ad alto valore (stranieri e locali) è minor in Indonesia (ma alto dovunque).
Questi esempi di base descrivono anche una forma di arbitraggio terroristico regolatore in cui i terroristi sfruttano le differenze tra regolamenti e leggi negli stati. Il costo del viaggio internazionale è basso in Malesia a causa del suo status di centro di linee aeree a basso costo e al regime di immigrazione lassista della nazione. Il costo delle armi è più alto in Indonesia rispetto alle Filippine per l’assenza di insorgenza armata in Indonesia dove esiste un regime stretto di controllo delle armi.
Tornando all’isola di Sebatik, le tensioni territoriali tra i tre paesi giocano a favore delle strategie di arbitraggio del terroristi. Ma non solo perché queste tensioni frustrano l’abilità dei tre governi a cooperare contro i terroristi sulle tre frontiere, spazio fluido al centro dell’arcipelago malay che permette il viaggio internazionale a 360 gradi.
Nella misura in cui riducono la capacità degli stati a cooperare più in generale, le tensioni regionali sono promettenti ai terroristi di continue discrepanze nello spazio geopolitico frammentato, presentando una miriade di opportunità di arbitraggio che raramente sfuggono alla loro conoscenza.
Tali opportunità rimarranno aperte finché gli stati saranno incapaci a lavorare insieme per appianare le discrepanze o innalzare barriere all’arbitraggio.
Di recente, vari passi positivi sono stati fatti per accrescere la cooperazione regionale tra i quali il pattugliamento marittimo trilaterale. Sono sforzi appena iniziati.
Un segno della mancanza continua di fiducia tra Malesia e Filippine è l’incapacità a lavorare insieme per accertare le identità di militanti uccisi. I militanti malesi, che sono importanti in uno scenario di arbitraggio perché tra l’altro il costo della raccolta di fondi è relativamente basso in Malesia, erano fondamentali alla coalizione che catturò Marawi sotto la bandiera del IS.
Eppure le autorità filippine non hanno richiesto un campione di DNA dai malesi che permetterebbe loro di cancellare dalla lista di tutti il finanziatore chiave dell’attacco di Marawi, Mahmud Ahmad. Cosa uguale si è avuta in altri casi tanto che i militanti, i cui pseudonimi e nomi di battaglia sono efficaci nell’inganno, possono viaggiare come fantasmi nella regione senza essere toccati.
Non esiste ancora una struttura regionale per indicare come i militanti si muovono attraverso i confini nazionali. I jihadisti dei tre paesi sono ognuno intrisi nelle reti locali distinte e dinamiche che facilitano la mobilitazione transnazionale.
Nel rapporto di luglio 2017, l’IPAC di Giacarta raccomandava corsi brevi in cui gli ufficiali dell’antiterrorismo dei tre paesi potessero imparare da “casi reali di studio di estremismo transfrontaliero”.
Cogliendo l’idea, a dicembre si incontrarono rappresentanti dei tre paesi in un workshop tenuto da JCLEC. Ma a causa dell’impossibilità dei rappresentanti di autorizzare il programma di studio del caso, la mappa pratica dei legami transnazionali fu sostituita da una serie di presentazioni standard.
E’ un’ovvietà che mentre i terroristi perforano le frontiere internazionali, l’antiterrorismo è contenuto negli stati nazione. Ma è il fallimento di comprendere i legami transnazionali che permette ai militanti di mantenere la loro superiorità di informazione. Negli attacchi terroristici tali legami agiscono come un moltiplicatore di forza, permettendo processi di arbitraggio e di collaborazione attraverso cui agenti fondamentali si aggregano e impiegano risorse che sarebbero potute altrimenti mancare.
Lo scenario è analogo a quello di una multinazionale che cerca di stabilire una catena di produzione transnazionale per un nuovo prodotto. Il prodotto in questo caso è un nuovo attacco ed ha il potenziale di prendere le autorità locali di sorpresa perché il risultato è una combinazione di fattori alcuni dei quali sono al di là dell’orizzonte.
L’attacco del gennaio 2016 a Giacarta dove morirono quattro civili sarebbe potuto essere un massacro se non fosse stato un caso di fallimento di arbitraggio. Un importante arbitraggista nella rete di Jamaah Anshorut Daulah, il procacciatore di armi Suryadi Mas’ud, abbandonò il suo compito di portare più armi automatiche in Indonesia dalle Filippine via la catena delle isole Sanghie-Talaud. Altri che provarono a completare il compito non riuscirono a portare le armi a Giava.
Ma tale fallimento non ci deve rendere sicuri. E’ comune che i terroristi lavorano per prova ed errore finché ad un certo punto ci riescono. La prospettiva di un attacco con armi leggere con tante morti in uno spazio affollato resta ma minaccia maggiore del terrorismo in Indonesia. Il rischio di un tale attacco può solo esser maggiore di quanto lo era nel 2016 con centinaia di militanti ora esperti di guerriglia urbana che tornano dalle roccaforti IS siriane e di Marawi.
In pratica, l’arbitraggio non è affatto libero d frizioni o senza rischi come illustra il caso di Suryadi Masud arrestato a Giava lo scorso anno. Il costo delle transazioni possono essere una barriera significativa. Eppure in un mondo globalizzato segnato da un disegno forte di regionalizzazione, il costo dell’arbitraggio potrà solo scendere man mano che procede l’integrazione del ASEAN.
Come ha scoperto Pankaj Ghemawat nel suo lavoro per la compagnia DHL, il Pacifico e l’Asia Orientale è seconda solo all’Europa per connessione interregionale mentre i paesi del sudestasiatico ricevono inaspettatamente punteggi alti di interconnessione globale.
La accresciuta connettività fu un fattore nell’attacco di Marawi. Mentre alcuni jihadisti hanno usato le storiche vie di mare attraverso le tre frontiere per andare nelle Filippine meridionali, forse persino di più ne approfittarono della crescita nel viaggio aereo economico. Le compagnie aeree regionali connettono con programmi sorprendenti le città capitali della regione con voli nazionali e internazionali verso altre capitali o a capitali come Manila.
La cattiva gestione del ritorno dei civili rischia di creare nuove aree di simpatia per gli estremisti violenti.
Gli scettici dell’importanza dei legami transnazionali possono forse dire che Marawi e gli altri casi indicano che attraverso i confini internazionali si muove un basso numero di militanti. Una stima dell’antiterrorismo indonesiano Densus 88 è che solo quaranta cittadini indonesiani erano coinvolti a Marawi. Persino mentre i mujadhidin provano a fare di Marawi la più forte campagna di guerriglia urbana del IS al di fuori della Siria ed Iraq, sembra siano andati senza risposta i disperati appelli via Telegram ai sostenitori indonesiani di unirsi alla battaglia.
Ma gli attacchi più seri nel sudestasiatico sono sempre stai condotti da bassi numeri di agenti importanti transnazionali. L’archetipo è l’ex militante indonesiano Hambali. Quando fu arrestato nel 2003 la minaccia alla regione si ridosse di molto in parte perché lui era un legame unico ad Al Qaeda, ma anche perché solo lui capiva come sfruttare le differenze geopolitiche nella regione.
Come suggerisce il modello dell’arbitraggio i “mercati” dei terroristi non incoraggiano più grandi numeri di arbitraggisti rispetto ai mercati tradizionali. Un’opportunità di arbitraggio potrebbe attrarre solo pochi agenti flessibili capaci di comprendere le condizioni in più di un paese alla volta.
Il sudestasiatico continuerà ad essere vulnerabile al terrorismo transnazionale finché non ci sono almeno un ugual numero di agenti antiterroristici che fanno la stessa cosa.
Quinton Temby , NewMandala