La vicepresidente dell’Ufficio del Presidente delegata alla sicurezza politica, legale e ai diritti umani, Jaleswari Pramodhawardani, discute l’approccio del governo Jokowi alla questione di Papua Occidentale, in un articolo di AntaraNews
Pramodhawardani afferma che l’approccio è diretto ad esaltare il benessere per poter affrontare la questione primaria che prende le province di Papua e Papua occidentale, e conclude dicendo che il Presidente Jokowi pensa di risolvere le questioni di Papua attraverso vari programmi di sviluppo. Secondo Pramodhawardani è la mancanza di benessere la causa dei problemi a Papua Occidentale.
Sembra come se Giacarta abbia un concetto ed una definizione differenti di benessere per i papuani. E’ ironico che la Pramodhawardani descriva l’approccio di Giacarta come antropologico per valutare il benessere dei papuani.
Perché sia antropologico, si devono conoscere e comprendere la cultura e la gente che si studia, una cosa molto distante dalle attitudini di Giacarta e del governo che prova a controllare e mettere in silenzio la gente piuttosto che aver cura delle loro comunità. Dopo tutto, non è l’antropologia una disciplina per avere una comprensione profonda della gente all’interno delle loro culture?
Pramodhawardani ha affermato che il presidente Jolowi ha “adottato l’approccio dello stato sociale attraverso varie forme di sviluppo” cercando di diagnosticare la causa dei problemi a Papua Occidentale accusando la stessa gente traumatizzata dalle politiche perpetuate dal suo governo.
E’ una retorica tipicamente xenofoba usata durante tutta la storia della colonizzazione in cui i colonizzatori guardano dall’alto i colonizzati con uno sguardo paternalistico e trattandoli come primitivi o selvaggi, finendo con l’attribuire le loro sofferenze ad una mancanza di sviluppo. Giacarta inietta un virus a Papua Occidentale e poi accusa la gente di ammalarsi offrendo poi una soluzione o la cura di quel virus che ha creato essa stessa.
Come possono i papuani affidare al governo le proprie vite quando Giacarta non ha alcun interesse a comprendere e connettersi alla gente che vorrebbero proteggere? Come possono i papuani fidarsi di un programma disegnato da una istituzione che infligge da decenni traumi fisici, psicologici ed emotivi? Quando si sentono termini come “soluzioni mirate al benessere”, non si riesce a guardare oltre l’insincerità di un governo che ha distrutto il benessere della gente ed ha deciso che hanno bisogno di infliggere altre pene per ridare loro lo stato benessere.
Non si ha fiducia della comprensione del termine “benessere” da parte di Jokowi.
Pramodhawardani continua assicurando che l’approccio del benessere aiuterà ad “affrontare la questione primaria che colpisce le province di Papua e Papua Occidentale”. Preoccupa sempre di più che la stessa gente che persegue un regime per i papuani non capisca la questione primaria che i papuani vivono.
Mentre si possono attribuire le instabilità delle due province papuane ad una mancanza di infrastrutture di qualità, di durezza economica, scarsezza di educazione e salute, queste non definiscono la radice dei problemi, ma sono solo i sintomi di una malattia che corre nel profondo delle loro vene.
La vice ministra dice: “sappiamo che la gente vede Papua Occidentale solo in termini di questioni di diritti umani e violenza” alludendo che c’è meno attenzione nel soddisfare “i diritti fondamentali” dei papuani.
Lei riconosce così che la comunità internazionale è conscia delle gravi violazioni di diritti umani perpetrate dal suo governo, e che Giacarta riconosce l’impatto di politiche decennali repressive inflitte sui papuani. Ancora una volta Giacarta non riesce a vedere ad ogni svolta l’ipocrisia delle proprie azioni, pretendendo di difendere gli stessi diritti umani che ha violato tantissime volte.
Questi programmi di welfare riflettono il rifiuto di riconoscere che sono le loro politiche oppressive e intrusive la causa dello stato attuale del disordine delle province papuane. Credono di sapere cosa sia meglio quando c’è una storia di dati che mostrano che non sanno nulla.
La pressione sui papuani affinché si arrendano alle maniere del mondo “civile” o “occidentalizzato” è ingiustificato.
Giacarta cerca di manipolare la gente attraverso questi programmi e di strappare la loro cultura. I papuani hanno tutto il diritto ad essere umani ed il diritto ad essere papuani, di essere rispettati nelle loro terre ancestrali.
L’idea di Giacarta su ciò che significa essere umano è inscritto nelle cinque colonne dell’emblema nazionale, la Pancasila, che afferma “una giusta e civilizzata umanità”, Ketuhanan Yang Maha Esa. Se Giacarta riuscisse solo ad applicare il principio della Pancasila nei loro piani per Papua, ci potrebbe essere la speranza. Questa elite di Giacarta è colpevole di non praticare quello che predicano ai papuani.
Questa “missione civilizzatrice” verso i papuani ha già distrutto innumerevoli nazioni autoctone in tutto il mondo, culture sacre, religioni, rituali, linguaggi e modi di vivere, vecchi mondi pieni di cultura ricca, tutti scomparsi in nome del progresso.
Questa è la ragione per cui Giacarta non può mai sperare di risolvere i problemi a Papua finché non riconoscono come la loro missione colonizzatrice ha danneggiato del tutto queste nazioni, finché non provano a comprendere il modo di vivere dei papuani e rispettino le loro culture senza sentirsi in bisogno di cambiarle. Ci deve essere un cambio fondamentale nel loro modo di pensare l’umanità a Papua Occidentale.
Se ci sarà uno sguardo trasformato, si potrà realizzare interamente un approccio antropologico al benessere dei Papuani. Se persiste invece l’ignoranza di Giacarta, non c’è speranza di cambiamento.
I papuani sono proprio stanchi dell’eterno approccio dall’alto verso il basso. Non ci si deve meravigliare del perché i papuani siano sospettosi e totalmente opposti ai programmi di sviluppo che Giacarta prova a travestire nel loro cavallo di Troia dal nome di Autonomia Speciale.
L’ autonomia speciale del 2021 è considerata come la soluzione palliativa di Giacarta per le richieste di indipendenza di Papua Occidentale ed è stata rigettata in massa dai papuani. Mentre Giacarta si prepara ad estendere questa autonomia speciale, Alya Nurbaiti scrive su JP del 7 luglio che i gruppi papuani sono uniti nel dichiarare la loro forte opposizione al piano.
Il sito online Suarapapua di Jayapura ha scritto il 22 luglio che le comunità papuane, compresi governatori, ULMWP, chiese, donne, gruppi giovanili e la resistenza armata del TPNPB si sono uniti nel rigettare l’estensione della autonomia speciale.
Il prete cattolico Alberto John Bunay, leader dei 57 Preti Indigeni Papuani delle cinque diocesi di Papua, ha rigettato con forza l’insistenza di Giacarta nel risolvere le questioni papuane con il cerotto dell’autonomia speciale chiedendo un referendum per l’Indipendenza. Ha affermato che Giacarta deve dialogare con ULMWP, un’associazione politica unitaria che ha rivitalizzato con l’aiuto della popolazione e del governo di Vanatu l’identità politica Papuana nei forum internazionali fino al Consiglio dei diritti umani dell’ONU.
L’entusiasmo cresce a Papua Occidentale e le tensioni con l’elite di Giacarta sono forti mentre l’autonomia speciale data ai papuani venti anni fa sta per concludersi.
Il ministro indonesiano della sicurezza ha affermato a JG che le elite a Giacarta pensano di continuare a dare fondi di autonomia speciale a Papua mentre preparano una nuova legge per estenderla.
Victor Yeimo portavoce del comitato nazionale di Papua Occidentale KNPB ha affermato che “i papuani sono coloro che devono determinare se vogliono una seconda fase dell’autonomia speciale o l’indipendenza”, ma Giacarta continua a proporre e discutere la legge senza l’intervento dei papuani.
Benny Wenda del ULMWP ha messo in guardia dicendo che con questa autonomia speciale i papuani saranno ulteriormente marginalizzati ed uccisi.
Non ci sono indicazioni che i Papuani saranno soddisfatti delle strategie di Giacarta. Considerando le richieste di un referendum sull’indipendenza, la gestione di Jokowi dell’approccio del benessere troverà molto probabilmente forti manifestazioni di protesta che molto probabilmente diventeranno violente e comporteranno la morte di molti papuani nella loro lotta contro gli oppressori. Già il 18 luglio scorso durante l’annuncio della politica, i militari indonesiani hanno ucciso Elias Karungu e Selu Karunguun, padre e figlio, due rifugiati nella propria terra, vittime della corruzione e dell’uso eccessivo della forza nella provincia di Nduga che è una delle province più militarizzate.
Secondo il comando della III regione militare, colonnello Colonel Gusti Nyoman Suriastawa, gli omicidi erano giustificati in quanto, come detto al quotidiano Tempo il 22 luglio, i due facevano parte di un gruppo separatista armato guidato da Egianus Kogoya. Le prove apportate a giustificazione degli omicidi erano un revolver, un telefonino, un machete e qualche contante.
Come si può mai verificare tale affermazione in modo indipendente in una regione conosciuta per il controllo ferreo militarizzato dove ai giornalisti è vietata l’entrata?
Giacarta non riesce a distinguere tra due istruzioni in conflitto date loro dal loro ufficio del presidente. Una istruzione, annunciata da Pramodhawardani, è l’approccio del benessere sostenuto dal presidente Jokowi. Una seconda istruzione, secondo LBH, l’istituto di consulenza legale papuana, come riportato su JP da Budi Sutrisno, viene dal presidente Jokowi che “ha dato via libera alla caccia dei Papuani” e li considera “ribelli separatisti armati”. Questa istruzione era stata emessa appena dopo lo scontro a fuoco del dicembre 2018 a Nduga.
Come può il presidente Jokowi, che ha visitato Papua Occidentale dodici volte durante la sua presidenza, che ha ballato, cantato e riso con i Papuani i quali lo hanno accolto con buona ospitalità e lo hanno votato in massa per il posto più ambito del paese, come può ordinare operazioni militari per uccidere le persone in strada mentre rilascia dichiarazioni diplomatiche ai media sul benessere di Papua Occidentale?
I papuani devono essere uccisi o curati? Non possono essere le due cose insieme.
I papuani vedono la presenza indonesiana a Papua Occidentale come un assillo della loro esistenza. Giacarta ha provato a cambiare questa condizione per decenni, senza successo causato dai vari approcci di sviluppo. Questa è la ragione per cui il sostegno di Pramodhawardani all’approccio di Jokowi non convincerà i papuani che i loro interessi sono a cuore del presidente. Le parole di Pramodhawardani non hanno reale significato per sanare delle ferite, ed il suo tentativo di scongiurare il desiderio di indipendenza papuana non può essere più chiaro.
Mentre l’Indonesia resta a Papua Occidentale restano anche i problemi. E’ un futile tentativo quello di Giacarta di provare ad ingannare i papuani che si sono bruciati già troppe volte. Benny Wenda, che presiede ULMWP l’ha detto meglio di tutti:
“L’Indonesia promette l’autonomia da 50 anni” e in quei 50 anni l’Indonesia non ha mai realizzato quella promessa.
In questi momenti che non hanno precedenti in cui la gente deve convivere col Coronavirus e le serrate, Giacarta deve riflettere sulle atrocità commesse contro i Papuani e su come intende andare avanti, se costringere con la forza ad un’altra autonomia speciale già fallita oppure un referendum sull’indipendenza. La loro prossima mossa deciderà il benessere e la qualità della vita delle prossime generazioni.
Una tale riflessione è offerta ai governi dei potenti, per dare la possibilità di ascoltare la propria gente e capire come trattano la propria nazione. Il brutale omicidio di George Floyd da parte della polizia di Minnesota a Minneapolis il 25 maggio scorso ha acceso il grido globale di richiesta di giustizia guidato dal movimento Black Lives Matter (BLM). I Papuani si sono ispirati a questo movimento per le loro condivise esperienze di ingiustizia razziale, profondamente radicata nella politica indonesiana da oltre mezzo secolo a cominciare dagli anni 60.
Lo scorso anno in tutta Papua e Indonesia ci furono manifestazioni di massa accese dall’uso di linguaggio razziale diretto verso gli studenti papuani a Surabaya nel giorno dell’indipendenza indonesiana. Sarebbe dovuto essere una svolta per Giacarta. I papuani mostravano la loro rabbia profonda causata da decenni di maltrattamenti di papuani ad opera di indonesiani. I papuani hanno visto questo atto atroce come un attacco diretto ai loro valori come esseri umani e come papuani.
Lo scorso anno, scrissi qualcosa sul razzismo indonesiano verso i papuani e le sue implicazioni per l’Indipendenza dissi che chiamare “scimmie” i Papuani può e accenderà il fuoco della resistenza. E così fu, quando migliaia di papuani protestarono e incendiarono il Parlamento. La questione del razzismo è un grave fallimento che costerà all’Indonesia la sola vera cosa a cui si aggrappano.
“La gente di Papua Occidentale soffre di decenni di oppressione e discriminazione per mano dello stato indonesiano” scrive Febriana Firdaus. “Ora hanno tratto ispirazione dal Movimento BLM per montare la resistenza popolare ad un altro giro di vite autoritario”
Fajar Nugroho presidente del Comitato esecutivo studentesco della Università di Indonesia che organizzò i webinar che promuovono Papuan Lives Matter, aggiunge a questo sentimento dicendo che “molti indonesiani non starebbero riflettendo sull’ingiustizia verso i papuani se non fosse successo il caso di George Floyd”.
Il puro potere dell’umanità dietro le proteste del BLM ha potuto galvanizzare comunità di tutto il globo. Nonostante la serrata del Coronavirus si tennero vasti raduni che domandavano giustizia razziale ed eguaglianza. Queste reazioni servono a provare che i Papuani non ingoieranno le pillole di benessere ricoperte di zucchero di Giacarta date come il toccasana di tutte le questioni a Papua Occidentale. Le ingiustizie razziali e le esperienze dei papuani sono troppo profonde per essere ignorate e messe sotto il tappeto.
Se Giacarta è davvero seria sull’applicare la conoscenza antropologica verso il loro approccio del benessere, devono allora provare a capire la storia del popolo come la storia della gente melanesiana che vive a Papua Occidentale.
Il ricercatore della ANU Sri Lestari Wahyuningroem ha ben articolato sul JP del 31 maggio 2013 questa visione:
“Il nostro amore possessivo di Papua frena la nostra volontà a comprendere i papuani. Ascoltare le loro storie ed impegnarsi a difendere i loro diritti, insistiamo ad accettare l’immagine che i Papuani hanno di sé. Non ci sono papuani perché Papua è Indonesia. Papua siamo noi anche se nella realtà i papuani sono sempre visti e trattati come l’Altro. Quello che sentiamo per Papua non è amore. E’ infatuazione”.
“L’amore genuino” per il sociologo Thomas Scheff “richiede conoscenza dettagliata dell’altro”.
L’insistenza nell’imporre l’estensione dell’autonomia speciale sui Papuani accenderà altre proteste violente e morti. Continuano nel rivolgersi a Papua Occidentale con una visione paternalistica che assume cosa sia meglio per una comunità di persone a cui non è stato mai chiesto di contribuire.
Le voci e le azioni papuane continueranno sempre più forti finché non saranno ascoltate.
Né i numeri e le statistiche di Pramodhawardani tirate dall’Indice di Sviluppo Umano per misurare il benessere dei Papuani, Né qualunque istruzione presidenziale o decreto per “sistemare” Papua Occidentale porterà al soddisfacimento dei papuani.
La valutazione e la promozione delle vite umane non possono essere raggiunte dalle mere misure statistiche o da piani di sviluppo. I Papuani vogliono empatia da un governo indifferente e resisteranno sempre alla loro missione civilizzatrice finché Giacarta non si ferma e ridona a Papua Occidentale la sua voce.
Come dice Victor Yeimo, i papuani devono essere coloro che determinano se vogliono una seconda fase di autonomia speciale o l’Indipendenza. E Giacarta deve facilitare un voto con la supervisione internazionale per determinarlo.
Yamin Kogoya, scoop.co.nz