Le armi cinesi che alimentano le eterne guerre etniche in Birmania

Un argomento fondamentale dell’incontro tra il premier cinese Xi Jinping e il capo dell’esercito birmano generale Ming Aung Hlaing all’inizio di gennaio è stato il rifornimento di nuove armi cinesi date alle armate etniche birmane.

Queste nuove armi cinesi hanno comportato un costo pesante per il Tatmadaw, mentre acquistano forza i combattimenti nel Rakhine birmano con un alto costo di vite umane, e gettano una grande ombra nei circoli militari sulla nuova era dei rapporti di amicizia e di cooperazione sino-birmani con la sua storica visita di stato.

Il giorno prima dell’incontro del 18 gennaio tra Xi Jinping e Min Aung Hlaing il dipartimento di pubbliche relazioni del Tatmadaw faceva sapere della scoperta di un carico di munizioni cinesi del giorno 15 nella città di Hsenwi nello stato Shan settentrionale.

Le immagini diffuse dai militari birmani mostrarono come questo carico portasse la data del 2018 sui razzi da 107 mm ad indicare un rifornimento attivo non proveniente da vecchi depositi.

In precedenza a Namshan erano stati sequestrati missili terra-aria cinesi FN-6, e la questione il generale birmano l’aveva già posta al ministro degli esteri cinese Wang Yi a dicembre.

Era prevedibile la risposta diplomatica che il leader cinese ma è da notare che è la prima volta che è stata articolata pubblicamente dal capo cinese.

Pechino, per prima cosa, assicura che avrebbe sostenuto la Birmania nei fori internazionali sulla questione dei crimini di guerra e sul possibile genocidio dei Rohingya, accuse su cui il generale Min Aung Hlaing rischia di dover rispondere personalmente.

Poi il premier cinese ha riaffermato che la Cina non fa usare il proprio territorio per minacciare i propri vicini e che le accuse di aver rifornito le armate etniche birmane non hanno fondamento, dal momento che queste ultime potrebbero aver acquisito le nuove armi cinesi in “altri modi” su cui la Cina si riserva di indagare per risolvere il problema.

Gli “altri modi” con cui le armate ribelli possono aver acquisito le armi cinesi non includono di certo una corruzione senza controllo di generali cinesi stanziati nello Yunnan al confine con la Birmania.

L’esercito popolare cinese PLA è una forza moderna e disciplinata che non permette che missili terra aria, o artiglieria mobile o carichi di piccole armi escano dai propri arsenali per finire oltre la frontiera in cambio di bustarelle.

La fonte reale di queste armi cinesi per le armate etniche del nord Myanmar è la Divisione Speciale amministrata dalla potente ed organizzata forza etnica UWSA dello stato Wa che ha uno storico cessate il fuoco con il Tatmadaw e legami storici con Pechino.

Da decenni la UWSA vende munizioni alla Alleanza Settentrionale costituita da Myanmar National Democratic Alliance Army (MNDAA), la Ta’ang National Liberation Army (TNLA), the Arakan Army (AA) e la Kachin Independence Army (KIA).

UWSA fabbrica e vende i fucili di assalto Type 81, e trasferisce razzi cinesi da 107, lanciatori di granate type 69 e fucile per cecchini da 12.7 mm usati con effetti letali da MNDAA e Arakan Army.

Fonti di intelligence varie hanno confermato che molti degli armamenti acquisiti da UWSA arrivano attraverso il vicino Laos sin dal 2011.

La certificazione ufficiale EUC fatta dalle imprese di stato cinesi NORINCO e CNPMIEC, responsabile della vendita dei missili terra-aria, indicherebbe che il ministero della difesa laotiano sia l’utente finale.

Nel Laos subentra il commercio della “zona grigia”: le munizioni viaggiano attraverso il Laos Nordoccidentale ed il fiume Mekong fino al porto Sop Lui e dentro il territorio sotto controllo del UWSA attraverso la Regione Speciale 4 gestita dal NDAA o il gruppo Mong La, che ha un cessate il fuoco con i militari birmani. Non si sa bene della ricompensa per le autorità laotiane e Mong La.

Con l’emergere della via Laotiana come maggiore via delle nuove armi cinesi si permette a Pechino di negare la vendita di armi ad agenti non statali, e sembra improbabile che le armi attraversino ancora il confine direttamente come accadeva fino agli anni 2000.

Ma quanto meno i gruppi armati birmani possono ancora acquistare tecnologia dal doppio uso cinese, ingaggiare tecnici esperti ed investire denaro.

Quanto tempo ci vorrà per le autorità cinesi per definire questa questione ed aiutare Min Aung Hlaing dipenderà da quanto il Tatmadaw e il suo approccio alla pace dipenderanno dalla Cina.

I commenti di Xi Jingping hanno scatenato molte critiche scettiche verso la Cina che starebbe facendo un doppio gioco per tenere in condizioni di instabilità e debolezza il suo vicino minore, come ha detto per esempio The Irrawaddy.

Questo atteggiamento riflette la sfiducia cronica del paese verso il vicino gigante, ma non riconosce una realtà centrale che non è causata dalle azioni cinesi: la Birmania non riesce cronicamente a risolvere il problema delle minoranze etniche perché i suoi militari del Tatmadaw continuano a voler imporre un governo centralizzato, come scritto nella costituzione del 2008, su vaste regioni che resistono da decenni con fierezza contro di esso.

A meno che non ci sia la resa delle etnie in guerra o che il Tatmadaw non consideri la concessione di un’autonomia significativa, cose che ora sono del tutto improbabili, Pechino non accetterebbe di abbandonare la politica di tolleranza del commercio delle armi attraverso un mercato grigio a favore delle forze etniche. Un taglio delle armi cinesi incoraggerebbe il Tatmadaw ad accrescere la sua campagna di randellate contro le minoranze fino a farle sottomettere aumentando l’instabilità, il conflitto ed il flusso di rifugiati attraverso la frontiera settentrionale verso la Cina.

Questo fermerebbe indefinitamente i piani cinesi strategici per far avanzare le ambizioni del Corridoio Economico Cina Myanmar che permetterebbe alla Cina un’apertura strategica nella Baia del Bengala.

La migliore opzione di Pechino è quella che persegue: mantenere relazioni cordiali con tutte le parti mentre spinge per un cessate il fuoco che almeno riduca le ostilità, e nel caso migliore faccia sottoscrivere un armistizio più durevole come quello che ha portato 30 anni di pace e sviluppo alle regioni autonome gestite dai gruppi UWSA e Mong La.

Nel Myanmar settentrionale la situazione è discutibilmente già vicina al precedente scenario, un cessate il fuoco bilaterale fragile ma sostenibile con i membri della Northern Alliance.

Nello stato Kachin, il comando politico anziano e stanco del KIA ha mostrato di non voler ulteriori combattimenti dalle ultime sconfitte per mano del Tatmadaw nel 2018.

Per tutto il 2019 la forza maggiore della Northern Alliance con i suoi 8000 uomini è stata chiaramente assente dalle azioni.

Di contro gli alleati del Kia di stanza nello stato Shan settentrionale, TNLA e MNDAA, hanno lanciato un’offensiva nell’agosto 2019 che sottolineava la loro forza come possibile guastatore delle relazioni sino-birmane.

Vari giorni di attacchi hanno tagliato le grandi arterie del commercio tra la città di Mandalay e la Cina, umiliando le forze birmane con colpi di razzi sulle posizioni dell’esercito a Pyin Oo Lwin, non lontana dalla stessa Mandalay.

Da allora comunque i gruppi hanno partecipato ai negoziati nella Northern Alliance con i militari ed a gennaio hanno esteso un cessate il fuoco unilaterale fino alla fine di febbraio, in chiara risposta alle pressioni cinesi.

Sia per Pechino che Naypyidaw l’ostacolo principale ad un accordo è il quarto alleato del Northern Alliance, Arakan Army, e la guerra che sta conducendo sull’occidente birmano nello stato Arakan o Rakhine, dove la Cina punta a costruire il porto strategico a Kyaukphyu.

Storicamente il conflitto etnico della Birmania moderna è un gelido disastro a rallentatore che debilita la politica della nazione mentre cambia di pochissimo da un decennio all’altro.

Nel 2019, l’eruzione, la diffusione ed intensificazione della rivolta nazionalista nello stato Rakhine capovolse di improvviso quel panorama familiare con implicazioni che fanno riflettere per un processo di pace già frammentato e annaspante e in modo più vasto per la sicurezza interna.

La nuova guerra nello stato Rakhine che pone i militari contro l’esercito del Arakan, forza popolare guidata da un comando giovane ed ideologicamente fedele, ha sempre più influenza sulla posizione regionale del Myanmar a vari livelli.

La spinta cinese ad una connettività economica verso la Baia del Bengala, centrale nella recente visita di stato di Xi Jinping in Birmania, avrà bisogno di affrontare le ostilità che toccano i confini del porto profondo e zona economica speciale a Kyaukphyu, componente fondamentale della Nuova Via della Seta, BIR.

Le prospettive di un rimpatrio dei Rohingya dal vicino Bangladesh, che ammontano ad almeno un milione di persone, si fanno sempre più fosche mentre prendono forza il flusso di migranti dallo stato verso il resto del Sudestasiatico.

In retrospettiva il 2019 sarà definito come uno spartiacque in questi eventi perché si aprì con un valore simbolico il 4 gennaio, giorno dell’indipendenza birmana, con l’assalto dell’AA ai posti di polizia nel Rakhine settentrionale.

Il 2019 si è chiuso con gli assalti coordinati più grossi del AA sulle basi dell’esercito, non per coincidenza mentre il capo di stato di fatto Aung San Suu Kyi atterrava in Olanda a difendere i militari davanti alla Corte di Giustizia Internazionale contro le accuse di genocidio contro la comunità Rohingya.

L’operazione di fine anno che ha messo in campo centinaia di attacchi di ribelli in città molto separate è servito a sottolineare quello che i militari sapevano già: le forze armate impegnate con tutte e tre le sue branche si trovano davanti la sfida insorgente più seria da decenni.

Diversamente dalle guerre che accadono nel Myanmar settentrionale il conflitto Rakhine non offre prospettive di cessate il fuoco.

Le continue ostilità hanno inflitto forti perdite ad entrambe le parti mentre gli scontri e i relativi abusi hanno cacciato dalle case centomila civili nel Rakhine e nel Chin.

Sebbene né il Tatmadaw né AA dicano le proprie perdite, si stima che le perdite di vite umane si aggirino tra 800 e 1000 tra i due belligeranti.

Le avanzate ambiziose del Arakan Army tra gennaio ed aprile hanno scatenato una reazione aggressiva del Tatmadaw che provava a riprendere il controllo delle pianure popolose e dei villaggi centrali e settentrionali mentre respingeva le forze ribelli sulle colline e nella giungla.

Le operazioni hanno coinvolto un grande impiego della fanteria leggera col sostegno dell’artiglieria pesante, dell’aviazione e l’impiego di forze navali lungo le arterie di fiume dello stato.

Con l’inizio della stagione delle piogge tra maggio ed ottobre, AA ha risposto con due strategie che hanno ridisegnato il conflitto e che cresceranno nel 2020.

La prima strategia tenta di creare strutture parallele di governo per sfruttare il collasso della amministrazione civile in molte aree. Con l’impegno del ULA, ala politica del AA, il processo che facilita il reclutamento di nuove forze di combattenti è stato accelerato dalle dimissioni degli amministratori locali nominati dal governo in varie aree dopo gli abusi dei militari.

La spinta del AA a subentrare nelle funzioni governative si è riflessa da Ottobre nei rapimenti continui di burocrati e personale della sicurezza dai trasporti pubblici lungo fiumi e strade. Questi sono stati oggetto di indagini pseudogiudiziarie da parte del AA prima di essere rilasciati o detenuti.

Il generale del AA Tun Myat Naing ha annunciato di voler imporre tassazioni sulle imprese che operano nel Rakhine.

La seconda strategia durante la stagione delle piogge è consistita di infiltrazione del AA nelle città del Nord e del centro dello stato, Buthidaung, Rathedaung, Kyauktaw, Mrauk-U, Ponnagyun e Minbya, e verso meridione a Myebon e Ann, dove risiede il comando occidentale dei militari, vicino a Kyaukphyu.

Alla fine del 2019 sono emerse notizie di piccole unità del AA che si sono mosse a sud fino a Toungup e Tandwe.

L’infiltrazione somigliava alle attività tra 2015 e 2017 quando varie unità AA entrarono a Buthidaung, Rathedaung e Kyauktaw del Rakhine settentrionale da Paletwa per iniziare il proselitismo, il reclutamento e corsi di addestramento.

Ci sono poche notizie di scontri nel meridione a dire che le unità si sono concentrate a costruire le reti di sostegno alle operazioni militari nella stagione secca attuale.

Comunque a ricordare dove era giunto l’esercito del Arakan ci sono state tre piccole esplosioni senza conseguenze del 19 dicembre sull’isola di Munaung prima della visita di Aung San Suu Kyi.

Nel breve e medio periodo non ci saranno impatti sul terminale marittimo del CMEC di Pechino. AA nel 2019 esprimeva il sostegno all’investimento estero che riconoscesse gli interessi locali e sembrava di non aver nulla da guadagnare attaccando direttamente le infrastrutture del CMEC.

Gli oleodotti gemelli, che iniziano a Kyaukphyu e che già portano petrolio e gas attraverso la Birmania centrale attraverso le regioni in conflitto dello stato Shan del nord fino alla provincia cinese del Yunnan, non sono mai stati presi di mira dall’insorgenza per la semplice ragione che non ha senso mettersi contro la Cina la fonte principale di munizioni dell’Esercito del Arakan.

Un aspetto più straordinario della crescita della guerra è la capacità logistica di una forza che opera da centinaia di chilometri dalla principale fonte di rifornimenti nel Myanmar settentrionale, dove fu fondato AA e dove è cresciuto sotto gli auspici del KIA, esercito dell’indipendenza Kachin.

L’intensità ed estensione dei combattimenti del 2019 sembrano indicare che le munizioni continuino ad arrivare a sud ed occidente lungo probabilmente le stesse rotte sviluppate dalle reti illecite che spostano le metamfetamine dallo stato Shan al Rakhine e al Bangladesh.

Ciò riflette la debolezza della polizia birmana e l’incapacità manifesta a controllare le strade anche nella regione centrale del paese per non parlare della frontiera coinvolta nel conflitto.

Il blocco dello scorso ottobre di un carico di 14500 detonatori tra lo stato Shan e la città di Mandalay fa capire come la grandezza di una crisi sia radicata per lo più nella corruzione dei pubblici ufficiali.

In questo quadro le prospettive di un cessate il fuoco nel Rakhine, come parte di un accordo più vasto tra Tatmadaw e la Northern Alliance di cui fa parte AA, sono sempre più sottili.

Una condizione chiave dei militari per un cessate il fuoco che chiede alle fazioni della Northern Alliance di ritornare alle “aree designate” può essere accettabile ai gruppi armati del Nord, come TNLA, MNDA e KIA, ma per AA non sarebbe accettabile perché significherebbe tornare vicino a Laiza nello stato Kachin dove il gruppo si formò, ma lontano dal teatro delle operazioni del Rakhine.

Da parte sua Naypyidaw non potrebbe accettare un cessate il fuoco che cedesse alla richiesta del AA di una presenza riconosciuta nello stato dove la sua popolarità darebbe una base per un consolidamento politico e militare. Il comando del AA ha già chiarito le ambizioni per una autonomia confederale in stile Wa.

Per i militari di Myanmar, un’opzione più appetibile nel 2020 sarebbe un cessate il fuoco con Northern Alliance sul terreno più favorevole a nord dove KIA non combatte già più e dove TLNA e MNDAA hanno dichiarato un cessate il fuoco unilaterale a febbraio mentre esprimevano speranze per un accordo maggiore dopo.

Per quanto precaria la pace al nord isolerebbe politicamente AA, soddisfacendo l’impazienza cinese per iniziare i progetti CMEC e permetterebbe ai militari di spostare le proprie forze per potersi rafforzare nel Rakhine.

La regola del divide et impera che usa i cessate il fuoco è la linea guida della controinsorgenza del Tatmadaw sin dagli anni 80. Non ha mai ottenuto la pace reale ma la strategia ha quasi sempre preso tempo. Solo nel 2020 il principale beneficiario sembra essere la Cina.

Anthony Davis, Asiatimes.com 1 Asiatimes2

Pubblicità
Taggato su: ,

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

Ottimizzato da Optimole