Gli inquinanti presenti nell’ aria di Chiang Mai in Thailandia sono 20 volte maggiori degli standard previsti dall’OMS.
Ma la scorsa settimana il premier thai Srettha Thavisin ha preferito evitare di designare la città del nord thailandese ad area disastrata per proteggere il settore turistico del paese.
Con un intervento apparso su X, Srettha ha espresso le paure che l’annuncio “avrebbe avuto ripercussioni sul numero di turisti stranieri, in un momento in cui il turismo si è appena ripreso dal periodo post-covid”.
Alcuni si sono chiesti delle prospettive di questa decisione suggerendo che il governo thai dovrebbe invece concentrarsi sulla salute e qualità della vita dei suoi residenti. Se Chiang Mai fosse stata dichiarata zona di disastro avrebbe attirato i fondi di emergenza nella provincia a fini di mitigazione.
La decisione di Srettha è una scelta crudamente pragmatica e miope. Quello che fa più bene a Chiang Mai e al nord della Thailandia nel suo intero è di accelerare le soluzioni sostenibili ad un problema che trascende i confini provinciali e nazionali con un effetto di lungo termini sulla soluzione della popolazione thai oltre ad avere un impatto sulla reputazione della Thailandia come prima destinazione turistica.
Il flagello dell’inquinamento da PM2.5 che è il particolato che ha un diametro inferiore o uguale ai 2,5 micron, è molto più diffuso della sola Chiang Mai e non si risolverà senza una soluzione che mette insieme tutto il governo e il settore privato.
Per prima cosa, il particolato proviene da varie fonti come il trasporto, il settore energetico, i fuochi agricoli e l’inquinamento industriale con il risultato di produrre una cupa foschia tossica che si disperde nelle aree circostanti.
Mentre le origini e contributi sono differenti, il risultato è lo stesso. Nello stesso periodo dello scorso anno, il dipartimento di controllo delle malattie e il ministero della sanità notarono che furono oltre 1,4 milioni di persone a subire l’inquinamento aereo a Bangkok. E mentre di recente Chiang Mai è apparsa tra le città più inquinate al mondo, a febbraio Bangkok era al nono posto.
Ma in entrambe le città le soluzioni sembrano molto lontane e manca una guida politica seria su una questione di grande importanza.
Il governatore di Bangkok Chadchart Sittipunt fece la propria campagna elettorale sui PM2.5 promettendo varie iniziative tra cui un numero maggiore di alberi, la creazione di zone a basse emissioni e libere dalla polvere, misure che erano di reazione piuttosto che attive. La scelta di Srettha su una dichiarazione di disastro è molto peggiore e ritarda solo un problema che non ha una soluzione in vista a breve.
Peggio ancora, il motivo per cui Srettha ha deciso di non dichiarare Chiang Mai zona disastrata, vale a dire il possibile impatto sul turismo, sta venendo meno. I turisti cinesi, che sono fondamentali per la ripresa economica della Thailandia, si stanno già esprimendo sui social media.
La qualità dell’ aria di Chiang Mai è diventata un tema caldo tra chi frequenta la piattaforma cinese di media sociali Xiaohongshu. L’hashtag cinese “stagione della foschia a Chiang Mai” ha avuto quasi 50.000 visualizzazioni, secondo la Thai PBS.
A giugno 2023, il l’associazione del turismo di Chiang Mai spinse per fare qualcosa dopo l’elezione del mese prima dopo aver messo in guardia sulla promessa di tanti turisti anziani di non andare a Chiang Mai se il problema non fosse stato risolto dal governo.
Il problema lo si è ignorato per tanto tempo che a giugno 1700 cittadini nella Thailandia del nord denunciarono il governo e il comitato ambientale nazionale per inazione e violazione di diritti umani.
In parole povere la tesi del primo ministro è debole, perché Chiang Mai attira tante cupe notizie internazionali a causa dei problemi di qualità dell’aria tanto che alcuni turisti probabilmente rivedranno i loro piani di viaggio fino a che non si risolveranno i problemi di inquinamento. La CNN e altre reti mondiali hanno avuto molti interventi sul problema dell’inquinamento negli anni scorsi.
Ci vogliono soluzioni più grandi e più forti perché l’inazione nazionale fa male sia alla salute dei cittadini come lo fa al turismo. Secondo l’indice AQLI, prodotto dall’Istituto di Politica Energetica dell’Università di Chicago, l’inquinamento da particolato in tutta la Thailandia è superiore agli standard raccomandati dall’ OMS.
L’inquinamento in Thailandia è cresciuto di quasi il 23% dal 2000, ma nel nord si raggiunge il 30%. Come scritto da AQLI nel 2020 se ci fosse una riduzione del 30% della concentrazione di PM2.5, si avrebbe a Chiang Mai una crescita di 10 mesi nella aspettativa media di vita.
Le soluzioni nazionali più ampie alla crisi della qualità dell’aria potrebbero includere una vasta espansione dei mercati del carbonio, un settore in cui non solo la Thailandia, ma anche la maggior parte del Sud-est asiatico è in forte ritardo. Srettha potrebbe catalizzare lo sviluppo di un mercato volontario del carbonio più solido, lavorando a stretto contatto con il settore privato e le banche pubbliche.
La Banca Mondiale, ad esempio, ha raccomandato strategie simili, come l’imposizione di costi di carbonio più elevati sulle emissioni e l’introduzione di sistemi di scambio di emissioni.
In alternativa, il governo potrebbe agire in modo più incisivo imponendo tasse sul carbonio ai maggiori inquinatori, tra cui le grandi aziende agroalimentari.
La singolare attenzione del primo ministro per il turismo ha quasi spento la discussione sugli impegni ambientali della Thailandia. Il Paese è in ritardo rispetto ai vicini Cambogia e Vietnam per quanto riguarda la riduzione delle emissioni di anidride carbonica e gli obiettivi di azzeramento delle emissioni di anidride carbonica; inoltre, si è parlato poco dei problemi ambientali legati al PM2,5 che superano i confini, dato che il particolato proveniente dai vicini Laos e Myanmar colpisce comunque la Thailandia.
Il Thailand Development Research Institute ha rilevato che circa il 60-65% della foschia a Chiang Mai proviene dai Paesi vicini. Per trovare una soluzione duratura al problema, Srettha deve chiedere il loro aiuto, anche se viene promulgata la legge sull’aria pulita.
Dedicando troppe energie e preoccupazioni alla potenziale perdita di turismo nel nord del Paese, Srettha si perde la proverbiale foresta per gli alberi. Per porre fine alla nube tossica che incombe su Chiang Mai e su tutto il Paese, è necessario un approccio di tutto il governo, compresa la politica estera.
Mark C Cogan, TheDiplomat