Le Filippine e l’Indonesia, considerate al momento le economie più in crescita e i punti più luminosi nel mezzo di una situazione globale alquanto scura, sono entrambe fondamentali per la fondazione dell’AEC. Determinare quanto i due paesi siano in linea con gli obiettivi da conseguire per l’AEC, comunque, indica alcune sfide incredibili specialmente in tre aree critiche che sono il libero flusso egli investimenti, l’interconnettività e le infrastrutture e la riduzione della povertà e lo sviluppo economico bilanciato.
Sia le Filippine che l’Indonesia hanno una cattiva situazione per quanto riguarda la rimozione ai blocchi all’investimento dal momento che si trovano al 138° e 128° posto nella scala della Banca Mondiale per la facilità di fare impresa. Entrambe sono riluttanti ad aprire il loro settore dei servizi protetto agli investitori esteri.
Nel 2012 l’investimento estero diretto (FDI) in entrata nelle Filippine è salito del 10% a raggiungere 2,0033 miliardi di dollari. Comunque questa cifra è resa minuscola da quella indonesiana che è a 22,8 miliardi di dollari, dai 10 miliardi della Malesia, 81 della Thailandia. E’ chiaro che il FDI resta il pezzo mancante nella storia dello sviluppo filippino.
Il capitolo della costituzione filippina che scoraggia l’investimento estero è da tanto tempo un problema per gli investitori stranieri, oltre alla corruzione rampante. Il limite del 40% sulla proprietà estera delle imprese potrebbe essere mirato a proteggere dalla competizione le imprese nazionali. Il rifiuto del presidente Aquino ad appoggiare un emendamento costituzionale dà agli investitori esteri il segnale per cui il paese non è ancora pronto.
L’ Indonesia, che è l’economia più grande dell’ASEAN, è tra i paesi privilegiati dell’investimento estero diretto per il suo immenso mercato interno. L’investimento estero comunque sarebbe potuto essere ben maggiore se si considerano i vantaggi competitivi del paese. Gli investitori esteri vanno incontro ad alcuni rischi che nascono dall’incapacità del governo di affrontare i problemi di regolamento e i passi falsi della politica.
Il rinascere del nazionalismo economico e del protezionismo come pure dell’imposizione di misure restrittive agli affari sono coincise con le preoccupazioni crescenti dei politici per l’indebolimento della moneta locale, rupia, e con il crescente deficit commerciale.
Una tale misura era l’imposizione di una tassa del 20% sulle esportazioni per 65 merci minerarie prima di un divieto completo delle esportazioni di terre minerarie non trattate nel 2014. C’è ora una regola che restringe la proprietà estera delle miniere al 49%. Le restrizioni sono state imposte sull’esportazione di merci grezze e importazioni di beni finiti e su certi prodotti agricoli nel tentatico di proteggere i contadini ed i prodotti locali.
Le tracce di nazionalismo economico e di protezionismo in entrambi i paesi continuano a frenare il flusso di investimenti nella regione. Mentre protegge gli interessi di settori nazionali sensibili, e dei tanti miliardari con legami politici, il protezionismo deve essere abbandonato perché i due paesi possano fiorire nell’ immensamente competitivo AEC.
Per facilitare il libero flusso dei beni e degli investimenti, ASEAN ha bisogno di abbassare i costi logistici e di trasporto tra e dentro i paesi membri. L’indice della Banca Mondiale sulla Performance Logistica rivela che Filippine ed Indonesia si sistemano al 52 e 59° posto tra 155 paesi molto dietro dopo Singapore che è prima, Malesia che è 29° e Thailandia al 38° posto. I ritardi nella costruzione di progetti infrastrutturali così maledettamente necessari nelle Filippine e in Indonesia sono dovuti a dei colli di bottiglia burocratici, alla corruzione e alle priorità costose e mal riposte dei sussidi.
L’amministrazione Aquino deve affrettarsi in termini di sviluppo di infrastrutture di trasporto e di energia di cui gli investitori si sono sempre lamentati. Ma spende appena dal 2,5% al 3% del PIL contro il 5% dell’ASEAN. La maggioranza della maggior parte dei progetti di partnership pubblico privato devono ancora decollare.
Il presidente indonesiano Yudhoyono ha promesso di incrementare la spesa in infrastrutture del 15% quest’anno con 20 miliardi di dollari. Ma il governo nel primo trimestre ha emesso solo 1 miliardo di quest’anno mentre 2,47 miliardi dello scorso anno restano non spesi. In aggiunta dieci grandi progetti infrastrutturali da 9 miliardi di dollari restano fermi. La spesa infrastrutturale è compresa tra il 3 e 4% del PIL contro i livelli precedenti alla crisi asiatica del 7%.
La divisione dello sviluppo tra i paesi dell’ASEAN è stato sempre citato come una sfida all’integrazione economica regionale. Comunque in ognuno dei paesi membri c’è stata preoccupazione sull’allargamento della differenza di entrate. Le economie filippina e indonesiana sono in rapida crescita, ma gli effetti sulle entrate non si sono ancora viste per le famiglie povere.
Il tasso di povertà delle Filippine, attualmente al 27,9%, è virtualmente lo stesso sin dal 2006. L’ineguaglianza dei redditi continua dal momento che le entrate totali del 20% delle famiglie più ricche è otto volte le entrate totali delle 20%delle famiglie più povere. La crescita resta esclusiva e la povertà delle campagne è pervasiva.
In Indonesia 11,7% delle persone viveva sotto la soglia della povertà nel settembre 2012 che era un 0,3% in meno rispetto a marzo dello stesso anno. Quasi 94 milioni di indonesiani sono fortemente vulnerabili a shock politici e socioeconomici che potrebbero costringerli alla povertà. Il gap di sviluppo tra le province è ancora molto largo: l’incidenza della povertà in alcune province orientali è persino più alto con 24% a Maluku e Papua mentre è solo 3,7% a Giacarta.
Entrambi i paesi hanno le loro politiche populiste di programmi di trasferimento di cassa condizionali ma la loro efficacia a lungo termine nel tirar fuori milioni di cittadini dalla trappola della povertà resta incerta.
Gli sforzi di creare un mercato comune per il 2015 sono quindi nella loro fase più dura. Le sole sfide che i due paesi si trovano di fronte illuminano alcuni dei blocchi sulla strada verso il AEC. Entrambi i paesi hanno bisogno di smantellare le barriere non tariffarie per il commercio e gli investimenti transnazionali e chiudere il gap di sviluppo socialmente divisivo; le politiche populiste e protezioniste di breve periodo non sono di certo la soluzione.
I capi dell’ASEAN hanno già ammesso che si chiede più impegno nelle riforme nazionali, nelle infrastrutture, negli impedimenti al commercio e agli investimenti e altri freni regolatori. Altrimenti il sogno di “una comunità” potrebbe andare in frantumi nella realtà.
Julius Cesar I Trajano, (RSIS), Nanyang Technological University in Singapore.